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ANNA DI TORO e IMSUK JUNG, Traduzioni della Commedia in lingue orientali: una Giornata di studi (Siena, 11 ottobre 2021).
(pp. 9-13)

 

Questo numero di «Semicerchio», dedicato alle traduzioni delle opere dantesche, contiene anche alcuni contributi frutto della Giornata di Studi dedicata alle traduzioni della Commedia in lingue orientali, organizzata presso l’Università per Stranieri di Siena dal Centro di Studi comparati I Deug-Su, nato dalla collaborazione tra i due atenei senesi; la Giornata ha anche usufruito del supporto dell'Istituto Confucio di Pisa e della Sala Confucio di Unistrasi. Nonostante l’impresa talvolta improba, le cui difficoltà sono discusse nella lucida Premessa di Luigi Spagnolo che precede questa Introduzione, la Giornata ha mostrato un ricco ventaglio di esperienze di traduzione della Commedia dal mondo arabo al Giappone, passando da Cina e Corea. Mentre il contributo dedicato a Dante in Giappone sarà ospitato nel prossimo numero di «Semicerchio», qui trovano spazio i saggi di Alessandra Brezzi e di Kim Kukjin, dedicati rispettivamente a cento anni di traduzioni della Commedia in Cina e a una rassegna delle traduzioni delle opere di Dante in Corea.
Una delle motivazioni iniziali dell’interesse verso Dante in Asia orientale fu il ruolo affidatogli nel particolare momento di costruzione di una identità nazionale: il poeta era letto, tradotto e ammirato come l’autore che era stato in grado di creare una lingua e una cultura nazionali in un’Italia debole e frammentata, ed era quindi proposto come un modello di intellettuale in paesi che, come la Cina e la Corea, vivevano agli inizi del ‘900 una grave crisi. La Giornata di studi senese ha mostrato le diverse declinazioni che tale modello ha avuto tra Cina, Corea e Giappone, in un’ottica dialogica. In questo contesto, va segnalato il ruolo del Giappone nella diffusione delle prime conoscenze su Dante e la sua opera, sia in Cina che in Corea: se la prima metà del ‘900 fu un’epoca di conflitti che sconvolsero l’area, fu anche un’età di intensi scambi, di cui il Giappone fu il fulcro, vettore di elementi della modernità e della cultura occidentali che ebbero un sicuro impatto sulla modernità autoctona. Vediamo così che le prime traduzioni di alcuni canti della Commedia, come quella cinese del 1921 di Qian Daosun e quella coreana del 1926, sono debitrici a versioni giapponesi[1]. Ma, come testimoniato sia dalle diverse letture di Dante nel corso del tempo in Cina e in Corea, sia dalle intense righe di Junko Masuda, già docente di giapponese presso l’Università per Stranieri di Siena e traduttrice, il Divino poeta, oramai emancipato dal suo ruolo di modello politico e culturale, continua a parlare con forza al lettore contemporaneo dell’Asia orientale.

 

Alcune riflessioni su Dante in Corea (Imsuk Jung)

 

