Saluto UNIFI 19-9-24
Ringrazio la direttrice per le parole affettuose e in particolare per la disponibilità e l’entusiasmo con cui ha accolto questa proposta - e insieme ringrazio Lucia Denarosi, Walter Scancarello e l’Ufficio comunicazione di UNIFI per la collaborazione scrupolosa e professionale con cui hanno seguito la preparazione della mostra. È sempre con emozione ma insieme con disagio che si torna sui luoghi ai quali si è consegnata una parte così consistente della propria giovinezza. Credo fosse però doveroso destinare a Firenze, insieme a Siena che da vent’anni ospita l’archivio della rivista e dell’associazione, la donazione di volumi che mancavano a completare la collezione dei 70 numeri di questa rivista. Semicerchio infatti affonda le sue radici negli studi che con alcuni amici redattori abbiamo seguito qui, che ci hanno ispirato il desiderio e il piacere della letteratura e in particolare della sua espressione più intima e insieme universale, la poesia.
La rivista non nacque in realtà in queste aule ma nello studio di un pittore, Armando Alessandra, dove un gruppo di appassionati formato in modo spontaneo si riuniva per leggere e commentare le proprie poesie e traduzioni, a porte aperte su via delle Ruote. Questo gruppo comprendeva studenti di lettere classiche, come me, Giangfranco Agosti e Fabrizio Gonnelli e moderne come Natascia Tonelli e Isabella Becherucci, ma anche antropologi e biologi, oltre poeti locali sia italiani che stranieri, ad esempio iraniani o rumeni, senza renderci conto che si trattava di un’operazione che oggi definiremmo interdisciplinare e interculturale. Il nucleo si allargò e divenne una sorta di circolo letterario dedito soprattutto a ricerche e traduzioni collettive di poesie, specialmente rare e poco conosciute, su un tema specifico. Questo generò i primi 5 fascicoli, apparsi come inserto della rivista Pegaso, per la quale da ragazzo scrivevo recensioni d’arte, e distribuiti gratuitamente in tremila copie nelle librerie Feltrinelli. Avevamo scelto temi che si prestavano a creare miniantologie diacroniche dall’antichità biblica e classica al contemporaneo come La creazione di Eva, pur inconsapevoli del suo proto-femminismo, o come Le nozze di Antigone, dedicato ai fatti tragici di piazza Tien an-Men e poi letto perfino nelle scuole. Gradualmente la redazione prese coscienza della possibilità di trasformare questa esplorazione diacronica di un tema letterario in una ricerca più filologica e insieme di offrirsi come osservatorio sulla produzione poetica internazionale attraverso una sezione di recensioni multilingue. Nacque così nel 1990 la rivista autonoma pubblicata da Maremmi Editore, poi da Le Lettere, una casa editrice con la quale stavo collaborando per ragioni di sopravvivenza con traduzioni dal tedesco e dal francese. E cominciarono da allora, su ispirazione di Barbara Bramanti, oggi antropologa all’Università di Ferrara, le copertine che sono qui esposte, esito di una ricerca iconografica artigianale ma alla fine efficace, tanto da portare l’italianista fiorentina Anna Dolfi a definire “Semicerchio” la rivista letteraria “più bella” in circolazione. Dopo vent’anni, nel 2011 con il volume sul Medioevo in De André la rivista passò all’editore Pacini, che la pubblica tuttora e che ringrazio – nella persona di Lisa Lo Russo - per la professionalità con cui segue il nostro lavoro. Molti dei membri della redazione di allora sono diventati professori universitari; la rete dei collaboratori internazionali è cresciuta enormemente, col risultato che non sono più possibili riunioni in presenza, e la rivista è diventata di fascia A nella classificazione ministeriale che rende un articolo valido o no per i concorsi universitari. La diffusione commerciale è limitata ad alcune biblioteche e pochi abbonamenti, ma il vecchio sito internet, che fu studiato in una tesi di laurea come primo sito web di rivista letteraria, è arrivato invece a tre milioni di contatti.
