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RICCARDO DONATI, La musica muta delle immagini. Sondaggi critici su poeti d’oggi e arti della visione, Lentini, Duetredue «Quaderni di Arabeschi» 2017, pp. 163, euro 12,00.  

Come ricorda Daniela Brogi nella sua nota introduttiva a La musica muta delle immagini. Sondaggi critici su poeti d’oggi e arti della visione (Duetredue, 2017), nel 1972 John Berger scriveva che «nel corso della storia nessun’altra forma di società ha avuto una tale densità di messaggi visivi ». Siamo così abituati a essere circondati dalle immagini da esserne ormai assuefatti; investiti continuamente dal flusso visivo veicolato anche dai mezzi tecnologici, abbiamo finito per non prestarvi più attenzione. Se l’atto di vedere è diventato superficiale e distratto, la sinergia fra letteratura e arti visuali, auspicata da Riccardo Donati in questo saggio, permette di soffermarsi a osservare le immagini attraverso il filtro della parola (poetica ma non solo): ecco che le immagini riprendono il loro spessore, la loro rilevanza, ritornano a parlare.
Con La musica muta delle immagini, Riccardo Donati compie un’ulteriore tappa del suo percorso di analisi incrociata fra arte della parola e arte delle immagini. Infatti, l’autore prosegue la ricerca intrapresa nel volume precedente Nella palpebra interna (2014), che indagava il rapporto fra letteratura italiana novecentesca e arti visive, e la estende alla produzione poetica della recente contemporaneità. Fin dal titolo, un verso ricavato dalla raccolta La vita dei dettagli di Antonella Anedda, Donati sottolinea il metodo che prevarrà lungo tutta la durata del testo: la pratica del commento, il contatto diretto con i versi dei poeti in esame e con gli spunti visivi su cui questi poggiano.
Il saggio si compone di una serie di riflessioni autosufficienti benché legate dal tema comune ed è diviso in tre sezioni, ossia in tre percorsi d’analisi con impianto differente. La prima sezione si dimostra la più ricca di spunti e suggestioni. Qui Donati illustra brevemente l’antologia Nell’occhio di chi guarda, che contiene prose poetiche composte a partire da stimoli visuali (fotografici e soprattutto pittorici) da poeti contemporanei quali Frasca, Magrelli, Mazzoni e Buffoni; nella seconda parte, l’autore dedica maggiore spazio ad alcune raccolte poetiche di Antonella Anedda e Mario Benedetti, due poeti che intrattengono un fecondo rapporto con il medium visivo. In particolare, Donati considera La vita dei dettagli una raccolta centrale nella produzione di Anedda perché la poetessa vi definisce e mette in pratica la propria poetica, intimamente legata alla cultura visuale: al centro dell’atto creativo vi è il «fatto figurativo», che per la poetessa si realizza nel dettaglio e viene ricavato sia dalla realtà circostante che dalle opere visive a lei più care (ad esempio quelle di Mantegna e Velázquez); il dettaglio è il motore per un movimento interiore di avvicinamento estremo all’oggetto che conduce l’io a confondersi con la realtà esterna. In questo modo, nell’occhio di Anedda le immagini acquistano vita e movimento, mentre il ricordo e l’immaginazione si intersecano con ciò che l’occhio vede caricandolo di sensi ulteriori.
Anche per Benedetti, Donati sceglie due raccolte paradigmatiche del rapporto fra il poeta e le immagini: Umana gloria e Pitture nere su carta. Nella prima, Benedetti ricerca un rapporto con artisti visuali, soprattutto nord-europei, con cui vede consonanza di temi, materiali, e la medesima sensibilità figurativa: il poeta, ad esempio, condivide con Ilya Kabakov la predilezione per i luoghi colti nel loro momento rivelatore. Nella pratica poetica, Benedetti si serve dei nomi di pittori e artisti visuali in quella che Donati definisce «funzione aggettivale», poiché le citazioni onomastiche precisano e aggiungono attributi all’oggetto in scena; più in generale, Donati sottolinea come Benedetti cerchi di restituire sulla carta il nucleo tematico che lo accomuna ai ‘suoi’ artisti attraverso un processo di economia