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« indietro «Il mio sguardo è una serra». Theresia Prammer Etwas heraus geben bedeutet, es noch nicht heraus zu haben
Oswald Egger
I «Il mio sguardo è una serra» è il titolo che in qualità di curatori Federico Italiano ed io abbiamo voluto dare alla presentazione, in occasione del festival della traduzione di Napoli, di due antologie, una di poesia italiana e l’altra di poesia tedesca, che stavamo allora rispettivamente preparando. In questa metafora del poeta Jan Wagner, si può riconoscere infatti una precisa indicazione programmatica: lo «sguardo» potrebbe rappresentare la mente critica, mentre la «serra» porta al cuore stesso dell’idea di antologia, ossia dell’immagine (ben nota, tra altro) di una raccolta di piante protette da un vetro trasparente, di una dimora artificiale e temporanea di organismi viventi. A questo significato del termine «antologia» (tanto più evidente nel latino florilegium, in cui il concetto stesso di una selezione coincide esplicitamente con la pratica della raccolta di fiori scelti, eletti), l’idea di «serra» aggiunge un accenno alla fragilità dei meccanismi di coltivazione e di conservazione, nonché un riferimento all’ideale di trasparenza dei criteri critici adottati nella composizione delle nostre antologie. Infatti, nonostante le premesse delle singole imprese antologiche fossero diverse, abbiamo seguito, approfondito e accompagnato insieme i nostri rispettivi lavori in un’operazione sotto molti aspetti speculare, fungendo reciprocamente da traduttore/traduttrice da una parte e da curatore/curatrice dall’altra.
La mia antologia, che nel frattempo è uscita col titolo Ricostruzioni. Nuovi poeti di Berlino (Scheiwiller, Milano 2011), è stata pensata come una selezione rappresentativa di poeti tedeschi contemporanei di varie provenienze (nati tutti tra gli anni sessanta e ottanta), ma accomunati dalla scelta di vivere e operare letterariamente in uno stesso luogo, la città di Berlino, appunto. La scelta di questo habitat esistenziale e poetico – come detto, in genere elettivo e non originario – è di per sé significativa dal momento che la capitale tedesca è ormai da parecchi anni il fulcro culturale della Germania, un luogo di fecondissima «immigrazione culturale» per artisti di ogni genere e orientamento espressivo. Va da sé che un’antologia sui poeti di Berlino ha dovuto di necessità interrogarsi anche sui motivi di questa for za di attrazione, tuttavia senza cadere nell’equivoco di confondere meccanicamente criteri estetici e fattori storico-anagrafici. Di conseguenza, a poco più di un ventennio dalla riunificazione delle due Germanie, ho voluto passare in rassegna le tappe di un’appropriazione ancora in corso, ma tenendo in sieme presente che lo spazio cittadino in questione, che dopo il 1989 ha costituito per molti una specie d’immensa superficie disponibile per le più diverse e spesso azzardate sovrascritture, è negli anni continuamente, inevitabilmente cambiato.
Un libro con dodici ritratti di poeti based in Berlin (come recitava lo slogan di una recente mostra alquanto discussa di artisti con sede più o meno fissa a Berlino) è dunque una doppia ricostruzione: una ricostruzione dei percorsi individuali e dei modi di partecipazione di dodici esponenti privilegiati della rinascita berlinese del dopo 1989 (ma senza negare i conflitti, le incompatibilità o perfino gli scontri in atto), e una ricostruzione del cantiere poetico di una città che ormai da due decenni si trova appunto in uno stato di continua ri-costruzione.
II Come il giardino cresce col disegno Il disegno cresce col giardino Questi versi di Bertolt Brecht che ho posto in epigrafe all’antologia, concludono una splendida poesia risalente agli anni dell’esilio: Garden in progress, che si riferisce al giardino californiano di Charles Laughton. La poesia, a quanto mi risulta, non è stata compresa in nessuna delle più importanti raccolte delle poesie di Brecht uscite in Italia. Ed è tutto sommato una stranezza, perché si tratta davvero di un piccolo gioiello: un manifesto di poetica in miniatura incarnato in un luogo fissato nel perenne divenire del proprio disegno e della propria struttura. La naturale metamorfosi di un luogo, sostiene Brecht (che riflette sul concetto di giardino da sradicato, cioè esattamente nella «condizione che chiamiamo esilio», per servirsi di una nota definizione di Iosif Brodskij), risulta una parte integrante del progetto sul luogo, della sua costruzione.