Una ricostruzione del percorso culturale vero e proprio comporterebbe tempi lunghi e argomenti tecnici, ma in sintesi possiamo individuare un’evoluzione da un periodo di esercizio letterario a uno di espansione della valutazione critica e della ricerca comparativa fino alla torsione interculturale che ha portato al pieno sviluppo di progetti internazionali in collaborazione con enti culturali come il British Institute, l’Institu Français, il Deutsches Institut, l’Haus der Literatur di Monaco di Baviera, il Gabinetto Vieusseux, la Fondazione Marchi, l’Università di Firenze, la Syracxuse University e la New York University, la Columbia, il Kunsthistorisches Institut e tanti altri grazie all’iniziativa prima di Barbara Bramanti e poi di Antonella Francini, italianista della Syracuse University e traduttrice di grandi poeti americani, per decenni vice-presidente dell’Associazione Semicerchio. Questa rete di collaborazioni portò a eventi memorabili come il convegno sulle traduzioni di Montale, la serie di seminari europei sull’autotraduzione poetica (quella che oggi si chiama second language poetry), l’incontro con il teorico della letteratura Tzvetan Todorov, quello col cantautore Ivano Fossati e col griot Pape Kanouté, il convegno di 4 giorni sulle Riscritture poetiche della Bibbia dall’antichità ad oggi con l’indimenticabile dibattito fra Luzi, Bigongiari, Oreste Macrì, Carlo Ossola e la lettura notturna di Rosaria Lo Russo, i cicli di lezioni del Nobel Brodsky e la partecipazione agli incontri della Fondazione Caramella con il Nobel Walcott e poi le traduzioni del Nobel Soyinka e la corrispondenza col Nobel Heaney, e il festival sulle riscritture dantesche sia testuali che artistiche, musicali, teatrali e video che coinvolse 1500 persone e una decina di istituzioni fra cui la compagnia teatrale Krypton insieme ad università americane e russe – una cooperazione oggi impensabile - e vide l’inaugurazione in uno straripante Salone dei 500. In questo periodo aureo abbiamo portato a termine imprese quasi miracolose come la realizzazione di una collana di poesia internazionale diffusa con Repubblica che ha venduto mezzo milione di copie in tre mesi, la collaborazione con Festival come quello di Rimini sulla poesia medievale, la Biennale di Genova, la Fiera di Roma, Eurozine a Riga e Parigi, la conduzione per trent’anni di una scuola popolare di scrittura creativa autofinanziata con le quote sociali, nella quale abbiamo invitato a insegnare premi Nobel e candidati Mobel, premi Pulitzer, premi Strega, Premi Viareggio, premi Goncourt e comunque autori di prestigio nazionale e internazionale che mettevamo in contatto con centinaia di cultori di letteratura e autori in formazione, alcuni dei quali hanno poi affermato una propria personalità artistica. Fra questi Caterina Bigazzi, Stefano Gidari, Nicoletta Manetti e Roberto Mosi (che sono fra i più qualificati fra coloro che l’hanno frequentata) rappresenteranno qui con le loro letture – dedicate anche ad Annamaria Volpini, la cara “capoclasse” che ci ha lasciato qualche mese fa - una bella comunità di autori poi diventati amici, che dopo 30 anni ancora si frequentano e animano discussioni letterarie di livello. Così Semicerchio da rivista è diventata costellazione culturale multimediale in rapporto mobile con scuola, arte, editoria, spettacolo.
L’ultima fase della rivista, diciamo dal 2010, ha allentato i rapporti con la militanza letteraria italiana ma ha mantenuto la struttura tripartita fra dossier tematico, che fa di ogni numero della rivista un progetto scientifico e un volume autonomi, una sezione di saggi indipendenti dal tema e una di recensioni internazionali, ed è riuscita a salvaguardare l’interesse per temi di rilevanza sociale, con i numeri Poesia del lavoro, Ecopoetry, Migrazioni e Identità.
