« indietro MARIANGELA GUATTERI, Tecniche di liberazione, Colorno (PR), Tielleci Editrice, 2017 (Benway series, 10), 152 pp., € 15,00. Ogni testo di ricerca ben fatto si dà le sue regole proprie. Sono le citazioni poste in esergo che ci dànno qui la chiave, in virtù di un processo analogico che avvicini cose di natura o classe distinte, di come deve leggersi il libro. La prima, tratta da un manuale di yoga del XVI secolo (Swātmārāma, Haṭhapradīpikā), descrive un particolare esercizio corporale-meditativo: «Messo un piede fermamente contro il perineo e fissato l’altro sopra il pene, appoggiare il mento fortemente al petto e rimanere immobili con i sensi controllati e gli occhi fermi, guardando fra le sopracciglia. Questo è chiamato Siddhāsana che apre sicuramente le porte della liberazione». Il fine dell’esercizio è dunque la liberazione che passa per il dominio armonico del corpo. Le posizioni, posture, punti d’appoggio e di sforzo dell’esercizio sembrano corrispondere alle ‘posizioni’ compositive (ma anche di lettura) del libro. Movimenti e concentrazione richiesti dall’esercizio descritto corrispondono visivamente e fisicamente ai movimenti versali, così come possiamo definire le ‘stringhe’ di verso/prosa che costituiscono la parte scritta del libro. Questa è però solo una parte del congegno. Il libro è infatti un montaggio ‘metrico’ tra poesia e fotografia, un prosimetro visivo in cui alla discontinuità prosa/verso si contrappone quella ‘scritto’/immagine. Le foto (dell’autrice stessa e di Barbara Ferretti) in un bianco e nero ‘argentato’ (come è argentata la copertina), rappresentano campi arati, campi innevati, un corpo (femminile/ androgino), alberi e rami, nuvole, secondo una scansione di immagini intere, dettagli (rami, braccia) o montaggi in sequenze (quasi come versi). Le immagini possono essere sole sulla pagina (i versi mai) oppure intercalate ai versi: questi sembrano a volte didascalie di quelle e quelle illustrazioni di questi. Fotografie ridotte a strisce allungate si alternano, come versi, ai versi. Si noti infine un elemento metrico/spaziale ‘esterno’, caratteristico di altri libri di Benway, la ripetizione speculare e rovesciata del libro stesso (testo e immagini), ma nella traduzione francese di Michele Zaffarano. Il libro intero è dunque trasformato in una sorta di camera oscura dove tutti gli oggetti rappresentati sono messi a fuoco contemporaneamente, ma, annullata ogni lunghezza focale specifica, non del tutto. Come si vede, la descrizione del funzionamento del libro equivale di per sé quasi a compiere l’esercizio, ad assimilare e praticare una tecnica di liberazione. Veniamo dunque alla seconda citazione, tratta da René Daumal, Speculazioni indiane sul linguaggio: «le scienze del linguaggio sono prime tra i mezzi di liberazione ». Il salto analogico che abbiamo cercato di descrivere è compiuto: il libro infatti è fatto di linguaggio, ci sono le parole, e le immagini sono esse stesse un linguaggio. Delle scienze del linguaggio è evocata esplicitamente la più antica, a cui è intitolata l’ultima delle quattro sezioni del libro: la grammatica. Culmine dell’itinerario di liberazione, la grammatica investe tutti i livelli della lingua. Dal nesso interiore (cognitivo) di vocabolario e sintassi – «Si formula un livello interiore (parole – frasi). / Estesa, l’unità della frase » – si passa a esprimere apertamente (non dimentichiamo la descrizione dell’esercizio di yoga evocato) una mimesi corporale: «Gli scambi attraverso la parola; le congiunzioni. / Gli scambi fondati sulla frase; la percezione della congiunzione. // Processi; intuizioni»). A questa tende anche una ‘fonetica’ propria intesa come scienza sperimentale dell’impatto fisico dei fonemi: «L’impatto dell’aria sugli organi, i suoni». Gli elementi primari del linguaggio sono analogicamente congiunti a gesti primari: «Il dormire sulla terra nuda; il rimanere in acqua; il digiuno. // Frutti particolari. Visibili, invisibili. // Punti di articolazione (lettere; parole; frasi). Divisioni». Ma soprattutto è al corpo che la grammatica punta come al soggetto primo di ogni liberazione, lui che è rappresentato come corpo scritto: «Il corpo fatto di versetti (al di là della chiarezza e delle tenebre)», e ancora «Liberato vivente il corpo eccetera non è ostacolo / in un attimo il
