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da Imbiss (2005), in Disney contro le metafisiche[i]
ALESSANDRO RAVEGGI è nato a Firenze il 2 giugno del 1980. Dottorando in Estetica all’Università di Bologna e allievo di Sergio Givone, ha pubblicato fra l’altro il volume L’Evoluzione del Capitano Moizo (Zona, gennaio 2006). Ha scritto la teatrale Trilogia del Congedo comprendente «La caduta», finalista del Premio E.T.I nazionale alle Arti Sceniche Dante Cappelletti e messa in scena al Teatro Valle in Roma dalla compagnia da lui diretta, Teatro dell’Esausto. Cura con il poeta e critico Tommaso Lisa la rivista e consort multimediale Re:
Il mondo visibile dell’esperienza è
quella cosa procreativa che fa pregne le Muse
(H. MELVILLE)
to pragma auto / to prang ma autho[ii]
7.
di questi spiriti, d’armature,
finezze, geometrie
e d’amare, il motivo:
oltre ad essere
frantumato il ticchettio
del pendolo,
le vacche nella notte
tutte un pois,
e le segnaletiche, gli Achtung: non ci
basta, il tanfo rarefatto
degli ostelli,
gli sponsor, venir bene
nelle fototessere sbiadite,
il mercato cinese, il libero mercato
risolto in goffo bluff,
l’esser sazi del paté,
masticando col suono
del mastice tra le dita: non ci
basta, la piscina olimpionica,
sebbene il cloro
cancelli gl’occhi,
i flash degli obbiettivi Reuters,
i gorilla alle vie di fuga,
dita agli auricolari, quanto non ci
bastano i dossi,
che distoglierebbero
dalla velocità, della vettura
(e, non ti preoccupare:
mai completato un album
di figurine, in vita.)
6.
tacito nostro adoremus,
a un’epifania di Elvis,
pacchiana sfinge da balcone,
sipario senza maschere
per interni alogeni,
non si sa dove vada a parare,
laconico, unico pare il
suo bolso messaggio
oltre i tetti:
mettere in salvo i bimbi,
specie quelli biondi e in salute,
dalla bulimia,
dall’ammassare
dei roast beef,
finché si è in tempo,
di oscillare le pelvi,
di dirigere il gioco dei lombi,
nello star system
(crediamo, si chiami,
elevazione culturale
da decimo piano,
ancheggiare dei tempi,
o semplice gotta del moderno
paillettes sulle spalle,
opportunità di una
guida spirituale…)
5.
sfiniti i ginepri, i mirti,
gl’irti pinastri,
in apostrofe, rimane il
frinire, delle serrande,
il venire, dei volti a St. George,
vestiti e spiritati, di fratta,
in fratta, fradici,
a condursi, anodo e
catodo in elettrolisi,
nella selva bagnata,
note sincopate
(stromenti diversi,
jazz da favola)
della fabula bella:
un andirivieni
d’eroi, di fiction,
in fiction,
che già lei trema,
e tu fremi: sei la figlia, muta,
la figlia afona,
non favella, bella balla,
in fabula poi
(opus in fabula,
di fibula:) in favola
d’uopo, stiamo e
stacci, a questi lacci:
e taci.
4.
dai due versi, da tergo,
due pere in still life
(ancora vita), buccia spessa,
masticati i piccioli:
disacerbiamo, freniamo
(natura morta), troppo in fretta,
accelerati, chicane su chicane,
nell’euforia di St. Pauli,
permessa trasgressione,
organi di lattice in vetrina,
dal meccanismo interno,
recondito, prezioso, osceno,
stridente e sfinente.
3.
come brilla, una lente: ché per te:
c’è una metafora ottica, è dire:
l’opaco è passato, su cui merita
testamentare, far fuori l’attimo,
nell’impassibilità, del killer, ché con te:
si filtra, la raggiera delicata,
ridicola ridda spinosa,
l’iridescenza si filtra e s’incanta,
s’affascina, si cauterizza, lo sbrego,
s’intreccia l’evento, lo strato, l’unghia,
la pellicina: preso in mano più volte
il diamante, buono il taglio, ma una sequela,
di facce, di fauci, da sfamare, (l’errore è
nello strumento, nella sua tara,)
instabile scalino acuminato, rischio
dell’istrice, e sputacchiera alemanna
non centrata, di questo bistrot,
spietatamente consolante,
mustacchi d’antan, e nostro
versare birra, schiuma versare,
schiumare, come nitrire,
e tergiversare.
2.
e restano: due mari che si contendono
l’Elbe a spallate, gli scritti di Rilke sul
cantore squartato, la propedeutica
di Jean Paul, contorta, su quello scaffale,
il Parco cittadino mai attraversato, illuminati
di curry indiano, lenzuola cambiate ogni giorno
da una vecchia assassina bonaria, occhi
che ti scarniscono alla reception, questa
doppia, doppia salvezza, doppia coltrice
con ferita nel mezzo, arginabile, sta
come la condizione ideale del restare,
in un quartiere centrale, in una scelta azzeccata,
abilità retorica del cartografo, inutile vezzo,
sacker torta che intorpidisce le gengive,
ricreazione di tutti i sensi, di questa doppia,
doppia perfezione della specie umana,
mirabile concordia gentium: il nostro stare,
distesi, a strati, come sandwich,
strofinandoci le ossa, le squame,
per farle brillare.
1.
Atterrare, nelle favole, a Lubecca,
di casette rustiche, a schiera,
la strada tortuosa, fuori dalle aspettative,
come i turisti romani, nei sedili posteriori,
la nostra sfida in vernacolo, tua vicinanza
nei rimproveri, ingenuità e magazzini BMW,
IG–Farben, Despar, a schiera,
senza il pregiudizio perpetrato dai film,
col biondo zigomo di lama,
macchinetta isterica, spazieren, spazieren!
gasato dalle sue spille, dalle sue tibie seminate
nei campi: nelle favole, atterrire, nella schiera,
col cattivo, l’uomo nero, potrebbe essere l’autista,
la donna dietro di lui, stretta nel foulard,
una spia turca, pure tu, quella gagliarda, atterrata,
con l’ultimo volo, che mi incastrerà,
dopo estenuante seduzione, passando
alla storia, alla Storia, fedele restando.
0.
l’atrofia dei rovesci che ti allega,
i fuseaux che smagriscono,
è l’odore assoluto, sospesa nota,
sintetica presa, ponderazione dei segni,
la vorace presa delle labbra, tagliola
alle caviglie, contro la ritirata, l’infossamento
d’io, è prevedibile, come supplizio
dell’ennesimo Kruger, assurdamente
prosciugato, nelle tue coperte, disseminato,
nelle tue pieghe, e ghignata di Freddy,
che rimbomba, spietato e ironico, sfaldato,
nel ghigno ripagato, compiaciuto,
dal pubblico intirizzito,
interiorizzato, attratto nel rito.
(a Caterina)
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