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STEFANO GIOVANNUZZI, Amelia Rosselli: biografia e poesia, Novara, Interlinea, 2016, pp. 200, € 20,00.


Controcanto critico del «Meridiano» da lui stesso curato, che nel 2012 ha raccolto l’opera poetica di Amelia Rosselli, il nuovo libro di Stefano Giovannuzzi parte dalla scelta filologica che maggiormente connotava quel volume: dissentendo dall’ordine fino ad allora impresso alle pubblicazioni rosselliane, Giovannuzzi optava per un ordinamento dei testi in base alla data della loro pubblicazione e non della loro stesura. Una scelta foriera di conseguenze interpretative perché, privilegiando la ricezione pubblica della poesia di contro all’evenienza tutta privata della ‘scrittura’, già segnalava quello che sarà qui individuato come elemento connotativo della poesia rosselliana: la frizione tra libro e scrittura. È da questo nodo pubblico/ privato che nasce Amelia Rosselli: biografia e poesia, raccolta di saggi legati da nuclei ritornanti di riflessione e analisi, primo tra tutti la relazione complessa che intercorre tra scrittura, vissuto, libro. La tesi di fondo del libro di Giovannuzzi, che per Amelia il testo edito sia un faticoso accomodamento entro un’istituzione formale di quell’urgenza biografica che incalza una scrittura debordante e indomita, è provata innanzitutto dall’esordio nel 1964 con Variazioni belliche. Amelia Rosselli, pur avendo alle spalle un decennio di scrittura più apertamente autobiografica, sceglie di costruire il proprio profilo pubblico attraverso il testo più formalmente controllato di tutta la sua carriera poetica, peraltro presentato come prodotto di una rigorosa poetica espressa nell’allegato Spazi metrici, araldo del presunto antisoggettivismo sempre sostenuto con forza da Amelia. Giovannuzzi afferma che con Variazioni belliche la Rosselli mette a punto un sistema di occultamento e contenimento autobiografico che le prime poesie, più esplicite nei contenuti e meno formalmente strutturate, non consentivano, e nel contempo confuta la centralità di Spazi metrici come ratio compositiva della raccolta, sostenendo invece una diversa modellizzazione dei testi basata sul mandala junghiano, pratica di individuazione, «recinto protettivo del sé» (p. 71) e luogo di «ricomposizione tra io e mondo» (p. 73), vero elemento strutturante della raccolta.
Nel suo libro Giovannuzzi compie due operazioni critiche essenziali: ridimensiona la teoria metrica della Rosselli, che si esplica inizialmente con Spazi metrici e più tardi con la teoria ‘dattilografica’ e l’intervento nel laboratorio Pagliarani del 1988, e ricompone la sequenza canonica delle raccolte rosselliane, Variazioni, Serie ospedaliera e Documento, osservandone due fenomeni direttamente proporzionali, il progressivo sfaldamento della forma e il crescente affioramento del trauma ed emersione del vissuto. Biografia (trauma, dissociazione, urgenza psicotica) e forma (testo, contenimento, metrica) sono infatti in questo libro i due termini antitetici che sempre si confrontano e si scontrano. Spazi metrici, di cui Giovannuzzi mette in discussione la perspicuità, denunciandone il «tecnicismo ingolfato e pieno di falle» (p. 49), con la sua postulata fuoriuscita dal versoliberismo novecentesco, diventa la prova del bisogno di Amelia di un’autolegislazione che occulti l’input biografico della sua scrittura. Quanto alle due successive raccolte, si indaga con particolare acutezza sul passaggio da Serie ospedaliera (1969) a Documento (1976), raccolta- contenitore sfrangiata, meno protetta dal rigore della forma e perciò più soggetta all’esposizione autobiografica, nella quale non a caso si assiste al riemergere della violenza e del trauma, ovvero dello «scenario di rapporti incestuosi degli anni cinquanta» (p. 126).