L’evoluzione degli studi sulla traduzione scritta si è nel tempo ramificata in varie discipline negli ambiti teorico, descrittivo e applicativo differenziando anche la figura e la funzione del traduttore da quella del traduttologo, ovvero chi traduce da chi invece conduce ricerche sulla traduzione (cfr. Falbo et al. 1999[2]). A tal proposito in Corea del Sud diversi studiosi (per lo più traduttologi, appunto) hanno svolto ricerche sulla Commedia di Dante, ma pochi si sono dedicati a un’accurata traduzione del poema dantesco, nonostante il suo grande richiamo a livello internazionale. I più datati tentativi risalgono infatti agli anni Cinquanta, quando per mano di un prete cattolico di nome Choi Minsun (1912-1975) una primissima traduzione dell’opera vide la luce. Oggi, a distanza di circa 70 anni, troviamo un discreto numero di versioni tradotte e rivedute, diversificate tra di loro soprattutto per lo stile e le strategie adottate. Nel 2021 Kim Woon- Chan, professore di letteratura italiana dell’Università Cattolica di Daegu, ha realizzato in occasione del 700° anniversario della morte di Dante una versione riveduta della Commedia in un unico volume, dopo 15 anni di lavoro dalla sua prima traduzione pubblicata nel 2007. Anche Ii Sangyeob, professore del Dipartimento di Italianistica della Hankuk University of Foreign Studies, si dedica da anni alla traduzione e allo studio di Dante, e in occasione del seminario Traduzioni della Commedia in lingue orientali ha partecipato con un contributo dal titolo: “Dante in Corea: le difficoltà nella traduzione della Commedia”. Durante il suo intervento egli ha presentato esempi concreti delle maggiori difficoltà che un traduttore coreano può incontrare approcciandosi a un lavoro del genere, come la scelta appropriata di alcuni appellativi, il cui corretto utilizzo in Corea è legato a una cultura fortemente influenzata dalla dottrina confuciana. In alcuni passaggi, per esempio, Dante chiama il suo maestro Virgilio per nome; ciò non sarebbe consono in una versione coreana per motivi di etichetta (non si può, in Asia orientale, chiamare per nome il proprio maestro o una persona gerarchicamente superiore), essendo Virgilio più volte additato dallo stesso Dante come persona degna del massimo rispetto. Ii (2021)[3] si è concentrato soprattutto sul primo canto dell’Inferno, analizzando la traduzione del poema nel primo capitolo e soffermandosi sulla vita di Dante e sulla nascita della sua opera in quello successivo.

Nel presente numero ospitiamo, per la sessione dedicata alla Corea, il contributo di Kukjin Kim, studioso dell’Asia Orientale, nonché docente di lingua e letteratura della Corea presso l’Università per Stranieri di Siena, che delinea il panorama degli studi danteschi in Corea condotti nel periodo che va dal 1897 al 2021. Kim presenta una carrellata di versioni tradotte analizzando soprattutto lo sviluppo e le caratteristiche principali di ogni traduzione a partire dalla traduzione di Choi Minsun (1957) fino a quelle di Kim Woon Chan (2007)[4] e di Park Sangjin (2007)[5]. Il processo di traduzione di un’opera come la Commedia, realizzata a distanza di quasi 700 anni dalla prima pubblicazione, dovrà sempre considerare, oltre agli elementi linguistici, artistici e filosofici, le circostanze storiche, culturali e sociali. I contributi di vari studiosi aiuteranno sicuramente a confermare e diffondere maggiormente l’importanza del sommo poeta in Corea. Come sottolinea appunto Kim Kukjin, la tradizione degli studi danteschi, che attualmente risulta relativamente debole in Corea, può in realtà beneficiare di ampi margini di sviluppo e approfondimento anche da parte dei traduttori.

 

Alcune riflessioni sulla Commedia in Cina (Anna Di Toro)

 

