« indietro YVES BONNEFOY, L’écharpe rouge, suivi de Deux scènes et notes conjointes, Paris, Mercure de France, 2016, pp. 266, € 19.
in: Semicerchio LVI (2017/1) (Neo)Barocco. Poesia del Seicento nella teoria contemporanea, pp. 127 - 128 «On est le fils de son enfant, c’est tout le mystère», scriveva Yves Bonnefoy in La rue traversière (1977). Questo volume, dedicato alla figlia Mathilde, costituisce l’ultima tappa dell’anamnesi che il poeta ha condotto sul proprio vissuto d’infanzia. Di qui, la necessità di riproporre in appendice Deux scènes et notes conjointes (già apparso nel 2009 presso l’editore Galilée), che l’autore considera come una tappa fondamentale del suo percorso retrospettivo. Se la «robe rouge», figura ricorrente nella poesia di Bonnefoy sin dagli anni sessanta, è ancora una rappresentazione, l’apparente desolazione cui è condannato, ne Les Planches courbes («La voix lointaine», IV) il «lambeau d’étoffe rouge», non è che una messa tra parentesi dell’illusorio mondo per un di più di realtà: in una salvifica interrogativa – «Sauf: que faire de ce lambeau d’étoffe rouge?» – l’autore sottrae – eccettua – l’oggetto dalla rappresentazione e lo consegna alla memoria. Come la «tache d’un rouge opaque» denuncia, nel Crépuscule du soir di Baudelaire (Le Spleen de Paris), il sogno romantico fissatosi nelle «dernières gloires du couchant», e come una pennellata rossa apposta sul proprio quadro davanti ai visitatori mette in discussione, in Turner, la patina museificata dell’oggetto (del quale l’autore si riappropria), Bonnefoy avvia, dentro la parola, il processo mnestico che conduce alla restituzione del proprio passato. In questo volume quell’oggetto senza nome e fuori linguaggio cerca una ragione, una ricucitura, nel tessuto memoriale del soggetto: una «idée de récit» (p. 13): «Le rouge dans le noir et blanc, après tout, cela peut être bien naturellement le chiffre de cet ailleurs qui se montre et qui se dérobe» (p. 31). L’esperienza del trobar evocata da Bonnefoy in Ensemble encore, ovvero il frugare tra le carte senza nome presenti nell’«altra valigia» («Dans l’autre malle»): «Ah, crois-moi, je ne lisais pas, je plongeais mes mains dans cette masse en désordre, je remuais ce papier qui faisait un bruit que j’aimais» (p. 118) – si ripropone in questo volume come momento di una reale iniziazione alla scrittura o, meglio, alla ri-scrittura: l’estrazione, da un classificatore giallo, di carte sparse – quaderni, fogli manoscritti – vergate con diversi inchiostri. La «longue suite de reprises et d’abandons» (p. 14) che contraddistingue questo palinsesto della rimemorazione è durata, come l’autore ricorda, quarantacinque anni. Un palinsesto dove si affastellano tentativi di estrazione e decodificazione di una qualche esperienza di rimozione. Due o tre mesi prima della pubblicazione delle Deux scènes, nel 2009, l’autore aveva, per l’ultima volta, ripreso queste pagine con l’idea, ci confessa, che avrebbe finito per comprendere «ce qu’avait à être la fin de “L’écharpe rouge”». E se l’addensarsi, intorno a questo oggetto, di oscuri moventi affettivi aveva nuovamente provocato in lui la renitenza, l’esperienza anamnestica delle Deux scènes veniva come dischiudendo qualche nuova porta. In limine sembrava doverosa la resa dei conti: i sedimenti che su queste carte aveva deposti il diniego dovevano essere, strato a strato, rimossi. Nei frammenti poetici qui trascritti, e accompagnati dal cantiere autointerpretativo, compaiono brusche interruzioni: censure sulle quali si sofferma l’autoanamnesi. L’autore non si nasconde che, ogni velleità di restituzione è anche invenzione; e che i tentativi succedutisi nel tempo hanno interpolato, corrotto, il testo originale. Ma, ben più di una restitutio filologica, doveva trattarsi di una riscoperta del bambino ch’egli fu. Ed ecco apparire, nel primo frammento, la sciarpa rossa su sfondo grigio: «Tout était gris autour de nous, la nuit tombait,/Mais quel contraste! Dans la pénombre/La grande écharpe rouge que vous portiez!/Le souvenir m’en est revenu à des moments de ma vie.//La peur, ah, plus encore!/Un frisson,/L’épouvante qui naît/D’un pas que l’on entend dans une maison vide» (p. 20). Nel secondo frammento «Le cliché est noir et blanc», e tuttavia «l’homme qui est là, qui parle là,/Porte déployée d’une épaule à l’autre une écharpe rouge» (p. 23). Questo sconosciuto, silente e grande assente, è il Padre: «Quant à l’écharpe rouge que lui et moi voyons chacun s’éployer sur le coeur de l’autre, c’est ce qui nous unit, d’une façon à la fois invisible et essentielle, c’est la paternité et la filiation, ce que l’on appelle le lien de sang» (pp. 40-41). Legame che non aveva potuto autentificarsi in quanto faceva difetto, in Élie Bonnefoy, la trasmissione della parola. La Parola era censurata, come per timore di perdere quella della propria madre, in cambio di parole gelate trovate fuori, nei giornali, nei libri, «qui analysent et légifèrent» (p. 69). Cercava ansioso in un prato, il fanciullo Yves, un quadrifoglio da donare al padre prima di una partenza; ma non vi erano, in quel punto del mondo, che trifogli: «la feuille ajoutée aux trois autres ne pouvant pas s’unir comme l’esprit le désire à ce que la nature propose » (p. 74). Ecco potersi riconoscere, in questa scrittura liminare di Bonnefoy, il quarto frammento: la donazione della parola alla madre di suo padre, sua figlia. (Michela Landi) ¬ top of page |
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