Sulle prospettive culturali di questo percorso ascolterete i nuovi direttori e direttrici. Io conservo la certezza della necessità del confronto interculturale e soprattutto del coinvolgimento di Asia e Africa in una comparazione inclusiva e paritaria, ma insieme ho perso la convinzione che l’apertura interculturale sia un’impostazione universalmente radicata: ormai credo di aver capito invece che ogni comunità come ogni individuo, nel mercato di san Lorenzo come nell’accademia, al di là di curiosità occasionali, ha interesse per le altre culture solo se e nella misura in cui incrociano la propria - o comunque quella in cui ci si identifica. Ho imparato che l’identità, diversamente da come ci farebbe credere un ingenuo wishful thinking, è un bisogno primario inestirpabile dell’uomo e delle comunità, dunque anche delle letterature. E le pur discutibili contorsioni della ribellione woke ce lo testimoniano ogni giorno. Il dialogo vero e proprio, insomma, è ancora da costruire e la globalizzazione letteraria potrebbe rivelarsi una costruzione intellettuale più che una realtà sociale. Sono però convinto che, se questa compartecipazione inclusiva sarà socialmente possibile, la letteratura resterà una chiave potentissima per favorirla, proprio perché molte culture la considerano un elemento fortemente identitario. Il culto dei rumeni “in esilio” per Eminescu o degli iraniani per Hafez o dei russi per Achmatova – di cui ho visto manifestazioni commoventi fino al fanatismo - unisce e separa le comunità più di lingua e cucina, per quel surplus di sacralità identitaria che la poesia in molti ambienti ancora mantiene.
Dunque: soddisfazione per aver intravisto con largo anticipo una strada necessaria ma insieme disillusione sulla consistenza delle sue basi etico-sociali.- Fra le scommesse che abbiamo vinto ricorderei invece l’inclusione della canzone fra gli oggetti degni di studio intermediale ma anche letterario, che ci costò molti attriti al momento di compilare l’indice delle antologie di Repubblica, ma che pochi anni dopo fu glorificata dal Nobel a Bob Dylan, di cui testardamente volemmo inserire testi nell’antologia di poesia in inglese, contro il parere del curatore e dell’editore. Ora quella scommessa si è concretizzata in corsi universitari sulla canzone a Siena e altrove, nella moltiplicazione di manuali e nella fondazione diffusa di centri di studio.
Naturalmente questa ampiezza di copertura ha comportato e comporta la gestione di una redazione a quattro livelli con un gruppo ristretto che prende le decisioni, uno di collaboratori in mezzo mondo che scrivono articoli e recensioni e possono arrivare a 60-70 per numero, un comitato scientifico internazionale che viene consultato secondo i temi e infine un paio di persone, a volte solo una, che seguono il processo materiale di correzione, autorizzazione, impaginazione, diffusione. La mia decisione di chiedere a colleghi illustri di assumere la direzione dal numero 71 deriva anche dalla sensazione di non essere più in grado di governare in maniera scientificamente attendibile una macchina così complessa e una impostazione culturale ormai decisamente spinta verso le letterature moderne e contemporanee, mentre si è ormai indebolito il progetto iniziale, ispirato a Ernst Robert Curtius ed Erich Auerbach, che prevedeva un asse diacronico fra antichità classico-medievale e modernità europea. Per questo ringrazio di cuore e auguro buon lavoro ai nuovi condirettori: la sinologa Anna Di Toro di UNISTRASI, con cui ho avuto modo di collaborare strettamente negli ultimi anni e che con la coreanista Imsuk Jung si alternerà a rappresentare nella rivista il mondo diciamo così orientale; Michela Landi dell’Università di Firenze che è stata redattrice per decenni e ha curato numeri memorabili, oltre ad assicurare