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GIAMPIERO NERI, Il professor Fumagalli e altre figure, Milano, Mondadori, 2012, pp. 99, € 16,00;

ALESSANDRO RIVALI, Giampiero Neri un maestro in ombra, con versi e prose inediti di Giampiero Neri, Milano, Jaca Book, 2013, pp. 158, € 14,00.


Non è solo per contiguità cronologica o per comodità di rubricazione che si accostano qui l’ultima silloge di Giampiero Neri, Il professor Fumagalli e altre figure, raccolta di poemetti in prosa, aforismi, prose critiche che fa seguito alla plaquette delle Prose (Lietocolle, 2008), in parte inglobandole, e il libro-intervista di Alessandro Rivali; una stringente solidarietà d’intenti, propiziata evidentemente anche da una lunga e affettuosa consuetudine con il curatore, lega infatti il primo libro al secondo, come ammette Neri stesso conversando con Rivali («Ho vissuto questo libro come un grande commento al mio lavoro, un po’ come ho vissuto Il professor Fumagalli, come un commento alle mie poesie che sono necessariamente un po’ criptiche, mentre qui ho parlato a lungo senza essere contratto […] In questi due commenti vedo più le convergenze che le differenze. Quello che non è detto in uno è detto nell’altro, e viceversa», p. 129). Il ‘maestro in ombra’ Neri (la definizione, felice per più ragioni, e fatta propria da Alessandro Rivali nel titolo del suo libro, appartiene originariamente a Maurizio Cucchi) continua in questo modo, come almeno da una decina d’anni a questa parte, diciamo almeno dalla raccolta Armi e mestieri del 2004, a guadagnare la luce, centimetro per centimetro. La dominante esigenza di verità, anzi di ‘informazione’ della sua poesia, proclamata più volte (si veda quanto si dice emblematicamente dei Feaci e della loro leggendaria ospitalità in Può sembrare strano, una delle prose accolte nel Professor Fumagalli; o quanto Neri dichiara, con inequivocabile chiarezza, a Rivali: «Collego la poesia alla verità. Naturalmente chi scrive poesia deve tener conto dell’aspetto formale, ma l’elemento essenziale è la verità di quello che si dice», p. 104), lo ha infatti portato da alcuni anni, con urgenza crescente e con impressionante coerenza («[…] il mio lavoro si potrebbe definire come ‘tema e variazioni’. E in questo senso ho scritto un solo libro e le sue variazioni che tutto lo contengono», Giampiero Neri, un maestro in ombra, p. 111), da un lato ad abbattere definitivamente i confini formali tra verso e prosa («[…] ho della poesia un’idea assolutamente non legata alla quantità delle sillabe e alla rima; piuttosto, amo fare riferimento a una certa ‘martellatura’ della frase, per usare un’espressione di Montale. Questa ‘martellatura’ però esiste anche in prosa […]»), ivi, p. 108), dall’altro a tornare ossessivamente sui propri passi, aggiustando, limando, e progressivamente svelando. La poesia di Neri, paradossalmente, si dimostra tanto più un cantiere aperto quanto più il suo autore vuole segnarne d’autorità i limiti o addirittura il termine ultimo (la raccolta Paesaggi inospiti, uscita per Mondadori nel 2009, rappresenta infatti la tappa conclusiva - tale per decreto solenne dell’autore, dichiarato pubblicamente in più occasioni, da ultimo ad Alessandro Rivali - del suo «progetto poetico»); e bisognerà dire che, per essere uno scrittore che, sempre per propria ammissione, «in genere non conserva le versioni che considera non riuscite», ma anzi denuncia «la tentazione di stracciare le prove, di rimuovere le tracce come se fossero una colpa» (sono parole estrapolate, ancora, dalla lunga conversazione con Rivali, p. 109), Giampiero Neri rappresenta nei fatti forse una delle ultime riserve di caccia per la filologia d’autore. Dei numerosi esempi che si potrebbero fare, ne basteranno qui due. Una poesia fondamentale come quella che, già in Altri