Come sottolineato da Alessandra Brezzi all’inizio del suo prezioso contributo incluso in questo numero di «Semicerchio», uno dei momenti più significativi delle celebrazioni del 700° anniversario della scomparsa di Dante è stata la scoperta dei manoscritti della traduzione della Commedia in cinese realizzata da Agostino Biagi (1882-1957). Già missionario francescano in Cina dal 1902 al 1911, al suo rientro in Italia Biagi sarebbe divenuto, anche in seguito a conflitti con le gerarchie ecclesiastiche, pastore evangelico e, convinto antifascista, avrebbe preso parte alla resistenza a Genova. Biagi fu uno straordinario personaggio che, all’impegno religioso e civile, unì una passione empatica per la cultura cinese, come scrive nella sua densa autobiografia in cinese scritta in versi pentasillabi: ?????,?????,?????,?????(«rimasi a lungo in terra di Cina, studiai a lungo la lingua cinese, a lungo fui in armonia col popolo cinese, [al punto che] io stesso divenni cinese»)[6]. Le sue versioni del poema dantesco attendono ancora una datazione precisa. Come ricordato da Alessandra Brezzi, se realizzate prima del 1948 (anno della prima versione delle tre cantiche in cinese a opera di Wang Weike, realizzata da lingue ponte) rappresenterebbero la prima traduzione integrale della Commedia in cinese (e direttamente dall’originale italiano); se realizzate prima del 1921, sarebbero addirittura in assoluto la prima versione cinese delle terzine dantesche, essendo apparsi in quell’anno i primi tre canti dell’Inferno, a opera di Qian Daosun. Bisognerà attendere la disamina delle carte e delle versioni di Biagi del poema dantesco per potere cogliere la novità di questo lavoro, che probabilmente, più che aspetti legati alla ricezione e diffusione della Commedia in Cina (le carte dantesche di Biagi, come molte altre sue traduzioni, in particolare dei classici cinesi del taoismo e del confucianesimo, sono rimaste inedite), contribuirà a fare luce sulla percezione del discorso poetico tra le culture cinese e italiana e sugli sviluppi della sinologia italiana in ambito missionario nella prima metà del ‘900, nonché sulle possibili reti di scambi intellettuali con cinesi in Europa nella stessa epoca[7].

Le diverse versioni della Commedia di Biagi, tutte in versi, mostrano una tenace ricerca della migliore resa della terzina e dell’endecasillabo dantesco. Biagi esplora infatti il verso tetrasillabico, quello pentasillabico e il settenario, tutti metri radicati nella tradizione poetica cinese. Riportiamo le prime strofe della sua versione in terzine, in versi tetrasillabici e rima incatenata:

 

????         rensheng ban tu

????         wo jue hei lin

????[8]        zhengdao mahu

????         ye lin zhenzhen

????     nan yi yan shu

????         si fu ju xin

????         si shao yu ku

????         yao ji jian hao

????         bi ji jian wu[9]

 

Questa la traduzione interlineare delle prime tre terzine:

 

A metà cammino della vita umana

Percepii una foresta nera

La retta Via era indistinta

 

La foresta selvaggia era fittissima

È difficile descriverla a parole

Se il pensiero vi torna, il terrore si rinnova

 

La morte è poco più amara

Per ricordare il buono che [vi] ho trovato

Devo ricordare le cose che [vi] ho viste

 

Non è ovviamente questa la sede per un’analisi del lavoro di Biagi, a cui dedicheranno il tempo dovuto le studiose e gli studiosi delle traduzioni cinesi di Dante ma, col riportare l’incipit della Commedia in una delle versioni di Biagi, intendevo introdurre uno dei problemi più evidenti delle traduzioni cinesi del poema: quello della resa della forma metrica. Come discusso da Alessandra Brezzi nel suo saggio, i traduttori cinesi hanno compiuto scelte radicalmente diverse. Mentre la resa in prosa è stata meno praticata (solo Wang Weike, 1939-48, e Tian Dewang, 1999, scelgono questa via), molteplici sono le sperimentazioni in versi. Il primo traduttore, Qian Daosun (1921), sceglie un metro, il saoti ??, che riporta subito il lettore cinese al notissimo poeta dell’antichità, Qu Yuan (IV-III sec. a.C.), la cui vicenda di esule sdegnoso sembra avere tratti comuni con Dante. Zhu Weiji (1954), Huang Wenjie (2000) e Zhang Shuguang (2005) optano per il verso libero. Infine, altri due traduttori attingono alla tradizione: Huang Guobin (Laurence Wong, 2003) sceglie il lüshi ?? (‘poesia codificata’) in versi di varia lunghezza ma mantenendo la rima incatenata, mentre Xiao Tianyou (2021) sceglie la riformulazione forse più profonda della terzina dantesca adottando lo schema del jueju ??(‘quartina’; letteralm., ‘versi tronchi’), profondamente radicato nella poesia cinese. In questo contesto è di particolare interesse la scelta di Biagi, per il quale, dalla sua particolare posizione di traduttore dalla propria lingua madre, la forma metrica e la potenza del verso dantesco sono la dominante irrinunciabile. Se infatti la ri-traduzione interlineare italiana suona disadorna e lontanissima dall’originale dantesco, la resa cinese, che riprende il verso tetrasillabo tipico di uno dei testi più antichi della produzione poetica cinese, lo Shijing (Classico delle Odi, raccolta di testi risalenti all’epoca Zhou, XI-III sec. a.C.), nella sua concisione estrema risulta di straordinaria efficacia per il ritmo e per il lavoro sulla rima. Interessante notare come nella versione di Biagi (come anche in altri traduttori cinesi che hanno scelto la resa metrica), almeno in gran parte delle terzine da me lette finora, ogni verso tetrasillabico cinese corrisponda a un endecasillabo dantesco, mentre secondo Xiao Tianyou una scelta simile, pur se preziosa nel tentativo di rendere la forma poetica, è di difficile lettura per il lettore cinese: è infatti a suo parere necessaria una riformulazione ancora più profonda del verso dantesco:

