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MARIA BORIO, L’altro limite, Faloppio, LietoColle, 2017, pp. 72, € 13,00.

Diviso in quattro sezioni numerate (I, II, III, IV), L’altro limite di Maria Borio è un ipertesto poetico, una forma della trasparenza («un ritmo che lega gli uomini nella mia mente», p. 18) costantemente in fieri che si muove tra gli spazi dell’editoria cartacea e digitale, tra le «cose di vento, / cose che chiamano» (p. 13) e le «curve del tempo vuoto» (p. 64): «L’altro limite è il primo di un lavoro più ampio suddiviso in tre tempi: Il puro, L’impuro, Il trasparente. Il trasparente è la sintesi, il puro e l’impuro sono la tesi e l’antitesi. La sintesi del mondo digitale è il grande vetro attraverso cui traspaiono il puro e l’impuro mescolati, l’uomo e la tecnologia senza ruoli, l’io e il tu senza ruoli, la velocità e la prospettiva senza ruoli. L’uno altro limite dell’altro» (p. 67). Sospeso tra il quaderno Vite unite (XII, Marcos y Marcos 2015) e una raccolta di prossima pubblicazione presso la collana ‘Lyra giovani’ curata da Franco Buffoni per le edizioni Interlinea, L’altro limite esperisce la fenomenologia di una «casa senza io, gli altri l’accumulo / degli anni» (p. 30) che entra in contatto (fisico e telematico, umano e biologico – essere l’uno ‘altro limite’ dell’altro) con i «frammenti degli altri» (p. 16), «vite in frammento», «immagini / disordinate nell’etere» che si muovono nell’«altro limite», quell’«immagine» (p. 18) entro la quale tempo e spazio, essere e divenire, sono categorie «sospese» (p. 27) di una «linea curva» dove «ognuno abita come pensare» (p. 36). Come scrive Heidegger nella Lettera sull’«Umanismo» (1947), «il linguaggio è la casa dell’essere. Nella sua dimora abita l’uomo. I pensatori e i poeti sono i custodi di questa dimora». Lungo questa direzione ‘umanistica’, cui si deve aggiungere la polarità dialettica tra arte e tecnica che regola la tensione tragica dell’«abitare» umano, Maria Borio assegna all’ascolto della parola un valore ora etico, ora pragmatico, volto a trascrive un’analitica dell’essere intorno al pensiero poetico secondo le modalità conoscitive della lirica e della prosa – modalità che l’autrice alterna, in maniera volutamente non sistematica, nelle quattro stazioni dell’Altro limite.
Al centro di questo percorso vi è un soggetto multiforme che trascende, laicamente, le posture grammaticali e sintattiche dell’io («mio sangue mio / che non può parlare né suggerire, / ma lascia un’emozione in ognuno / di voi, per finire con me / all’interno, ma sempre meno / sempre meno fino a sparire, / nessuna traccia di me», p. 38; «Se sapessi quale filo invisibile, / quale corda tesa e bugiarda… / anch’io sotto l’alluvione, / sotto al peso incalcolabile? / anch’io vorrei smettere di dirmi / io», p. 47) per abbracciare una realtà nodale, un sistema di personae («Del bene infinite tra te e me / senza che io tu, tu io // possiamo almeno per un momento capire chi tu, chi io. Apparire nella strada interna l’uno dell’altro», p. 46) che si muove «dalla linfa alla foglia dall’arenaria alla terra, / dall’edificio alla casa, da io e te, / a una persona, un’altra persona, / […] dal mondo al mondo / a un altro mondo, senza storia / eppure lungo nella storia, un mondo / attraverso tutta questa verità / che c’era prima, che c’è sempre stata» (p. 38). La poesia di Borio si muove in un orizzonte ermeneutico della fatticità (Faktizität), per il quale i processi di comprensione dell’io costituiscono il movimento fondamentale dell’essere, il progetto chiamato a disvelare le infinite possibilità del mondo, il cui compito è di riportare l’esistenza al piano dell’espressione e della relazione (transitiva e