viaggi, sezione conclusiva di Teatro naturale (1998), alludeva indirettamente al trauma centrale nella vita e nella poesia di Neri, la morte del padre per mano dei partigiani, e che tornava con minimi ma decisivi ritocchi in Armi e mestieri (2004) incorniciando di precise coordinate spazio-temporali il «necrologio» pronunciato dall’«amico di mio padre» («doveva essere l’ultimo»; ma prima, ossia dodici anni prima, in Teatro naturale, p. 138, soltanto un commento sospeso: «se tutto doveva finire»), in Paesaggi inospiti assurgeva a presa di posizione esplicita, superando anche l’ultimo tabù, scandendo cioè a chiare lettere la realtà di quel fatto, ovvero l’«ammazzare» (cfr. Piano d’Erba, p. 43: «‘Se erano tutti da ammazzare’/ aveva detto / ‘doveva essere l’ultimo’»); mentre l’eroe eponimo della più recente fatica di Neri, il professor Fumagalli, che dopo la guerra «si era fatto educatore di un gruppo di ragazzi usciti malconci dalla guerra», ossia mutilati, per i quali un falegname ipotizzava di dover costruire dei banchi speciali, si rivela adesso come l’autore di una replica memorabile («No, faccia dei banchi normali, perché poi Lei mi darà un mondo speciale?») accampata nella poesia di Neri già dalla prima silloge, l’Aspetto occidentale del vestito del 1976 («Seduto al bar guardava verso il soffitto / come a un immaginario pubblico / chiedendo: ‘mi darete un mondo speciale?’ »). Tanto memorabile, quella replica, da figurare in epigrafe a Scarpe speciali, racconto-verità, al limite del regolamento di conti, incluso nelle Vite di uomini non illustri del fratello di Neri, Giuseppe Pontiggia. Nemmeno le prose più propriamente critiche, o addirittura le dichiarazioni di poetica, si sottraggono a questo continuo ripensamento. Così il «‘moralismo’ che farei coincidere con una sorta di accettazione degli avvenimenti, intesi come destino difficilmente modificabile dagli sforzi umani» che Neri, nella Nota sul mio lavoro del 1999 raccolta tra le Prose, additava al cuore della propria poesia, diventa nel Professor Fumagalli «un moralismo di marca lombarda» (p. 94), guadagnando una glossa che sembra riportarlo all’interno di consolidati e venerabili confini critici, quelli della cosiddetta «linea lombarda»; se non fosse che Neri stesso, invece, si incarica altrove di liquidare questa ovvia genealogia con un’alzata di spalle («[…] considero del tutto secondari i dati relativi alla mia cosiddetta ‘lombardità’», Giampiero Neri, un maestro in ombra, p. 104), così confermando, tra l’altro, quanto da tempo si sospettava, ossia che l’unico lombardo che per lui veramente conti è il «gran Lombardo» Alessandro Manzoni (accanto semmai proprio a Gadda, e per quella sostanziale identità di fini e di mezzi di prosa e poesia, della quale si parlava sopra). Una lettura ricchissima e imprescindibile, dunque, quella del dialogo di Rivali col maestro uscito allo scoperto, che nonostante abbia anche qua e là, inevitabilmente, il sapore di un bilancio conclusivo, si chiude con un’appendice di versi e prose inediti, a gettare un ponte verso il futuro a partire dalle più recenti acquisizioni di poetica, quelle maturate negli ultimi anni, e sulle quali bisognerà d’ora in poi ritarare il discorso interpretativo. Lasciando infatti la parola a Neri (p. 133): «D. Come presenteresti gli inediti sulla statua di piazza Missori? R. Il cavallo di Missori appartiene idealmente a Il professor Fumagalli e altre figure di cui costituisce un seguito. Mi auguro che sia l’inizio di un nuovo libro, di una nuova serie di racconti. Vedo sempre di più la prosa come la forma della nuova poesia italiana a ridosso delle due guerre che hanno attraversato il secolo appena passato. La distinzione formale mi sembra ormai senza senso. Tutto qui».

(Elena Parrini)

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