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Poesia e prosa[i]
 
di Alessandro De Francesco
 
Questo dossier si propone di trattare e riattivare la questione annosa del rapporto tra poesia e prosa da una nuova angolatura e con una metodologia insolita. È diviso in due parti: la trascrizione di un dibattito su prosa e poesia organizzato da Laura Barile all’Università di Siena, al quale hanno partecipato Antonella Anedda, Stefano Dal Bianco, Alessandro Fo e Antonio Prete, e tre interventi in francese rispettivamente di Judith Balso, Jean-Marie Gleize e Fabien Vallos. Anedda, Dal Bianco, Fo e Prete non hanno più bisogno di molte presentazioni per i cultori di poesia con temporanea. Ricorderemo semplicemente che sono quattro autori di generazioni e provenienze diverse, ma legati da un comune panorama poetico, editoriale e accademico. È invece necessario contestualizzare i tre autori francesi ai quali abbiamo chiesto dei contributi. Judith Balso è una filosofa e specialista di poesia e teatro, professoressa all’European Graduate School in Svizzera e al Collège International de Philosophie di Parigi, e segretaria in una scuola di design. Ha scritto sulla poesia moderna e contemporanea, in particolare una monografia su Pessoa pubblicata presso Seuil (Pessoa: le passeur métaphysique) e una raccolta di saggi su, tra gli altri, Leopardi, Mandelstam, Pasolini, Aigui e Stevens (Affirmation de la poésie, Caen, Nous, 2011). Jean-Marie Gleize è un protagonista della scrittura sperimentale in Francia da più di trent’anni, e professore emerito di Letteratura francese all’École Normale Supérieure di Lione. Pubblica dal 1990 un ciclo di opere appunto a metà strada tra prosa e poesia nella collana Fiction & Cie., presso Seuil. L’ultimo volume pubblicato è Tarnac (2011). Il prossimo volume è in preparazione. Un dossier sulla nozione di «post-poesia», coniata da Gleize per definire un insieme di pratiche di scrittura post-generica e di arte contemporanea provenienti dalla tradizione poetica, è uscito nel numero 40 di «Semicerchio» (2010), con interventi di Dieter M. Gräf, dello stesso Gleize e di chi scrive. Fabien Vallos, classe 1972, è una figura poliedrica e di influenza crescente nel panorama contemporaneo francese. Professore di filosofia dell’arte all’École des Beaux-Arts di Bordeaux, editore (éditions MIX., Parigi), teorico della letteratura (Le poétique est pervers, 2007), scrittore (numerosi libri all’incrocio tra teoria e scrittura sperimentale), curatore (in particolare di mostre di arte concettuale di risonanza internazionale, come Chrématistique e Art by Telephone), artista (celebri i suoi banchetti-performance con centinaia di persone), specialista di storia della cucina e cuoco professionista, Vallos lavora infaticabilmente all’interazione tra poesia, teoria e arte.
Quello del rapporto prosa-poesia, come gli interventi contenuti in questo dossier sembrerebbero tutti affermare, pur nella diversità di linguaggi e posizioni, è un problema tanto annoso quanto falso. Un problema su cui si scrivono da secoli fiumi di parole e che ciononostante tutti noi tendiamo a risolvere, talvolta dicendo: in fondo si tratta di cambiare paradigma, perché, come sottolinea Antonio Prete nel suo intervento, «il poetico può assumere tante forme». Secondo Prete, la distinzione da fare non è tanto tra poesia e prosa, ma tra ciò che Prete chiama «il poetico» e i linguaggi omologati e codificati. Nel lungo e approfondito saggio filosofico che Fabien Vallos ci ha regalato, viene proposta la nozione di poiesis, centrale nel pensiero di Vallos, come punto di incontro tra le pratiche artistiche, il pensiero teorico e la scrittura poetica, sia essa in prosa o in versi, contro l’«autorità della rappresentazione». Vallos pone Hölderlin all’inizio di questa concezione della poesia come poiesis, ma sarebbe certamente d’accordo se a Hölderlin aggiungessimo Leopardi e, qualche decennio più tardi, Mallarmé e Rimbaud. È ciò che mi ha portato, altrove, proprio in un’intervista con Vallos, ad affermare che la poesia intesa in questo senso è in fondo un’arte recente. La poesia come poiesis è definita da Vallos, sulla scia di Heidegger, «elemento di avventura», un’avventura del linguaggio che separa non tanto la poesia dalla prosa, quanto le pratiche artistiche, anche letterarie, dalla narrazione come rappresentazione. Una distinzione, questa tra prosa e narrazione (romanzesca), che è fatta con molta chiarezza anche da Jean-Marie