 

Io ritengo che più una traduzione tenta di riprodurre fedelmente la terza rima dantesca, più sarà di difficile comprensione per il lettore cinese. Perché, nel volere conservare a ogni costo la struttura del verso dantesco e aderire allo schema metrico di Dante, sarà inevitabile talvolta formulare dei versi che non rispondono al modo di pensare della lingua cinese.[10]

 

Sarà di grande interesse confrontare le traduzioni di Biagi con quelle realizzate dai traduttori cinesi (alcune ancora in corso): il numero delle traduzioni ci rivelano che Dante ha avuto e ha tuttora attenti lettori in Cina, anche se si tratta ovviamente di un pubblico elitario. Come ci ricorda l’italianista Wen Zheng «La traduzione letteraria è figlia di letture diverse, legate ciascuna alla propria epoca, da qui la perenne necessità di nuove versioni. Ora in Cina l’ambito delle traduzioni della Divina Commedia è molto incoraggiante: ogni versione ha la propria caratteristica, alcune privilegiano la rima, altre il contenuto o la comprensibilità»[11].

La vitalità di Dante in Cina non è testimoniata solo dalle ri-traduzioni, ma anche dall’interesse mostrato dai lettori e da intellettuali e scrittori cinesi, che negli anni ne hanno dato testimonianza. La storia ultracentenaria dell’interpretazione di Dante in Cina è stata a lungo legata alla ricerca di un ‘Dante cinese’ (Zhongguo de Danding ?????), una figura cioè che contribuisse alla costruzione della nazione e dell’identità cinese (come Dante contribuì alla costruzione identitaria dell’Italia), di cui parla Jiang Yuebin nell’acuto saggio citato da Alessandra Brezzi[12]. Così vediamo Dante nel ritratto in stile cinese che ne fa Liang Qichao nel suo dramma La Nuova Roma (Xin Luoma ???, 1904), dove il Divino poeta entra in scena come un immortale taoista a cavallo di una gru e si dilunga sul ruolo della propria opera nella creazione dell’Italia come nazione. Pochi anni dopo, Lu Xun ?? menziona Dante all’inizio del suo saggio dai forti echi nicciani Il potere della poesia di Mara (Moluo shili shuo ?????, 1907): «L’Italia divisa, prostrata, ha trovato l’unità con la nascita di Dante, con la lingua italiana […] Quando i soldati le spade i cannoni si sono dissolti, la voce di Dante dura eterna. Chi ha un Dante è unito…»[13]. Il ruolo politico- culturale del Divino poeta evolve però in Lu Xun all’interno della sua riflessione estetica sulla ‘poesia di Mara’, cioè una poesia demoniaca che anche in Cina deve trovare una voce che «turbi il cuore dell’uomo» per liberare le forze latenti di una profonda rivoluzione. Lao She reinterpreta a sua volta il modello dantesco, ravvisando nella sua opera il primo esempio di ‘letteratura dell’anima’. Nel suo saggio Ling de wenxue yu Fojiao ??????? (La letteratura dell’anima e il buddhismo, 1941), scritto nel pieno della Guerra di resistenza all’invasione giapponese, lo scrittore auspica che possa svilupparsi in Cina una tradizione letteraria che unisca insegnamento etico, discorso spirituale e arte, in grado di esprimere le più profonde verità e l’anelito di libertà dell’animo umano[14]. Vediamo poi come la Commedia diventi fonte di consolazione per Ba Jin, vittima della Rivoluzione Culturale:

