« indietro EMILIO MATTIOLI, Il problema del tradurre (1965-2005), a cura di Antonio Lavieri, postfazione di Franco Buffoni, Modena, STEM Mucchi Editore, 2017, pp. 200, € 15,00. Nel decimo anniversario della scomparsa di Emilio Mattioli, Antonio Lavieri riunisce, per la prima volta in un unico volume, i dieci più importanti saggi di teoria della traduzione scritti dal maestro modenese. Si tratta di un’operazione fondamentale, che attesta il rigore scientifico, l’intuizione creativa e l’attualità delle scoperte di una delle menti eccellenti delle scienze umane italiane e internazionali, e rende disponibile un corpus testuale che ha fatto la storia di questa branca del sapere, contribuendo a darle l’autonomia e il prestigio che oggi le riconosciamo. Questo volume non si presenta soltanto come doveroso omaggio, ma traccia in maniera sintetica ed esaustiva una traiettoria precisa, mostrando i contributi di rilievo di un pensiero che ha reso gli studi sulla traduzione ciò che essi sono per noi oggi. Con questi scritti, Mattioli mostra la coerenza di lunga durata di una riflessione critica che porta, o meglio sposta, l’ambito degli studi sulla traduzione al centro di una preoccupazione che è propria dell’età contemporanea. Già con Introduzione al problema del tradurre (1965), Mattioli sembra fare proprio un atteggiamento che si era mostrato latente ma produttivo negli approcci di Benjamin e Ortega y Gasset, ovvero l’intendere lo studio sul tradurre come «esercizio critico votato alla provvisorietà come conquista». Solo grazie a questa premessa si rende possibile la radicale messa in discussione dell’approccio normativo di matrice linguistica jakobsoniana e dell’idea, cristallizzata in dogma, di equivalenza. Allo stesso modo, grazie alla lezione di Anceschi, viene definitivamente scartata l’idea di intraducibilità dell’estetica crociana, spostando le preoccupazioni del critico dall’ontologia alla fenomenologia del tradurre. Si tratta di un momento di fondamentale messa in discussione degli studi fino ad allora effettuati e che apre agli strumenti che sono oggi in nostro possesso, manifestando allo stesso tempo l’onestà epistemologica del fare critico che chiama alla necessità di scrollarsi di dosso il naturale irrigidimento di ogni filosofia. In questo senso, altrettanto importante è il saggio La traduzione come genere letterario (1975), i cui sviluppi teorici sono stati raccolti, con molta fortuna, da Even-Zohar nella sua idea di polisistema. Mattioli mostra la determinazione di voler affrancare teoria e pratica traduttive dalla posizione ancillare, storicamente subordinata, nei confronti dell’opera letteraria e della critica. Ciò che ne segue è un percorso in ascesa, le cui intuizioni e conquiste vengono riassunte in maniera esemplare nel saggio La traduzione letteraria come rapporto fra poetiche (2004), testo verso cui convergono numerosi scritti anteriori, qui raccolti, come ad esempio Storia della traduzione e poetiche del tradurre (dall’Umanesimo al Romanticismo) del 1983, ma anche Intertestualità e traduzione (1992) e Poetica ed ermeneutica della traduzione (1997). Mattioli fomenta l’evoluzione dall’approccio normativo fino all’assunzione di uno statuto d’autonomia per il testo tradotto e il sapere traduttivo, mostrando in questi studi una trasformazione essenziale nell’intendere la traduzione, ormai non più vista come mera riproduzione di un contenuto ma come rapporto tra testi, letterature e lingue. Cambia quindi radicalmente non solo la relazione tra traduzione e tradotto, ma anche tra autore e traduttore, accordando a quest’ultimo una poetica e riconoscendone delle competenze specifiche. Con Mattioli, il processo traduttivo diventa un processo essenzialmente poietico, inteso come creazione, ovvero un rapporto dialettico tra il farsi di due testi che mostrano una necessaria relazione di intertestualità. La nozione di avantesto viene quindi incorporata agli strumenti necessari al traduttore, così come la necessità di sviluppare una sensibilità creativa che avvicini quanto più a quel “respiro” del testo che l’idea di ritmologia racchiude intimamente. In tutto questo gioca un ruolo importante il riconoscimento del ruolo svolto dalla tradizione (in senso foleniano ma anche come coscienza di un fare critico che accompagna storicamente un testo) all’interno della storia della letteratura, di cui è parte integrante e che si fa necessario per raccogliere la complessità di quello Sprachbewegung che avvolge il fare e il pensare la traduzione. (Stefano Pradel) ¬ top of page |
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