del materiale verbale. Un procedimento simile si manifesta in Pitture nere su carta, dove la figura di Goya, nume tutelare della silloge, emerge dal procedimento di scarnificazione metrica e sintattica: infatti, Benedetti assimila la capacità di Goya di assumere su di sé «il nero, il tenebrore dell’esistenza, gli spazi cancellati dalla storia, l’orrore del vivere», che nella pagina del poeta si manifestano nella reductio metrica e nei «procedimenti iterativi delle figure di ripetizione». Indicando ancora una volta una decisa essenzialità stilistica quale cifra peculiare di Benedetti, la figura dell’elenco permette al poeta di convocare una serie di immagini, oggetti e situazioni per creare ‘scenari globali’, ossia per ricostruire interi universi culturali ed esistenziali.
In Interferenze, seconda sezione del saggio, attraverso «cinque esperienze di commento» Donati indaga il rapporto fra poesia e arti della visione nei componimenti di altrettanti poeti della generazione nata fra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta. I testi di Francesca Matteoni, Luigi Socci, Francesco Targhetta, Federico Italiano e Francesca Mancinelli sono seguiti da commento e riproduzione del materiale visuale di riferimento; su queste basi il lettore può verificare la tenuta delle linee teoriche proposte da Donati e, grazie a queste, illuminare di luce nuova gli stessi componimenti. Un esempio su tutti: in Crepare dentro d’amore, Targhetta accosta, in apparenza inspiegabilmente, la figura del bugiardo e il Geslachte Os rembrandtiano. La carcassa macellata dipinta dal pittore fiammingo è inserita, secondo Donati, perché crea «un cortocircuito percettivo-emotivo»: il dipinto incarna la condizione esistenziale del bugiardo protagonista della lirica. Il riferimento pittorico permette di comprendere la situazione del protagonista del testo. L’immensa sofferenza emanata dalla carcassa, sulla quale si riflette la sofferenza del bugiardo della lirica, è mitigata nel dipinto dalla presenza della testa della ragazzina che sbuca da un angolo: è in quel dettaglio pittorico emerso da secoli di distanza, e non nella realtà intorno a sé, che il bugiardo di Targhetta riesce a trovare consolazione e compartecipazione al proprio dolore.
Attraversamenti e divagazioni, terza e ultima sezione, raccoglie una serie di interventi eterogenei in parte già pubblicati in altre sedi. Se il tema-guida resta sempre il discorso sull’immagine, in quest’ultima parte Donati allarga il campo d’indagine, oltre la poesia, alla scrittura romanzesca e saggistica e spinge il proprio sguardo oltralpe. Tutte le riflessioni prendono le mosse da altri testi che hanno creato un dialogo fra scrittura e arti della visione: il volume che raccoglie i disegni di Kafka, i saggi di Littell sull’opera di Francis Bacon o il volume Lezioni di fotografia di Luigi Ghirri con uno scritto di Gianni Celati. Quest’ultimo testo, che contiene le lezioni tenute dal fotografo all’Università di Reggio Emilia fra il 1989 e il 1990, permette a Donati di approfondire una ‘terza via’ nel rapporto fra scrittura e immagine, quella portata avanti da Ghirri in fotografia e dal corregionale Celati in letteratura. A differenza del regard détaillant del poeta, che penetrando nell’immagine la carica di possibilità significanti, Ghirri propone uno «sguardo naturale» che, lungi dall’imporsi con una qualsiasi intenzione predefinita, si prenda il tempo di approfondire ciò che incontra; lo sguardo così concepito quasi arretra davanti al suo oggetto instaurando un dialogo fra pari con la realtà. La cognizione del «disastro visivo colossale» contemporaneo, che Ghirri cerca di superare attraverso i suoi scatti, accomuna il fotografo e il narratore: anche Celati, infatti, ha continuamente tentato con la sua scrittura di guardare la realtà liberandosi dalle pastoie avvilenti della modernità, consentendo al proprio sguardo di andare alla deriva per recuperare, finalmente, il «sentimento di stare al mondo».

(Angelica Lo Sauro)

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