 

La sera prima di essere inviato alla ‘Scuola dei quadri 7 maggio’ per la rieducazione attraverso il lavoro, in un mucchio di vecchi libri buttati in un corridoio trovai una edizione dell’Inferno: fu come scoprire un tesoro. Il libro era troppo voluminoso, e quindi iniziai a ricopiarlo, dal primo canto, in un quadernino che portavo sempre con me. Quando lavoravo o ero oggetto di una sessione di critica pubblica, recitavo i versi di Dante tra me e me e mi sembrava di essere io a subire le pene infernali: la poesia di Dante mi dava un grande coraggio. Così, mentre leggevo l’Inferno pensavo alle ‘fazioni ribelli’ e mi sembrava che vivere fosse un po’ più semplice. Continuai a copiare, quaderno dopo quaderno; quando lasciai la ‘Scuola dei quadri’ non avevo finito di copiare il nono canto…[15]

 

Con gli scrittori contemporanei sembra che la Commedia diventi in modo sempre più naturale parte di un percorso di crescita e di ricerca personale. Così il premio Nobel per la letteratura Gao Xingjian, nella sua affermazione sull’universalità della letteratura, trovando ridicolo’ il concetto di una ‘letteratura nazionale’, menziona Dante:

 

Moi je trouve ça suspect de souligner un caractère national, je trouve que ça, c’est même ridicule. […] Dans la science il n’ y a pas de frontières, et dans la littérature non plus avec la traduction. Quand j’étais tout petit, je lisais Dostoïevsky ou bien Dante ou Goethe, et je ne sens pas qu’ils sont des étrangers…[16]

 

Come segnalato da Alessandra Brezzi nel suo articolo, la scrittrice d’avanguardia Can Xue ?? pochi anni fa ha dedicato alla Commedia un intero saggio, Yongsheng de caolian: jiedu Shenqu ?????-???? (L’eterno esercizio: lettura e interpretazione della Divina Commedia)[17], nel quale la definisce come un altissimo esempio di ‘letteratura pura’ (chun wenxue ???) che, nella sua concezione, è «un particolare prodotto spirituale, le cui antenne sondano le profondità dell’anima umana ed è in grado di descrivere anche le persone più comuni […]; una letteratura autonoma da ogni altra cosa, dotata di sue regole particolari a cui si attiene nel suo sviluppo. Una letteratura pari alla musica e all’arte più elevate, pari alla filosofia.»[18] Vediamo come la Commedia non è più, come è stata per decenni in Cina, un modello a cui aspirare per il rinnovamento della cultura ai fini di una costruzione identitaria, né la chiave di accesso al mondo europeo e medievale, ma un testo in grado di parlare con immediatezza ai lettori contemporanei e una fonte inesauribile di riflessioni su letteratura ed estetica.

 



[1] Alessandra Brezzi, La Divina Commedia dall’Italia in Cina, in La letteratura italiana in Cina, a cura di A. Brezzi, Roma, Tiellemedia 2008, pp. 217-237; v. anche Infra, contributo di Kim Kukjin.

[2] Falbo Caterina, Russo Mariachiara e Sergio Francesco Straniero, Interpretazione simultanea e consecutiva. Problemi teorici e metodologie didattiche, Milano, Hoepli 1999.

[3] Ii Sangyeob, Tant’e-ui Sin’gok Chiokp’yon che 5 kok Yon’gu [Studio su Inferno Canto V della Commedia di Dante Alighieri], «It’alliao Munhak [Lettere italiane]» 64 (2021), pp. 111-134.

