« indietro AA.VV., The Character unbound. Studi per William N. Dodd, Arezzo, Bibliotheca Aretina, 2010, pp. 274, s.i.p.
Il volume è dedicato all’anglista William Dodd e perciò, oltre a interessanti e diversificati interventi, vi compare una sentita dedica e due poesie, una di Peter Levy e l’altra di John Morley, poste in apertura e chiusura della raccolta. Il vero protagonista è però il personaggio: tale figura si ‘libera’ – come il Prometeo riecheggiato nel titolo – per rivelarsi a noi lettori nell’arco di un’accurata indagine di circa 300 pagine che prende in considerazione i vari aspetti della sua essenza. Procedendo per aree tematiche, è possibile vedere come la linguista Silvia Calamai analizzi la ‘liberazione’ concentrandosi sull’ambito teatrale, dove i dialoghi dei grandi autori contemporanei vengono analizzati in quanto carte d’identità dei personaggi ideati. Anche Emiljia Dimitrijevic usa un approccio sociolinguistico: leggendo Shakespeare secondo le teorie di Bachtin – con la concezione della coscienza come riflesso di molti fattori tra cui la società – è possibile analizzare il personaggio partendo da aspetti che vanno al di là della pura semiotica. Seppur in modo diverso, Roberta Ascarelli si occupa anch’essa del singolo in relazione alla contingenza culturale: i poeti Hugo von Hoffmannsthal e Stefan George ‘incontrano’ l’opera di Baudelaire – e Hoffmannsthal anche quella di Nietzsche – rivelando due differenti poetiche e visioni del mondo. La presa di coscienza di sé è oggetto, inoltre, dell’intervento di Piera Sestini: il romanzo postmodernista da lei trattato è The Cloning of Joanna May, e sonda in maniera originale la questione dell’identità della protagonista, che scopre chi è solo una volta clonata. L’interesse per l’«humus identitario» è invece il focus di Valeria di Clemente, che si occupa dei miti nordici presenti all’interno di The Messenger di Brigitta Jónsdóttir, e mostra come tale autrice contemporanea sappia trattare con freschezza antiche leggende delle sue terre. Elena Spandri presenta un intervento su The Missionary, an Indian Tale – opera del 1811 di Lady Morgan – e svela come qui non vi sia solo un interesse per la tradizione in chiave non antropocentrica, ma il personaggio del missionario cristiano e della sacerdotessa indù siano vere e proprie epitomi delle Nazioni di appartenenza. Ulteriori approcci sono legati alle forme artistiche del teatro e della recitazione: Luisa Giannandrea si occupa dell’Hanswurst – figura del teatro popolare della Germania barocca conosciuta come ‘Arlecchino tedesco’ – e ne svela le origini mettendo in risalto come, nonostante il soprannome, le radici non siano italiane. Vito Di Bernardi espone invece il ruolo della marionetta in Asia legandola al teatro di ombre e mostra una visione dell’attore molto diversa da quella del mondo occidentale, che fa comprendere come la concezione dell’Io sia determinata anche dalla cultura di appartenenza. Ferdinando Abbri si occupa dell’Edward II di Christopher Marlowe ed evidenzia come una grande opera riveli la sua bellezza anche nel corso del tempo: la versione filmica degli anni Ottanta di Derek Jarman e il balletto di Bintely-McCabe del decennio successivo ne sono la prova ineluttabile. Questa coscienza del genio inestinguibile nei secoli è presente anche nell’intervento di Nicoletta Caputo: la studiosa, mettendo a confronto il personaggio shakespeariano di Richard III e quello del rifacimento settecentesco di Colley Cibber, pone in risalto la complessa dimensione psicologica – indice di una mente geniale – del personaggio. In Nanà di Zola la protagonista si mette letterariamente a nudo e ripropone l’eterna questione dell’identità: Pierluigi Pellini usa alcuni passaggi dall’opera del 1880 per porre in risalto l’impossibilità, per la celeberrima cortigiana, di averne una definita. Comunque la coscienza della frammentazione dell’Io nella seconda metà del Novecento diventa un fatto assodato, e genera nuove soluzioni linguistiche e forme narrative anche in Italia, come mette in evidenza Niccolò Scaffai partendo dal Modernismo inglese con Eliot e approdando, nella sua analisi, alla poesia italiana contemporanea. Il personaggio può essere indagato anche in maniera non canonica: Alan Partington analizza l’opera di Sir Pelham GrenvilleWodehouse tramite un corpus e pone l’autore stesso al centro dell’occhio osservante, con il suo linguaggio e la sua ‘comicità colorata’ ricca di ‘bathos’. A sua volta Laurie Anderson riporta i dati di un interessante studio condotto tramite interviste in inglese a parlanti non nativi, e mostra le strategie con le quali, negoziando l’interazione e stabilendo i reciproci ruoli, si rendesse effettiva la comunicazione. La raccolta si conclude con la versione in italiano di sette poesie di Seamus Heaney: Elisa Grandini, tramite la sua traduzione, pone in risalto nuovi elementi di questi testi nello stesso modo con cui ogni intervento evidenzia diversi aspetti del personaggio, essere complesso e perciò soggetto ad analisi e ‘liberazioni’ continue.
(Caterina Ciccone)
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