« indietro NEL SEGNO DELLA PAROLA, a cura del CENTRO STUDI «LA PERMANENZA DEL CLASSICO», Giò Editing 2004, pp. 219 € 2,50. Antologia di testi classici in adattamento teatrale scelti per le letture pubbliche organizzate con grande successo nel 2004 dal Centro Studi sulla Permanenza del Classico dell’Università di Bologna, diretto dal latinista Ivano Dionigi, che coglie e istituzionalizza esemplarmente una delle direzioni ormai imprescindibili della ricerca classicista del XXI secolo: un approccio target-oriented senza il quale si rischia di dover chiudere gli studi classici in una nicchia erudita senza collegamenti visibili con la cultura e la sensibilità contemporanee. Naturalmente il titolo, e la prefazione Cittadini della parola, si fondano su un presupposto eurocentrico (anche se esteso verso Gerusalemme, cioè verso la letteratura cristiana che storicamente si contrappone al «classico»), ma nessuno può negare che per la storia della cultura occidentale questo presupposto sia irreversibile.
Imprevista e benvenuta l’idea di una antologia assai poco classica, dove anzi i brani più scolastici come Lucrezio e Virgilio sono speziati dalla presenza di testi cristiani e tardo-antichi che mostrano della classicità il versante più esotico e nuovo, quello della transizione al Medioevo.
Fra i testi qui presentati in originale e in elegante versione italiana, con prefatori illustri da Eco a Canfora a Cacciari, ci sono l’intervento spietato e lucido di sant’Ambrogio e la risposta di Simmaco nella disputa fra i cristiani e il Senato romano per l’altare della Vittoria, un culto che l’impero cristianizzato negava ormai ai pagani: la scelta intelligente di proporre entrambe le posizioni evita l’abituale equivoco di presentare Simmaco, il pagàno che invoca la libertà di culto, come esempio di illuminismo ante litteram, svelando come in realtà la religione tradizionale romana scopra la tolleranza solo quando, dopo secoli di persecuzioni anticristiane, è politicamente perdente e non ha altra scelta che la moralizzazione del conflitto.
Raffinata la scelta di due brani di Marziano Capella sull’immortalità della parola, accanto all’elogio del logos del sofista Gorgia, all’inno lucreziano per Epicuro e a quello virgiliano per Orfeo, e il celebre passo delle Confessioni di Agostino sulla semiotica della parola (ma qui altri luoghi, dal De doctrina christiana, sarebbero stati più adatti), mentre la sezione sulle ragioni della forza ospita la favola fedriana sul lupo e l’agnello e il dialogo imperialista dell’ambasciata ateniese con i governatori di Melo. Dopo Platone e Cicerone leggiamo anche l’inizio della Genesi, con testo ebraico a fronte e la sublime esaltazione del logos nel Vangelo di Giovanni (e qui sarebbe stato prezioso il suo geniale commento da parte del carolingio Giovanni Scoto Eriugena, ma si sarebbe usciti dalla categoria per quanto elastica di «classico»).
Chiudono il gradevolissimo libretto (anche nel senso di «copione» dello spettacolo) brani solenni di Mario Luzi e dell’ungherese Miklós Radnóti, sigillati da un passo di Bernanos sulla parola di Dio. E tre pagine di Claudio Longhi sulla riscoperta, favorita da una lettura finalmente storica e non solo testuale delle opere classiche, della parola antica come parola incarnata nella voce e nel corpo, parola detta e recitata, parola suonata.
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