[4] Kim Woon-chan, Dante Alighieri, Sin’gok [Divina Commedia], traduzione in coreano, 3 voll., Seul, Yollinch’aektul 2007.

[5] Park Sangjin, Dante Alighieri, Sin’gok. Tant’e Alligieri-ui K’omedia [La Divina Commedia di Dante Alighieri], traduzione in coreano, 3 voll., Seul, Minumsa 2007.

[6] V. Emanuele Banfi, Agostino Biagi (???Ao Shiding), traduttore in cinese della Divina Commedia: il suo grande amore per la Cina, per la sua cultura, per la sua lingua, «Mondo Cinese» 170, XLVIII, 2 (2021) p. 73; la traduzione dei versi dell’Autobiografia è di Luca Pisano. Il passo ricorda la nota lettera di Matteo Ricci datata novembre 1585: «[… mi sono] fatto un Cina […] nel vestito, cera, nelle cerimonie e tutto l’esteriore ci siamo fatti cinesi» («La Civiltà cattolica», Vol. 5, 18a Serie (1902) p. 221).

[7] Luca Pisano sta realizzando uno studio approfondito delle traduzioni della Commedia realizzate da Biagi; lo ringrazio qui della generosa condivisione della prima bozza di un suo saggio di prossima uscita.

[8] Forse una particolare forma, attestata in alcuni dialetti, per mahu ??, ‘confuso; indistinto’.

[9] Consultabile in rete nel Sito dell’Accademia della Crusca, a cui sono state donate le carte di Agostino Biagi: https://

accademiadellacrusca.it/it/contenuti/la-commedia-in-cinesein-rete-il-primo-quaderno-del-fondo-biagi/24627. Ringrazio la collega Wang Meihui per avermi aiutata a decifrare alcuni caratteri della grafia corsiva di Biagi.

[10] Liu Ruili ???, Zhuming fanyijia Xiao Tianyou de zhe ban «Shenqu», shi wei Zhongguo dazhong duzhe liangshen

dingzhi de ???????????«??»,????????????? (L’edizione della Divina Commedia del noto traduttore Xiao Tianyou è fatta su misura per i lettori cinesi), intervista a Xiao Tianyou, 9 settembre 2021 (o.l.http://m.bookdao.com/Article.aspx?id=427253; ultima consultazione:giugno 2022).

[11] Bai Yang, Settecento anni di una vita che non finisce, «il Giornale», 28 dicembre 2021 (https://www.ilgiornale.it/news/mondo/settecento-anni-vita-che-non-finisce-1998608.html).

[12] Jiang Yuebin ???, Danding zai Zhongguo de bainian huigu ?????????? (Riflessioni sui cento anni diDante in Cina), «Waiguo wenxue yanjiu ??????» 1,(2015) pp. 130-138.

[13] Lu Xun, Il potere della poesia di Mara, in Poesie e scritti sulla poesia, a cura di Anna Bujatti, Roma, Ist. della Enciclopediaitaliana, 1981, p. 96.

[14] Cfr. Fusini, Letizia, World Humanism(s), the Divine Comedy, Lao She’s “???????” (“Literature of the Soul and Buddhism”), and Gao’s Soul Mountain, «CLCWeb: Comparative Literature and Culture» 15.5 (2013); o.l.: https://doi.org/10.7771/1481-4374.2345

[15] Ba Jin ??, Shuo zhenhua zhi si ????? (Parole vere, N. 4), Ba Jin quanji ???? (Opera Omnia di Ba Jin), Vol.11, Pechino, Renmin wenxue chubanshe, 2000, p. 390.

[16] Intervista a Gao Xinjian realizzata da Horace Engdahl il 13 dicembre 2000, o.l.: https://www.nobelprize.org/prizes/literature/2000/gao/interview/; cfr. anche Fusini, cit.

[17] Edito dalla Shiyue wenyi chubanshe, Pechino, 2004: anche o.l.: https://www.99csw.com/book/9991/357985.htm

[18] Can Xue, Op, cit., Introduzione.


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