Gleize in una pagina che potrebbe essere quasi definita una dichiarazione di poetica. Vallos e Gleize convergono inoltre su una concezione «post-generica» delle scritture contemporanee, nella quale la possibilità della fine della poesia come genere, ma anche del romanzo come genere, dev’essere ulteriormente pensata. Se i poeti italiani della tavola rotonda continuano in un modo o nell’altro a pensare la prosa non-narrativa come «prosa poetica» o «poesia in prosa», Gleize propone un cambio di paradigma, che nomina, non senza una punta di ironia, «prosa in prosa». Questo il nome contemporaneo, per Gleize, della scrittura post-generica di derivazione poetica. Come ricorda Laura Barile, gli autori dell’antologia Prosa in prosa abbracciano una posizione simile rispetto alla questione ‘generica’, benché la ripresa del termine gleiziano sia in parte falsata dal fatto che in Gleize la nozione di ‘prose en prose(s)’ si misura con una tradizione fondamentalmente francese, che dal poème en prose baudelairiano si estende fino alla post-poesia – altro termine gleiziano – di Christophe Hanna e Franck Leibovici. Alessandro Fo e Stefano Dal Bianco sembrerebbero per parte loro assimilare prosa e narrazione, considerando la forte presenza narrativa nei loro testi poetici come una presenza di prosa nell’organizzazione prosodica. La loro posizione differisce dagli autori di Prosa in prosa e dallo stesso Gleize, che rifiuta la nozione di ritmo e musica nella scrittura della modernità, essenziale invece per Dal Bianco non solo nella versificazione, ma anche nella stessa prosa poetica. Antonella Anedda, se da un lato distingue poesia e prosa e tende a separare la prosa saggistica e la prosa poetica, dall’altro sostiene la non contrapposizione tra le due macro-forme, identificando una differenza debole tra di esse in termini di «vuoti e pieni». Ma ciò che i suoi interventi mettono in luce in particolare è il legame tra la scrittura poetica e il rapporto con la soggettività. Se ciò che gli interventi di Fo e Dal Bianco mettono in luce in particolare è il rapporto della scrittura con la soggettività, Anedda e Prete affermano l’indipendenza del testo dal soggetto scrivente, una posizione che è sostenuta anche da Judith Balso in riferimento a Mandelstam. Il rapporto al soggetto sembrerebbe influenzare la concezione delle forme poetiche: laddove c’è più soggetto, c’è più ritmo e, direi, diversamente da quanto afferma Laura Barile in relazione al «lirismo impedito» di Dal Bianco, c’è più lirismo; anche se Prete ricorda giustamente che non soltanto la distinzione tra poesia e prosa, ma anche tra lirismo e anti-lirismo, più presente in terra francese che in terra italiana, è da un certo punto di vista un falso problema. Il vero problema, aggiungeremo noi, è quello della distinzione tra buona poesia e cattiva poesia, laddove la nozione di poesia è da intendersi in ultima istanza non tanto come genere, ma come insieme di pratiche di scrittura che si sottraggono ai codici, alla rappresentazione e, come sottolinea Judith Balso a partire da Caeiro, al cliché metaforico: la poesia non opera rinvii ma dice quanto ha da dire. La poesia trova la sua specificità nel rifiuto dei codici semantici e semiotici, ma da questo punto di partenza essa può assumere ogni forma. Potremmo quindi concludere che non si tratta forse tanto di pensare la distinzione tra poesia e prosa, ma tra forme di scrittura che si oppongono e forme di scrittura che soccombono ai codici e alle rappresentazioni, e che potremmo chiamare «poesia» la prima delle due, per convenzione ma anche, come ricorda Vallos con la nozione di poiesis, per etimologia (tuttavia in Vallos, lo ricordiamo, la poiesis comprende anche pratiche artistiche al di fuori della scrittura). È quanto sembrerebbe suggerire Judith Balso in questa formulazione, che potrebbe fare da esergo al nostro dossier: «il poema assume che il linguaggio non con viene essenzialmente a quanto c’è da dire».


[i] “Semicerchio” ringrazia Alessandro De Francesco per aver assunto con passione la cura del dossier monografico di questo numero, originato da una generosa proposta di Laura Barile, sviluppandolo nella direzione di un inedito confronto fra poetiche italo-francesi, sul quale la prefazione riflette la posizione personale del curatore. La rivista resta comunque aperta a ulteriori contributi di autori e critici che vogliano intervenire nel dibattito [F.S.]


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