« indietro ALESSANDRO BROGGI, Avventure minime, Massa, Transeuropa 2014 (‘Nuova poetica’), pp. 124, € 9,90. Show, don’t tell, dice una delle regole auree della tecnica narrativa. Ora, leggendo e rileggendo quella gran parte della sua produzione che Alessandro Broggi ha raccolto in Avventure minime, si trae la sensazione che una delle linee conduttrici del suo lavoro sia proprio questa: mostrare, senza tuttavia aggiungere altro, senza interferire tra l’oggetto mostrato e il fruitore. Questo meccanismo, comunque, va inteso non già in senso propriamente narrativo – non sembra infatti che Broggi aspiri, almeno per il momento, alla dimensione del romanzo –, bensì in relazione al materiale visivo e soprattutto linguistico. L’oggetto del mostrare è, appunto, la lingua, o meglio la lingua quale elemento di rielaborazione dell’esperienza. Questo vale soprattutto per Nuovo paesaggio italiano, nel quale vengono esposti, attraverso le molte voci di donne e uomini, frammenti di vita, detti attraverso una lingua che è fatta soprattutto di luoghi comuni, di frasi preconfezionate, di automatismi verbali: «Con lui ho avuto un’esperienza intensa e importante» oppure «Non è la classica cotta da adolescenti ». Viene messa in mostra, per così dire, la banalità del niente, l’incapacità di dire il quotidiano se non mediante un filtro linguistico che il soggetto assume su di sé traendolo dal mondo dei media, soprattutto. Nel suo concentrarsi in maniera pressoché esclusiva sull’esperienza dell’individuo e sullo stato dei rapporti interpersonali, la scrittura di Broggi utilizza e rielabora materiali preesistenti, prelevati non soltanto dal campo del quotidiano, ma anche, per esempio, da quella manualistica di self-help tanto diffusa oggi, che promette all’individuo la realizzazione di sé. Tale circostanza si rende più che mai evidente in Servizio di realtà (dove già il titolo ironico la dice lunga sul rapporto tra realtà e individuo), testo in prosa nel quale vanno a confluire svariati elementi: un repertorio lessicale che, con espressione sicuramente ambigua, si potrebbe definire kitsch («Sarà un incanto di suoni, colori, immagini. Una festa per il cuore e per la mente»), insieme al tono prescrittivo tipico appunto di certi manuali di psicologia a buon mercato («Le emozioni che sentirai in quel momento saranno fondamentali per la tua vita futura»), con il quale si sottolinea la necessità della narrazione come chiave dell’interpretazione (termine che va inteso anche come sinonimo di rappresentazione) del proprio essere nel mondo («La formulazione di un racconto resterà per tutta la vita lo strumento base per interpretare gli avvenimenti che ti riguardano »). Oltre a questi elementi, non mancano i consueti prelievi dal mondo dei media – penso soprattutto alla prosa intitolata Daily Planet –, procedimento che raggiunge il proprio vertice in a fondo perduto, sequenza di testi che, per palese consanguineità, andrebbero accostati a quelli contenuti in Coffee table book, libro del 2011 non compreso in Avventure minime. Qui, secondo quello che è diventato una sorta di marchio di fabbrica di Broggi, compaiono sulla pagina quartine di ‘versi’ (le virgolette sono doverose) che, ancora una volta, espongono la completa reificazione del linguaggio, la sua riduzione a merce: «il photobook del quotidiano / si riempie di pagine speciali / una nuova lettura del mondo / si definisce e si realizza»). Quello che viene esposto è un materiale verbale brutto, privo di qualunque colorazione estetica, costituito specialmente da concetti vuoti o immagini dozzinali («concedersi una deviazione / valutando gli interventi importanti / affrontati su binari self-confident / con freddezza e senso strategico»). Con uno spiccatissimo senso del montaggio, procedimento chiave dell’ironia di Broggi, e con uno sguardo da école du regard (si leggano in tal senso le sequenze narrative, raggelate e raggelanti, di Quaderni aperti, il testo che apre l’intera raccolta), ci troviamo di fronte, allineate come sul bancone di un supermercato (l’immagine è già in Volponi), le parole dei media, in particolare di certe riviste patinate, che tra slogan pubblicitari e linguaggio aziendalistico indirizzato al singolo promettono un presente e un futuro radiosi, «un’esperienza sensoriale unica, nella quale il consumo è tutto: devi sbrigarti / ti aspettano tanti / prodotti esclusivi / a prezzi speciali ». Assai indicativa, in tal senso, e davvero notevole, è la sequenza 5 di a fondo perduto, dove il procedimento di allineamento perviene alla massima densità e si fa quindi pienamente visibile. Il ricorso alla quartina assolve poi una duplice funzione: da un lato, al materiale grezzo si contrappone una forma metrica dotata di una lunga tradizione, per esempio quella satirica o gnomica, cui talvolta i testi, con il loro tono sentenzioso, possono rimandare; dall’altro, sempre in chiave ironica, costituisce il contrassegno di un intervento d’autore, il segnale di una rifunzionalizzazione, corrispettivo, quasi, della firma su un ready-made linguistico. L’astuzia di Broggi, se così la si può definire, sta nel fatto che la sua ironia non si concentra solamente sulla lingua come merce, ma anzi arriva ad allineare, nella paratassi assoluta della sua scrittura, persino la critica a quella lingua mercificata: «il nostro immaginario / è plasmato dal potere / dei media di trasformare / il reale in simulacro », «l’immagine del mondo / è dominata dal gusto / kitsch che caratterizza / la società dei consumi», «oggi è sempre più difficile / capire se quella che abbiamo / sotto gli occhi sia la realtà / o un’immagine filtrata». Il rapporto tra la realtà e la nostra elaborazione esperienziale è senza dubbio uno dei nuclei fondativi della scrittura di Broggi, il quale, si diceva all’inizio, lascia al lettore il giudizio sull’oggetto che gli viene mostrato, non colloca l’autore in una posizione di superiorità rispetto al materiale utilizzato. L’ironia si esercitata dentro le cose, semplicemente nell’atto di accostarle, non opera dall’esterno. Del resto lo scrittore è anch’egli immerso in quel medesimo universo linguistico e mediatico, non ne può uscire. ¬ top of page |
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