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Passeurs de mémoire. De Théocrite à Alfred Jarry, la poésie de toujours lue par 43 poètes d’aujourd’hui. Préface de Jean-Baptiste Para, Paris, Gallimard (coll. «Poésie», Hors série, en coédition avec «Le printemps des poètes») 2005, pp. 384, € 6,00.

«Comment le poète pourrait-il être, en tant que poète, notre strict contemporain?». In questo passo dello Zibaldone leopardiano (11 luglio 1923) tradotto e citato da J.-B. Para nella prefazione, può essere sintetizzata l’intenzione che anima quest’opera collettanea. In occasione dell’ultima edizione del «Printemps des poètes» che si è tenuta a Parigi dal 4 al 13 marzo dell’anno in corso, la prestigiosa collana «Poésie» di Gallimard, già sensibile alla poesia straniera e alla poesia antica, ha dedicato un volume speciale agli autori d’altri luoghi e d’altri tempi. Una quarantina di poeti, tra i più noti nel panorama francese contemporaneo, hanno infatti ‘eletto’ loro omologhi spesso storicamente e geograficamente remoti e li hanno accolti a ‘partecipare’ la loro lingua. Esperienza di sedimentazione e di riflessione, a dispetto di quel ‘presentismo’ che spesso guida e motiva gli eventi culturali; ed esperienza di straniamento, in controtendenza con l’atteggiamento accentrante che domina da secoli nella cultura francese. Così, troviamo scrittori d’oggi alla prova con i greci (Teocrito), i latini (Virgilio, Ovidio) i padri del Medioevo e del Cinquecento francese (da Alain Chartier a Du Bellay); ma anche con gli italiani (Dante, Leopardi), gli inglesi (Shakespeare, John Donne) e gli americani (Emily Dickinson), i tedeschi (Hölderlin), gli indiani guarani (Poèmes des indiens guarani), i giapponesi (Bashô, Wang Wei, Sei Shônagon). Sono, in tal modo, tracciati molteplici percorsi e nessi interculturali, a testimonianza di una trasversalità infra- e supralinguistica della poesia, il cui fine ultimo resta, appunto, la matrice della Parola come primum; unità investigata trasversalmente agli schemi concettuali ed alle sedimentazioni che impone, al pensiero di ciascuno, la propria identità culturale. Si tratta di una straordinaria testimonianza di ‘affinità elettive’ e di profonda connivenza tra sensibilità, ad attestare l’esistenza di quello che Barthes definisce punctum: tangenza, e mistero semplice di concomitanza che ha prodotto risultati di notevole impatto intellettuale ed emotivo. Se alcuni «passeurs de mémoire» si sono apparentemente limitati a ‘presentare’ testi dei loro conterranei e predecessori motivandone la scelta (o hanno proposto autori stranieri in traduzioni note, come quella gidiana di Whitman), la loro stessa, autorevole, motivazione apre orizzonti nuovi, intessendo trame di quella «poetica della relazione» di cui parla Glissant: intese, avversioni, ritrattazioni, revisioni e riconoscimenti tardivi; insomma, un dinamismo dialogico che testimonia anche delle mutevoli sorti dei singoli autori nella ricezione postuma, secondo le epoche e le circostanze.

Il volume sembra voler attestare, in primis, una verginità dello sguardo; e, dall’hic et nunc della Francia di oggi, la ricerca di una reciprocità con ciò che perdura e consiste oltre le barriere spaziali e temporali. Così, ai testi riproposti nella loro pura presenza e ‘originalità’ (ad attestare una semplice concomitanza) si affianca sia il dialogo a due, attraverso le traduzioni (e spesso le riscritture) del poeta-«passeur», sia il dialogo a tre, ove s’intrecciano autore, traduttore prescelto, e ricettore. L’autorevolezza ‘poetica’ di quest’ultimo, infatti, costituisce in ogni caso un valore aggiunto all’opera scelta e come ‘condotta’ attraverso il tempo da uno sguardo più sensibile che la accoglie e la assimila al presente. E giunge a proposito la rivisitazione del pur convenzionale equivoco tra ‘essere’ e ‘seguire’ che J.-B. Para cita da D. Fourcade (traduttore di Dante nello stesso volume) a conclusione della prefazione: «C’est une expérience très singulière, mais dans ces moments-là je suis, au sens d’être, et non de suivre, les gens du passé – jusqu’à Homère». Al di là del valore ‘documentario’ o ‘estetico’ di questo volume (secondo come il lettore vorrà fruirlo), se ne deve sottolineare la singolarità anche sul piano metatestuale e metatraduttivo. Si ripropone infatti, in questa felice ‘convergenza’ di sensibilità intellettuali, anche quel fenomeno lato dell’hermeneia su cui si fonda la teoria moderna della traduzione; sia essa, appunto, stricto sensu, ‘traduzione’ (ed in questo caso, l’inveterata tendenza accentrante dei francesi, ostili alla presentazione del testo originale, può risultare motivata dalla necessità ‘poetica’ dell’appropriazione e dell’assimilazione), sia opera ermeneutica, intesa nel significato ampio del trans-ducere: lettura, interpretazione, ricezione, divulgazione.

Merita segnalare ai lettori italiani il Dante del canto XXV dell’Inferno (vv. 58102; pp. 83-86) dove si evoca la trasfigurazione in serpe di Vanni Fucci («taccia di Cadmo e d’Aretusa Ovidio...») nella geniale ‘appropriazione’ di D. Fourcade: «Qu’Ovide (Aréthuse serpent fontaine Cadmus) / se taise – qui deux natures jamais ne transmua / face à face en sorte que / les deux formes fussent enclines / à échanger leur matière» e, infine, il Leopardi di Bonnefoy, nel magnifico incipit del Pastore errante (pp. 257-261): «Que fais-tu dans le ciel, ô lune? / Que fais-tu, / Dis-moi, silencieuse lune? / Tu te lèves le soir, tu vas / Contemplant les déserts, puis tu te reposes. / N’es-tu pas fatiguée de suivre ainsi / Ces chemins éternels?».

Michela Landi


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