il collegamento storico con Istituti di francesistica; Camilla Miglio germanista, organizzatrice del più grande festival della traduzione mai tenuto in Italia, ex direttrice di Dipartimento alla Sapienza e accademica dei Lincei, e Niccolò Scaffai, redattore da vent’anni e contemporaneista della mia università, oltre che responsabile del Centro Fortini e condirettore di altre importanti riviste italiane di comparatistica. Associo ai ringraziamenti le altre personalità che interverranno: Antonella Francini, presidio dell’americanistica sulle pagine della rivista, dove ha portato sulla scena italiana nomi di rilievo mondiale come Charles Wright, Jorie Graham, Jhumpa Lahiri. Andrea Sirotti, che con la sua esperienza di traduttore raffinato degli autori e soprattutto autrici anglofone ci ha aperto il mondo della poesia angloindiana, poi accolto con successo dall’editoria; Mia Lecomte, che ci ha favorito il contatto con il padre della comparatistica interculturale Armando Gnisci e ha fondato Cittadini di poesia, la prima collana di poesia italiana di autori non nati in Italia, oggi documentazione imprescindibile per gli studi di letteratura della migrazione e italofonia in tutta Europa. Naturalmente dovrei ringraziare molti altri, che non sono presenti ma sono stati pilastri della rivista, come l’italianista parigino Fabio Zinelli, curatore del più ricco archivio online di recensioni alla poesia italiana, il russista Stefano Garzonio, la slavista Annalisa Cosentino, l’arabista Francesca Corrao. Ma mi limiterò a chi ha accettato con generosità di esserci: Rosaria Lo Russo, studiosa di teatro, poetessa e lettrice, ora coordinatrice degli incontri letterari alla libreria BRAC, ha contribuito ai primi numeri ed alle interpretazioni performative di molti dei grandi ospiti della nostra scuola ed è stata sempre amichevolmente a fianco della rivista e del suo gruppo originario; Paolo Iacuzzi, oltre la sua riconosciuta figura di autore e editore, è stato per noi una presenza dinamizzante nella comune organizzazione di alcune edizioni del Premio di Poesia Ceppo Internazionale e delle Bigongiari Lectures, al quale abbiamo portato e tradotto insieme poeti di tutto il mondo. Rosaria e Paolo rappresentano pienamente quel tipo di relazione che da artistica si è tramutata in familiare e da locale è diventata mondiale. Lo dico ai più giovani: una rivista è uno strumento leggero ma potentissimo perché, se si accetta di uscire dalle piccole cerchie autoreferenti, cosa che Semicerchio ha voluto fare fin dal nome, crea automaticamente una rete che cresce su stessa e consente di incrociarne i nodi in mille forme e verso mille direzioni; perché una rivista non può basarsi sul già acquisito e dunque deve esplorare, scommettere, estrarre, permettendosi il rischio del fallimento ma anche il piacere e il merito della scoperta; e perché, se dura nel tempo, crea un movimento di innovazione continua che trascina e arriva dove non si sarebbe previsto. Ma soprattutto perché - specie se con il sostegno di un’associazione che può interagire con gli enti, ottenere fondi, proporre progetti europei - una rivista può dialogare con la società, farsene riflesso ma anche, ognuna nella propria dimensione, luce di orientamento. Semicerchio ha dato a me e ad altri occasioni di incontro e relazione con mostri sacri della storia letteraria italiana e mondiale che da sola l’attività universitaria non mi avrebbe mai consentito e insieme di incontri con scolaresche oppure con comunità africane ed asiatiche orgogliose di leggere le poesie della propria tradizione, magari in Palazzo Vecchio. Alimentare questa luce richiede energie, risorse, giovinezza e sono certo che continuerà a brillare nelle mani di chi ha accettato di raccogliere il testimone. Shine on, you crazy diamond.
SALA
REDAZIONE