In Garden in progress le piante, contrassegnate da mortalità, rigenerazione e imprevedibilità, rivestono una funzione fondamentale in un processo di mutamento e rigenerazione continua della vita. Questo ci riporta appunto nel merito della specifica pratica di una scelta antologica, che ha sempre il carattere di una scommessa. Puntare su alcuni poeti e valorizzare il loro lavoro non significa affatto raccogliere il frutto di un’attività ormai registrabile e archiviabile, ma piuttosto assomiglia a qualcosa come uno spargere semi che sono anche potenzialità protese verso il futuro. Nell’immagine rigorosa e insieme mutevole del giardino in progresso, l’operoso intervento del giardiniere e delle stagioni sospende la staticità: nel geometrico e calibratissimo assetto del giardino s’introduce un elemento conturbante. Quando si trasforma artificialmente un luogo è necessario comunque fare i conti col fatto che questo luogo si trasformerà a sua volta secondo le proprie leggi; che è un luogo sempre in progress, appunto. Le mappe, il disegno, non potranno mai contenere per intero quello che circoscrivono, perché quanto è circoscritto non smetterà di riassestarsi e di risistemarsi, a partire dalla fibrillante energia intrinseca dei suoi componenti. Allo stesso modo, se intendiamo il lavoro di curatela come l’allestimento di un terreno su cui esercitare la nostra più o meno esplicita passione giardiniera, non dovremo tuttavia dimenticare che il passaggio o movimento della traduzione è a sua volta fondamentale nel determinare l’esito della nuova architettura di paesaggi insieme naturali e artificiali.
III Secondo un pregiudizio molto diffuso, le antologie possono offrire soltanto fotografie di gruppo. Di conseguenza, gli autori starebbero stretti in un tale sistema di autorialità plurima, non desiderando affatto essere posti «a servizio di qualcosa» che non sia la loro stessa poesia. Sono convinta tuttavia – e questo non soltanto perché nella raccolta ogni poeta viene rappresentato da un gruppo piuttosto cospicuo di testi – che nella pratica antologia, che comporta una esemplificazione comunque parziale e orientata, non sia implicito nessuno livellamento o omologazione forzata. Anzi: accostamenti e vicinanze inedite creano nuove relazioni e nuove osmosi all’interno di uno stesso contesto. Il sistema non impedisce l’espansione delle sue singole parti. Semmai è giusto che un autore possa avere più di un’opportunità, più di una vita. Se si prosegue il ragionamento su questa linea concettuale, dare forma a un’antologia potrebbe allora corrispondere alla realizzazione di una visione, in fondo non troppo diversamente, ad esempio, dal modo con cui Walter Benjamin si entusiasmava a compilare collezioni di citazioni (altrui), arrivando perfino a sognare un libro fatto di sole citazioni. In effetti, questo lavoro di estrapolazione e riordino di frammenti sottratti al loro contesto originario porta a una specie di illuminazione reciproca degli elementi «in libertà», in sospeso. Esiste un momento in cui l’assemblaggio (mai casuale) del materiale testuale sconfina nella definizione di una scrittura. Tra altro, nessuna parola «fine», con i suoi inevitabili riflessi malinconici (che nel mio caso potrebbero anche essere quelli legati alla pubblicazione del libro), potrà impedire che l’antologia, teatro di contenuti ordinati per eccellenza, rimanga in fondo uno studio sull’incontenibile, un’opera aperta per eccellenza. Incontenibile per la stessa natura bifronte e ambigua del mezzo poetico, incontenibile e vorace come ogni grande metropoli, con i suoi tanti quartieri che si vantano di possedere altrettanti centri cittadini.