Importante la lezione metodologica di Giovannuzzi, che alle «esauste liturgie» (p. 11) della lettura formalista e alla grammaticalizzazione del commento del singolo testo oppone un’attitudine interpretativa espansiva, preferendo un’analisi sequenziale del testo adatta allo «stato permutazionale, per cui ogni pezzo è variazione del precedente» (p. 80). Oltre alle serie di Variazioni belliche, l’autore utilizza questo metodo anche sui testi delle altre raccolte, illuminati mediante connessioni e ricorrenze semantiche con le poesie giovanili. Ad esempio nei due saggi Sequenze (per Rocco Scotellaro) e Rocco Scotellaro ovvero Carlo e la famiglia Rosselli: letteratura e mistificazione, il codice evangelico di Variazioni belliche e i rituali di morte delle poesie abruzzesi di Serie ospedaliera vengono decifrati tramite il ricorso a Cantilena (per Rocco Scotellaro), così come il ricorso ad alcuni testi più antichi di Primi scritti (My Clothes to the Wind) lascia affiorare interferenze autobiografiche, e svela la funzione di Rocco come attivatore poetico ma anche personaggio che scherma il trauma della morte del padre (e qui Giovannuzzi rileva peraltro come l’italiano sia per la Rosselli lingua della poesia ma anche lingua del trauma, tanto che in essa il trauma deve essere occultato, di contro alle lingue giovanili, più adatte alla flessione diaristica).
Lo stesso metodo critico espansivo è utilizzato da Giovannuzzi nel saggio che apre il volume, Derive biografiche e forma della poesia: Amelia Rosselli e gli altri, lettura interautoriale della Rosselli accostata a poeti come Pasolini, Fortini, Sereni, Calogero, che con lei condividono una declinazione della forma come topos di regolazione biografica, laddove la caduta di paradigmi formali condivisi nel secondo Novecento, e la conseguente necessità di un’autolegislazione formale, accentuano il rischio della deriva soggettiva. Amelia Rosselli non è certo la sola a mettere in atto strategie compensative e occultanti rispetto alla propria biografia, ma certo a rendere più cogente la frizione tra forma e vissuto è la natura fortemente traumatica ed esorbitante della sua biografia. Cosicché, come scrive Giovannuzzi, «l’ossessione per la forma e per la metrica risponde a un’urgenza di regolamentare la pressione di un vissuto percepito come enorme e fuori controllo, come una condizione di sofferenza» (p. 32).
Altra declinazione cruciale del rappor to tra ‘biografia e poesia’ è infine il nesso quantitativo che intercorre tra ‘scrittura inflattiva’ (p. 151) e sua reductio testuale: se ne parla in particolare negli ultimi due saggi, Biografia, scrittura, libro, in cui si ricorre alle lettere al fratello John per calcolare la misura della selezione rosselliana e concludere che ciascun libro non è che frammento residuale di tale scrittura, e La mente dattilografica, che affronta il tema della sempre frustrata ricerca di una misura autoriale e antitipografica del testo, una «strategia simbolica del tutto privata» (p. 167) non sempre comprensibile. L’ossessione rosselliana per il testo dattilografico è ancora una volta riconducibile a quel bisogno di oggettivazione che da sempre contiene per Amelia la deriva del vissuto. Nella vicenda poetica di Amelia Rosselli sembra insomma definirsi implicitamente un nesso tra la valenza eccedente del privato (l’eccesso emozionale e psichico, l’unicità dell’esperienza, il trauma portante) e il bisogno di definire regole, limiti, confini, formalizzazioni stringenti. Cosicché, secondo Giovannuzzi, per la Rosselli la forma non è tanto necessità di poetica quanto un feticcio salvifico, capace di arginare il magma biografico. Ben oltre il biograficismo desanctisiano o psicoanalitico, la ‘biografia’ è in questo libro intesa e utilizzata in maniera precipua: essa è sinonimo del vissuto affettivo e cognitivo, magma incandescente da cui per sottrazione nasce la sistemazione dell’opera, e da cui dunque non si può prescindere se si vuole comprendere in profondità il senso di quest’esperienza poetica. In tal senso il libro di Giovannuzzi ha l’ambizione di segnare una specifica via ermeneutica, che ridimensioni la teoria a vantaggio del vissuto autoriale e che rintracci le vie di connessione, sempre misteriose e intricate, tra ‘biografia e poesia’.

(Caterina Verbaro)

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