« indietro ANNA DOLFI (a cura di), L’ermetismo e Firenze. Critici, traduttori, maestri, modelli. Vol. 1, a cura di Anna Dolfi, Firenze, FUP 2016, pp. 485, € 18,90. Dal 27 al 31 ottobre 2014 a Firenze si è svolto un importante Convegno internazionale di studi ideato e condotto da Anna Dolfi: L’ermetismo e Firenze. L’occasione era legata al centenario della nascita di quattro poeti (Mario Luzi, Piero Bigongiari, Alessandro Parronchi, Vittorio Bodini) e alla vicina ricorrenza della nascita di poeti/ intellettuali/traduttori che hanno segnato il Novecento letterario europeo (Carlo Bo, Oreste Macrí, Vittorio Sereni). Nel 2016 la Firenze University Press ha pubblicato in due volumi curati da Anna Dolfi gli atti delle «cinque giornate» di Firenze: cosi denominate dai partecipanti «attivi e passivi ». Le dense giornate di studio hanno definitivamente fugato i dubbi circa l’accezione dei concetti ermetico/ermetismo: da riferirsi d’ora innanzi a un preciso periodo storico (1930-1945) e ad una specifica città (Firenze). Il primo volume, suddiviso in quattro sezioni, restituisce un quadro generale sia della Firenze degli anni 30/40 (con le sue riviste, i suoi caffè, le trattorie a basso costo, le case editrici) sia di alcuni dei protagonisti della stagione ermetica, primi fra tutti Carlo Bo e Oreste Macrí. Nel 1938 Bo, nella basilica di San Miniato (come ricorda nel suo intervento Marino Biondi: «Firenze vuol dire…» Carlo Bo, poesia, ermetismo, critica fra le due guerre, pp. 182-205), pronuncia il discorso fondativo per un’intera generazione: Letteratura come vita. Generazione (la terza) che si è opposta alla dittatura fascista attraverso la poesia (la cui oscurità puo essere intesa come opposizione a un’Italia, quella fascista, vociante e sguaiata; cfr. l’intervento di Alberto Casadei, L’ermetismo e le poetiche dell’oscurità, pp. 73-81) – mediata da simboli ricorrenti: l’afasia, il tedio, il languore, il dolore (Roberto Deidier, I simboli di una generazione, pp. 83-94), la figura femminile (Francesca Nencioni, Il mito della donna ctonia (Proserpina/Euridice) nella triade fiorentina, pp. 133-164)… -, l’interesse per le culture/letterature straniere (segno evidente di un marcato europeismo) rese accessibili dalle traduzioni (di Leone Traverso dal tedesco – cfr. Alberto Comparini, Prolegomeni all’ermetismo. Traverso, Bo, Bigongiari e Luzi lettori di Hölderlin, pp. 297-322 -, di Macrí e Bodini dallo spagnolo – cfr. Laura Dolfi, Oreste Macrí. Due traduzioni inedite/rare dal «Siglo de oro», pp. 253-293 -, …) che sovente hanno condizionato la lingua poetica degli stessi poeti/traduttori (Mario Domenichelli, Le traduzioni all’epoca degli ermetici, pp. 241-252). La voce dei protagonisti dell’ermetismo proviene non solo dalle loro opere ma anche dai numerosi scambi epistolari; da ciò l’interesse per la catalogazione e lo studio del poderoso archivio di Oreste Macrí (intellettuale di livello europeo; cfr. Nives Trentini, L’ermetismo di Macrí, teorico delle generazioni e ispanista, pp. 377-386), conservato nel fiorentino «Archivio Bonsanti»: gli interventi di Marta Scintu («Regestare» la corrispondenza a Oreste Macrí. Un’esperienza d’archivio, pp. 387-393), Dario Collini (Una testimonianza inedita dal Fondo Macrí. Le lettere a Simeone dalla «Roccaforte leccese dell’ermetismo», pp. 395-408), Emanuela Carlucci (Sulla corrispondenza tra Oreste Macrí e Alfonso Gatto, pp. 409-415), Sara Moran (Margherita Dalmati, amica di una generazione, pp. 417- 450) restituiscono sub specie macriana il ‘tono’ di una generazione. Nelle sei sezioni che compongono il secondo volume vengono analizzate le personalità e le opere di Luzi, Bigongiari, Parronchi, Bodini, Sereni: accomunati, secondo varie gradazioni, dall’esperienza ermetica, dalla poesia, dalla militanza in importanti riviste (cfr. Elena Guerrieri, La «gioventù poetica di opposizione» sulle pagine di «Campo di Marte» e di «Corrente », pp. 383-392), dalle letture di opere della grande tradizione italiana (Dante, Petrarca, Leopardi, Ungaretti, Montale…) ed europea (Hölderlin, Rilke, Baudelaire, Mallarmé, Valéry…). La poesia di Mario Luzi (fin dalla prima raccolta: La barca, 1935) è inscritta sotto il segno della φωνή; la voce/parola di matrice veterotestamentaria e giovannea, mutuata dall’esperienza giudaico-cristiana, viene esperita mediante l’agonismo del dettato poetico: la parola poetica, insomma, come azione spesso «depotenzia[ta]» e resa «convenzionale» «nella pratica della vita» (Franco Musarra, Mario Luzi e la parola, pp. 21-48). In Luzi la speculazione sul senso cristiano del vivere comincia dalla riflessione sul male: presenza ineliminabile dal mondo, da vivere però non solo come fonte di dolore ma come genesi mediata dalla ciclicita dell’esistenza: vita-morte-vita… (Marco Menicacci, Un tragico cristiano, pp. 205-217). Raccolte come Onore del vero, Nel magma (Romano Luperini, Luzi e la crisi del genere lirico da «Onore del vero» a «Nel magma», pp. 109-118), Dal fondo delle campagne (Anna Dolfi, Tempo e passaggio dal «Fondo delle campagne», pp.71-76) ampliano la poetica luziana: alla riflessione sul sacro – motivo costante in Luzi – si aggiunge la valenza mitopoietica dei luoghi (Firenze, la campagna, Siena), la registrazione dei mutamenti della societa, le metamorfosi del linguaggio… Caratteristica comune ai poeti della terza generazione e la poliedricità; cosi anche Luzi affianca all’opera in versi l’impegno di traduttore/ professore (Michela Landi, «Francamente »: Luzi traduttore dal francese, pp. 175-193), la saggistica e la scrittura teatrale, divenuta cogente nell’ultima fase della sua vita (Giulia Tellini, Il teatro di Mario Luzi. Gli anni Novanta (dal «Purgatorio» alla «Passione»), pp. 127-140). Piero Bigongiari ha legato il suo magistero di docente e la sua poesia al nome di Leopardi; con la tesi di laurea (L’elaborazione della lirica leopardiana, 1937) avvia un fitto dialogo col poeta recanatese (Paolo Leoncini, Il «Leopardi» di Bigongiari tra De Robertis e Contini, pp. 293-313) condotto nel corso degli anni sia sub specie magistri (Paolo Orvieto, Sul simbolismo. Il primo corso di Bigongiari al Magistero di Firenze, pp. 315-333) sia nell’atto poetico: il quale, oltre a Leopardi, si fonda sulla tradizione simbolista, sulla poesia romantica, su Petrarca, Ungaretti, sulla riflessione biblica e linguistica… (Adelia Noferi, Qualche nota per capitoli, pp. 277-292). I viaggi ‘fisici’ (Europa, America, Egitto, Grecia) o compiuti mediante le traduzioni (Dylan Thomas…) influiscono notevolmente sui versi di Bigongiari: solo l’uscita dalle mura di Pistoia consente al poeta, dopo viaggi (spaziali-mentali-linguistici) in terre lontane, di ritornarvi in un moto circolare di andata e ritorno (Theodore Ell, I viaggi fuori di casa, pp. 411-430). Il poeta non può essere disgiunto dal critico d’arte: la scepsi sul barocco, sull’informale viene compiuta da Bigongiari sotto l’egida della poesia: poesia, a sua volta, elaborata sub specie pittorica (Teresa Spignoli, «Ut poesis pictura»: la parola e l’immagine, pp. 365-382). La poesia di Alessandro Parronchi (già con la prima raccolta: I giorni sensibili, 1941) può essere letta come un «antiromanzo» atto ad opporsi a «tutte le declinazioni del moderno» fagocitanti l’uomo sempre più burocratizzato e «livellato dalla macchina» del progresso (Leonardo Manigrasso, Un capitolo di transizione. Lasciti crepuscolari in «Un’attesa», pp. 461-476). Poesia «intempestiva » che affianca alla riflessione sulla città (Firenze) – percepita come «dimora vitale» (Franzisca Marcetti, «La città come avrebbe dovuto essere», pp. 547-564) – il tema della natura (caro a poeti come Zanzotto) attraverso una scrittura (un linguaggio) «testimoniale e testamentario» (Francesco Vasarri, Temi e metri in «Pietà dell’atmosfera», pp. 477-490). Parronchi, uomo