L’antologia, che appartiene a un genere di critica applicata, solitamente si propone di sondare e di selezionare, di esporre alla visione il materiale su cui poi giudiziosamente indaga. Questo comunque non impedisce che possa valere al contempo come una testimonianza di poetica in fieri. «Etwas heraus geben bedeutet, es noch nicht heraus zu haben», ha scritto a questo riguardo, con la propensione al doppio senso intraducibile che gli è propria, il poeta tedesco di origini sud-tirolesi Oswald Egger, fondatore e per anni curatore della rivista letteraria «Der Prokurist». Proviamo lo stesso a tradurre questo enunciato: curare qualcosa (prestargli attenzione, comprenderlo in un volume, accompagnare la sua uscita) significa non averlo ancora compreso (capito). Ed è davvero così. Il curatore, proprio come un esploratore, può venire sorpreso dalle trappole, dagli imprevisti, dalle occorrenze imponderabili della sua stessa cartografia. Non esiste lavoro di curatela come mero risultato di una ricerca. Ovvero, reciprocamente: se la sua ricerca devia verso l’infinito, questo non sarà un indizio della provvisorietà del risultato, bensì della sua indomabile vitalità. Tutto si gioca sul discrimine tra la scoperta e la sua archiviazione, la cui linea frastagliata del resto coincide con lo stesso processo di conoscenza. All’interno di un’antologia un testo non perderà mai (non dovrebbe mai perdere) né la sua individualità né la sua forza di contagio e d’irradiazione. Allo stesso modo, se si decide di non includere un poeta in una raccolta, non lo si fa prevalentemente o prepotentemente per escluderlo, ma più semplicemente e profondamente perché questa o quel protagonista della scena letteraria non ha scritto nessuno capitolo rilevante per il nostro romanzo. Ecco un’affermazione che può sembrare velleitaria, ma che risulta invece una delle condizioni per la composizione non casuale, ecumenica o passivamente inclusiva di un’antologia poetica.
IV Solo qualche altro cenno su alcune proprietà di Ricostruzioni. Anzitutto il fatto che i poeti presenti sono stati scelti anche perché in forte comunicazione tra loro: di poetica, anzitutto. Negli anni passati il lavoro sulla poesia, ferma restando la singolare individualità di ciascuna voce, è stato un fatto di forte condivisione: di poetica, esistenziale, emotiva, organizzativa, persino. Nessuno, in pratica, ha corso soltanto per conto suo. Ricordo viceversa che un’altra antologia di poesia italiana contemporanea online, italo.log, che per più di due anni ho curato assieme a Roberto Galaverni per le pagine delle rivista culturale satt.org, è stata invece un lavoro essenzialmente a mosaico, basato su criteri influenzati fortemente dal luogo di pubblicazione: la rete. Se dunque italo.log è stata un’antologia costruita consapevolmente col grandangolo, per Ricostruzioni ho adottato, se così si può dire, lo zoom. E quale posto più adatto poteva esserci per posizionarlo, in questi anni in Germania, della città di Berlino, con la sua aria inconfondibile e sempre nuova, con il suo «groviglio» di luoghi e passaggi, lì dove l’intraprendenza (davvero notevole) è riuscita tante volte ad andare a favore dell’intelligenza? Una città che, come poche altre in Europa oggi, si distingue per apertura al diverso, per internazionalità e varietà di articolazioni artistiche e culturali, per correnti «progressive» innestate però sulla migliore tradizione poetica non soltanto tedesca. A volte penso perfino che si dovrebbe addirittura parlare, riprendendo il titolo dell’antologia di Gianfranco Contini Poesia dell’Italia unita, di una Poesia della Germania unita, di cui Berlino sarebbe non solo il simbolo ma la concreta realtà di riferimento davvero incontestabile.
Se allora in Ricostruzioni si tratta anche di una «poesia del luogo», bisognerà intendere questa definizione come relativa a una poesia che ha sì creato, inventato un luogo, ma che inventandolo ne ha ricevuto a sua volta l’impronta e la misura. Come non pensare allora ancora una volta a Bertolt Brecht, che proprio al Berliner Ensemble ha concepito e dato forma alla sua versione-visione di teatro epico, disseminando le tracce e i semi della sua creatività in ogni luogo della città.
Approfitto dunque di questo ulteriore spazio dietro le quinte per riportare una mia traduzione integrale di Garden in progress, a cui ho fatto seguire i versi della poesia di Jan Wagner (ospite proprio a Napoli assieme a Gabriele Frasca e Alessandro Ceni) che ha dato il titolo al nostro intervento al convegno: Il mio sguardo è una serra. Per tutte le altre poesie rimando ovviamente al volume Ricostruzioni.
Bertolt Brecht Garden in progress Giardino in progresso
(da Gedichte und Gedichtfragmente, 1940-1956) Traduzione di Theresia Prammer Jan Wagner was der general nicht sagte ciò che il generale non disse
(da Probebohrung im Himmel, 2001) Traduzione di Federico Italiano ¬ top of page |
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