senso che scoppia si offre breve in tutta la sua realtà. // La grammatica l’impronta nel pensiero / la forma dell’oggetto il pensiero che è questo oggetto // nudo concreto». Ma grammatica è la fine del libro. A ritroso, è forse adesso più facile rintracciare i segni del percorso di liberazione. Nella terza sezione, La propria grandezza, esplicitamente, leggiamo di «Un modo di essere nuovo e paradossale», «(metodo che comporta molteplici tecniche); // caratteristiche antiumane; confino del respiro. Liberazione». E tracce grammaticali/corporee e auto- linguistiche si trovavano già nella sezione ‘dietropaesaggistica’ e di microscopia del paesaggio, La modalità vegetale: «Passivi: pensati dagli oggetti. Parole; memoria; emozione» e «Sensazioni specifiche di mobile, agitato. Aritmico». Se continuiamo la lettura spostandoci sulla pagina a fronte leggiamo quindi: «Cinque classi produttrici di stati». Ma cosa sono le classi? Elementi di classificazione probabilmente. Cinque sono gli elementi del verso citato («Passivi: [...]» etc.) e la stringa fotografica interposta è composta di cinque immagini/dettaglio poste in sequenza (nuvole, campi, rami, ginocchia, gambe con torso) peraltro difficilissime da mettere in contatto diretto (non analogico) con le cinque ‘parti’ del verso. D’altra parte, possiamo da qui provare ad annodare un percorso che ci porti alla prima sezione del libro intitolata Il loro suicidio e non sappiamo di chi. Qui l’ambiguità grammaticale è assoluta. Il soggetto della terza persona plurale che distingue la maggior parte degli attacchi di questa sezione (e in buona misura anche della successiva) non è esplicitato: «Hanno origine nella memoria. È una continua scarica./ Forme di azione e di pensiero create dal gioco. / È doloroso». Oppure: «Possono essere riconosciute, controllate e bruciate: passione, sentimento di individualità; l’attaccamento e la volontà di vivere. / (Le classi sono dolorose)». Sono dunque le classi il soggetto? E in queste solitudini dell’appennino reggiano (quasi petrarchesche e sicuramente ospitanti zanzottiane ricerche semantiche tra campi innevati), dove la purezza tecnica e ragionativa del libro diventa una purezza ‘liberata’ dove è forse annidata una forma poetica di ‘sublime’, parliamo, finalmente, di politica? Non è escluso. Proprio su «Semicerchio» (54, 2016/1), l’autrice ha pubblicato un lungo testo, Villino svizzero, dove la parola classe ha un senso preciso: «[...] Ci sono repressi provvisori, casuali e superiori; ci sono sottoprodotti di classe stabilmente destinati, inferiori. / Ogni malanno di classe si abbatte su delle masse in modo obiettivo: una condizione che ricompone gli atteggiamenti / per ciò che si è dentro. / Un metodo per i comportamenti». Qui il testo è apertamente politico. È possibile che l’amara conclusione sia qui che classi sono sì anche classi sociali ma che è il loro suicidio che le contraddistingue? Sovrainterpretazione? Oppure una possibilità reale offerta dall’esercizio analogico? È possibile, e allora come effetto percettivo dell’efficacia di queste tecniche di liberazione e, su un piano strattamente analogico, la politica è sempre un effetto secondario della sintassi («Gli scambi attraverso la parola; le congiunzioni»). Come in ogni camera oscura che si rispetti le cose sono dunque a fuoco tutte insieme ma nessuna singolarmente. Così il francese metta a fuoco e sfuoca il testo italiano, così come il cronotopo argentato delle immagini scolpisce e sfuoca campi, colline e dettagli ripetuti. Del resto, se torniamo a Daumal, prendendo adesso quel piccolo capolavoro incompiuto che è Il monte analogo, opera in cui non solo la mitica montagna ma la scrittura stessa è analogica (aperta a strati di comprensione multipli), vediamo che il sottotitolo dell’opera recita Roman d’aventures alpines, non euclidiennes et symboliquement authentiques, perfetto tanto per la ‘grammatica’ che per l’appennino reggiano di Mariangela Guatteri. (Fabio Zinelli) ¬ top of page |
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