intransitiva) tra gli enti testuali che albergano nei limiti della poesia secondo il principio dell’«ἁρμονία» (p. 53): «collegamento, connessione, come viviamo l’era, come dice la solitudine trasmessa, guerra, pace, virtuale» (p. 54). Tale unione non riguarda solamente il rapporto tra io e tu; essa è, soprattutto, un’«esplorazione» del mondo delle «cose», la cui «dizione» (p. 14) è parte integrante della voce del soggetto: «Queste noci hanno fatto rumore, / mi tolgono i pensieri / (nascono e sono già di tutti, / tutti i pensieri…), / mi richiamano al corpo, / a quello che dico sapore / (le idee sono sempre senza corpo, / sono parte di tutti?), / mi trattengono a contare i resti, / a radunarli sul tavolo (e i miei / pensieri chi hanno reso felice?», p. 15). Le cose, allora, nello spettro fenomenologico che Borio coglie e indaga negli interstizi del limite, sono foriere dell’essenza della verità stessa, racchiusa, come «tutto», nel «segno / in cui frughi per vedere il fondo. / Intorno pieno di niente, / la luce grigioazzurra che arriva / è un mattino e sera / e le cose spogliate dall’ombra / un secondo ti vedono come tu le vedi» (pp. 33-34). La verità, da intendere in questo caso nella sua accezione modale secondo la lezione di Heidegger «come illuminazione e nascondimento dell’ente […] in quanto accadimento poetato», emerge in tutta la sua potenza ermeneutica attraverso il linguaggio e le esperienze fenomenologiche del mondo che regolano il moto lirico del soggetto, trovando la propria forma nelle stratificazioni simboliche (in senso epistemologico, non estetico) della parola: «Finiranno, finiranno – / ho pensato a questi momenti, / la sospensione, la verità / per tutti – questi secondi nutrienti come il latte» (p. 50). La poesia di Borio è profondamente fenomenologica; essa è il luogo deputato a rappresentare l’esperienza della vita, «nella linea che separa gli oggetti e fa cose / per pensare, per abitare »: dalla rottura di un «grande uovo» nulla «si rigenera», ma la percezione del mondo «è prolungat[a], infinit[a]», a tal punto che «apre un arco, una porta / tra i continenti» (p. 35). Abitando il proprio corpo in senso spazio-temporale («Ho vissuto il mondo nella sfera», p. 37), il soggetto è in grado di «mettersi a guardare / le cose e il mondo, / le cose che potrebbero essere diverse / dal mondo e il mondo / che potrebbe esistere anche senza le cose»: «perché», prosegue Borio in una delle poesie più significative della raccolta, «una poesia identifica / e unisce, quando deve parlare / delle cose e del mondo, / se deve parlare» (p. 37). Wir wollen auf die Sachen selbst zurückgehen, scriveva a inizio Novecento Edmund Husserl nelle Ricerche logiche; Borio non si richiama esplicitamente o direttamente a tale tradizione filosofica, ma la sua poesia risente, tra le molteplici suggestioni, dell’esperienza poetica di Wallace Stevens e Vittorio Sereni, le cui opere sono cariche di quella «luce cosmica» che «mescola l’esperienza come energia» e che «velocissima circoscrive la lotta interna» (p. 46).
Quando uscirà la silloge definitiva per Interlinea, avremo modo di leggere e tracciare il percorso poetico fin qui tracciato da Maria Borio. All’altezza de L’altro limite, il soggetto che si racconta, si moltiplica, si annulla e partecipa nel mondo finzionale delle possibilità («Allora torna la morte come il cielo / su tutte le cose trasformate », p. 50) registra la fluidità, corporea e lirica, dell’esperienza, dei fenomeni colti nella loro essenzialità percettiva, e diventa espressione di un codice poetico che rivendica il primato della forma per una definizione pura e trasparente dell’essere.

(Alberto Comparini)

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