schivo e riservato (Marco Marchi, Parronchi, quasi un ritratto, pp. 451-459), è stato inoltre un raffinato storico e critico d’arte (Marzio Pieri, Di Parronchi le Orse e le Muse, pp. 517-545): l’ethos ermetico lo ha portato a travasare (come molti dei suoi compagni di generazione) le suggestioni figurative nelle raccolte poetiche (Simona Mariucci, Influenze michelangiolesche in «Replay», pp. 491-501), rendendolo alieno dall’«ossequio all’autorità […] onde poter buttare all’aria grandi costruzioni fasulle e dare saldo fondamento a nuove costruzioni» come dimostrano i suoi studi caravaggeschi. Vittorio Bodini: poeta, ispanista, traduttore…: personalità eclettica del panorama culturale italiano (simile in ciò a Ruggero Jacobbi); durante i fiorentini anni universitari (1937-’40) si lega ai maggiori protagonisti della cultura italiana: Montale, Luzi, Parronchi, Landolfi… e soprattutto Oreste Macrí: amico di una vita (come testimoniato dal poderoso carteggio intercorso tra i due, curato da Anna Dolfi – Bulzoni 2016) e trait d’union col gruppo ermetico. La poesia di Bodini, vicina in un primo momento alla poetica ermetica (si pensi a una raccolta come La luna dei Borboni del ’52), nel corso degli anni tenta di percorrere altre vie (Antonio Lucio Giannone, La «terza via» di Vittorio Bodini, pp. 571-582): si pensi a libri come Metamor (’67), le cui poesie, tra l’altro, affrontano il cogente tema uomo/industria (Andrea Gialloreto, «Albe a sonagli scabbie ore malate». Bodini e la civiltà industriale, pp. 611-626), ripreso in progetti di raccolte inedite (Zeta e La civiltà industriale o poesie ovali). Bodini lega il suo nome alla Spagna: sia per i tanti viaggi compiuti, sia per le numerose traduzioni di poeti (Lorca, Alberti…), che per l’assidua frequentazione dei poeti della generazione del ’25, di narratori come Pío Baroja e Camilo José Cela (Laura Dolfi, I progetti di un giovane ispanista, pp. 627-638), oltre agli studi sul barocco (Mario Sechi, Dal seme della poesia. Critica e poetica tra Barocco e Novecento, pp. 583-590) e sul surrealismo spagnoli. Il rapporto di Vittorio Sereni col gruppo ermetico è stato in prima battuta di carattere amicale: la frequentazione decennale con Luzi (Niccolo Scaffai, L’orizzonte precostituito. Sereni di fronte all’ermetismo, pp. 707-716), lo scambio epistolare con Parronchi (Francesca D’Alessandro, Sereni e gli amici ermetici, pp. 717-726), i contatti con Gatto e Bigongiari indicano un comune sentire tra gli ermetici e un poeta, come Sereni, che fin dalla prima raccolta (Luigi Tassoni, L’ermetismo sperimentale di «Frontiera», pp. 671-692) ha cercato di non farsi imbrigliare in facili etichette, rifiutando di essere schierato in toto e dalla parte delle cose e dalla parte delle parole (Lorenzo Peri, «Siamo tutti sospesi a un tacito evento». Il primo Sereni, pp. 693-705). Last but not least, e interessante ragionare sulle copertine dei due volumi: sul primo è riprodotta una foto di Anna Dolfi (A Firenze, tra evidenza e sogno) che immette, in medias res, nello spirito dei volumi: gli ermetici e la loro poesia. Poesia apparentemente enigmatica ma decifrabile con attenta applicazione; come per la foto, che ritrae un paesaggio nebbioso, un ingresso, la statua di un cavallo rosso: dal titolo dell’immagine ricaviamo che siamo a Firenze e, dopo qualche ricerca, si puo intuire il luogo ritratto: l’ingresso al nuovo teatro dell’opera (un modo per unire un’atmosfera surreale alla musica, alla poesia). Il secondo volume si apre con un’altra foto, firmata da Laura Dolfi (Città di memoria). L’obiettivo, posizionato dietro una finestra, si proietta verso Palazzo Vecchio (che è stato la cornice di una delle esperienze più importanti del nostro Novecento letterario), nel cui Salone dei Cinquecento hanno presso avvio le «cinque giornate» di Firenze. (Andrea Giusti) ¬ top of page |
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