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CHOMAN HARDI, La crudeltà ci colse di sorpresa: Poesie dal Kurdistan, ed. orig. 2004 e 2015, testo a fronte, trad. dall’inglese e introduzione di Paola Splendore, con una nota di Hevi Dilara, Edizioni dell’asino, Roma 2017 pp. 99, € 10,00.

in: Semicerchio LVI (2017/1) (Neo)Barocco. Poesia del Seicento nella teoria contemporanea, pp. 125 - 126

«C’è un posto dove puoi annusare il piacere della terra / quando senti cadere le gocce pesanti delle prime piogge». Fin dai primi versi di questa raccolta, la voce poetica si dichiara legata a filo doppio con il luogo d’origine. Ma è un rapporto declinato con i toni dell’elegia, perché questo luogo è il Kurdistan, da dove l’autrice ha dovuto fuggire per due volte. Infatti quel primo componimento passa dal «c’è’ al ‘c’era». Sono luoghi che «ci perseguitano, ci appaiono in sogno», che nell’esilio vengono risvegliati nella mente dai dettagli più banali, «quando una filastrocca ti è entrata come un’intrusa nella testa».
Le poesie qui selezionate da Paola Splendore mettono a nudo il dramma del Kurdistan, la violenza impietosa di un’oppressione militarizzata che si scatena da decenni con incarcerazioni, torture, omicidi, massacrando centinaia di migliaia di persone, e che ha raggiunto il suo culmine nei tardi anni ’80 con l’uso di gas tossici, qui presentato nella concretezza dei suoi effetti: «la gente impazzì – / rideva, si piegava sulle ginocchia, si torceva, correva / alla sorgente, accecata, sbatteva negli alberi». Alcune poesie descrivono le deportazioni di massa, con evidenti echi concentrazionari: di uomini e ragazzi portati via legàti su camion, «Cosa è rimasto di loro? Pettini, / rosari, specchi, carte d’identità, in un mucchio, a inzupparsi di pioggia». È un vero e proprio inferno sulla terra, con un cane nero che scava nelle tombe per mangiarsi i morti: «Gli ho visto in bocca i vestiti / di mio cugino, quelli con cui lo avevamo seppellito».
La violenza pervasiva distorce anche la natura, come gli alberi colpevoli di offrire frescura e rifugio, e gli oggetti più innocui, come la corda usata per il gioco dei bambini. L’infanzia fatica a sopravvivere, e a comprendere concetti assurdi come i confini: «ho la gamba destra in questo paese / e la sinistra nell’al tro», dice divertita la sorella dell’autrice prima di farsi sgridare dalle guardie di frontiera.
La fuga diventa così condizione perenne che convive con il rimpianto elegiaco di cui sopra. Anche la fuga avviene in condizioni ambientali terribili, con cadaveri congelati rimasti in piedi. In momenti come questi il verso di Hardi sa farsi più figurato, come nelle istruzioni della poesia Prima di partire: «Avvolgi la tua lingua tra stoffe di seta / ogni parola separata dall’altra / per non farle scontrare, graffiare. (…) Trascinati dietro le scuole mentre vai, / le panche imploranti, / le lezioni di lacrime». O come in I libri di mio padre, che prendono vita propria per disperdersi, «scegliendo destini diversi». In quale altro modo farsi una ragione di un evento così traumatizzante come l’esilio dalla propria terra? Come altro descrivere un corpo martoriato dai gas tossici, se non come un fiore: «Perdo petali ogni notte / e il materasso diventa un letto di rose – nere, / rosso-ciliegia, rosa e oro».
Ma immagini così surreali spiccano in questi versi dove la cifra dominante, scrive giustamente Splendore, è la «loro disarmata semplicità, nelle poche similitudini e metafore presenti, nella concretezza dei dettagli e delle scene evocate». Ospite al Festival di Mantova e intervistata da Alessandra Pigliaru del Manifesto (8/9/2016), Hardi ricordava come all’inizio scrivesse con rabbia e sentimentalismo, così «mi sono esercitata nella distanza», anche grazie al passaggio dalla lingua madre curda all’inglese. Il risultato finale di questo procedere per sottrazione sono versi scarni e affilati, esempio magistrale di poesia-testimonianza. Come scrive Hardi ne Il mio paese: «Canto il mio paese per il silenzio che lo circonda. / Ricordo un paese che tutti gli altri / hanno dimenticato». L’autrice raccoglie voci e accumula dentro di sé un dolore infinito, di cui sente il peso opprimente, ma sempre grazie alla poesia può ancora scrivere ‘immagino’, sognare un paese diverso perché, ha dichiarato in quell’intervista, «la nudità della poesia è l’ago paziente disposto al rammendo, ripara e ricostruisce ciò che sembra impossibile da riconoscere».

(Pietro Deandrea)

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Iniziative
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Addio a Charles Simic

9 dicembre 2022
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Hodoeporica al Salon de la Revue di Parigi

19 settembre 2022
Poeti di "Semicerchio" presentano l'antologia ANIMALIA

13 maggio 2022
Carteggio Ripellino-Holan su Semicerchio. Roma 13 maggio

10 maggio 2022
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26 ottobre 2021
Nuovo premio ai traduttori di "Semicerchio"

16 ottobre 2021
Immaginare Dante. Università di Siena, 21 ottobre

11 ottobre 2021
La Divina Commedia nelle lingue orientali

8 ottobre 2021
Dante: riletture e traduzioni in lingua romanza. Firenze, Institut Français

21 settembre 2021
HODOEPORICA al Festival "Voci lontane Voci sorelle"

27 agosto 2021
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4 giugno 2021
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28 maggio 2021
Le riviste in tempo di pandemia

28 maggio 2021
De Francesco: Laboratorio di traduzione da poesia barocca

21 maggio 2021
Jhumpa Lahiri intervistata da Antonella Francini

11 maggio 2021
Hodoeporica. Presentazione di "Semicerchio" 63 su Youtube

7 maggio 2021
Jorie Graham a dialogo con la sua traduttrice italiana

23 aprile 2021
La poesia di Franco Buffoni in spagnolo

16 aprile 2021
Filologia della canzone: presentazione di "Like a Rolling Stone" di M.G. Mossa

22 marzo 2021
Scuola aperta di Semicerchio aprile-giugno 2021

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20 novembre 2020
Pietro Tripodo Traduttore: presentazione online di Semicerchio 62

19 giugno 2020
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1 giugno 2020
Call for papers: Semicerchio 63 "Gli ospiti del caso"

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28 aprile 2020
Progetto di Riscrittura creativa della lirica trobadorica

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31 maggio 2019
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