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JUAN VICENTE PIQUERAS, La hora de irse, Madrid, Hiperión 2010, 73 pp., €9,00

Vincitore del XXVI premio Jaén di Poesia, Piqueras consegna ai suoi lettori una nuova raccolta in bilico tra la vita e la morte che aspira a ricostruire quasi una storia universale dell’uomo attraverso quel metodo induttivo che gli è così caro.
È proprio l’aspirazione del poeta ad universalizzare la sua particolare esperienza di vita interiore che ci trascina in un lungo viaggio per una spiaggia senza mare ovvero un deserto, che culmina nel ritrovamento delle proprie orme lasciate sulla sabbia alla partenza. Ogni passo è sete, solitudine, il tempo che l’uomo non ha avuto per riuscire a conoscere se stesso.
Accompagnando ogni nostro passo, un piede dopo l’altro, in questa lettura, il poeta fa scontrare l’idea di tempo lineare che abbiamo della nostra esistenza con il ciclico abbraccio tra la vita e la morte. Le poetiche immagini dell’arco e del ventaglio riassumono in uno scoccar di freccia e uno sventolare di stoffa l’intero svolgersi di una vita lineare all’interno di un più gran de processo circolare. La forma curvilinea dell’arco e del ventaglio, la vitalità dell’atto sessuale dei due giovani consumato in un campo di battaglia su cui sono morti tanti soldati, la cena tra amici che si ripete ora come nel 1882 ad un tavolo di commensali ormai morti, sono il punto di partenza che stimola il lettore a riflettere ed osservare il proprio misero segmento di vita da lonta no, nell’insieme del grandioso progetto di una circonferenza. Nelle orecchie l’eco di queste parole «Ahora sueño / que lo que ya no soy vuelve a nacer».
(Cristina Verrienti)
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