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« indietro PIERA MATTEI, La materia invisibile, S. Cesario di Lecce, Manni, 2005, pp. 111, Euro 10,00.
Di che materia si compone la musica, è il titolo dell’illustrazione sulla copertina, opera pittorica dell’autrice, il medesimo della poesia a chiusura del volume; La materia invisibile, è il titolo del libro, sotto l’illustrazione. La materia di cui si compone la musica è invisibile, ma anche le parole sono composte di materia invisibile, «le parole sono esse stesse Materia Invisibile». Musica e parole sono gli strumenti con cui mettere in atto ogni sperimentazione sulla realtà, per la loro intima con-sostanzialità gli unici in grado di penetrare nel vivo delle qualità che non cadono sotto i nostri occhi. Perché materia invisibile è «l’anima inseparabile delle cose». La raccolta, ordinata per sezioni cronologicamente retrograde all’interno di una più vasta scansione in due parti, si apre con le poesie di Gli angeli dell’insonnia. È infatti la realtà vigile dell’insonnia, notturna e diurna, lo spazio in cui credere nella materia invisibile, riconoscerla, rinnovarla, evitando lo specchio «perché lo sa di notte è invisibile». Nella sezione successiva, Lungo una sola direzione, l’invisibilità è restituita da un lavoro di musica e parole che restituiscono la tramatura originale della materia di cui esse sono parte, in un disvelamento da cui è impossibile fare ritorno. Nell’ultima sezione della prima parte, Epigrammi lirici. Le parole, la Mattei passa al setaccio le parole, per isolarle dalla materia intrinseca – «…e passarono notti a spillarle / dentro teche di collezionisti» –, disinnescare quelle eccessive, prepotenti, per poi riporre le altre «in comparti diversi», verbi, aggettivi, preposizioni e «…i nomi, ben lucidati, risplendenti / ma silenziosi, innocui», fino a ridurre tutto all’essenza, all’unicità dell’invisibile. La seconda parte della raccolta, anche nei titoli, è dominata da voli. Voli di uccelli che prolungano una felicità sospesa, spalancati su una Roma verde nell’inverno (Siamo noi quel l’uccello), voli di stelle e pianeti, e piccoli voli di creatura terrestre, gallina monca, rasoterra e a ritroso, «eliminando – uno alla volta – i sensi», consapevoli dell’azzardo e della vertigine, anelanti alla stabilità delle querce, a vivere strettamente legati ad altri «più pesanti oggetti / a corpi dotati / di radici, a pietrosi / immobili concetti». La materia che compone la musica della poesia finale è una sintesi della riformulazione dei corpi, e il suo presupposto, avvio e conclusione del passaggio invisibile: nuvole, canti alati dalle penne robuste, ma «quietamente spiegate / navigano alla voce del soprano // sovrana assorta / senza strumenti se non l’aria / nella gola, nel docile palato».
Mia Lecomte ¬ top of page |
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