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A Handful of Sand: words to the frontline. Numero monografico di «Southerly», v. 71, n. 2, 2011. a cura di David Brooks e Elizabeth McMahon; guest editors Ali Cobby Eckermann e Fogarty. Sydney, Brandl & Schlesinger, pp. 253, $ 29.95.


   Un’antologia composita, ricca, attuale. Una manciata («Handful») di diversi stili, formati, timbri e sensibilità. Una geografia variegata, scandita dalle principali comunità del territorio australiano, a comporre una polifonia corale che ben suggerisce la pluralità coesa della letteratura aborigena.
«Southerly», tra le riviste letterarie più importanti e influenti in Australia, dedica uno speciale numero monografico alla letteratura indigena. Allestendo una corposa selezione di saggi, liriche, racconti e canzoni, Ali Cobby Eckermann e Lionel Fogarty tentano di e riescono a dare voce a una folta schiera di autori contemporanei. In apertura del volume, i curatori sottolineano l’intenzione di radunare una serie di scritti che contengano verità. La poesia qui raccolta è dunque presentata come foriera del vero; la scrittura come racconto di vita, come strumento che plasma la storia.
   La letteratura aborigena è un fenomeno relativamente giovane, germogliato sulla millenaria tradizione orale del popolo aborigeno, considerato la civiltà più antica al mondo (vedi «Semicerchio» 34, 2006, pp. 3-14). A partire dagli anni Sessanta, quando per la prima volta scrittori di colore misero nero su bianco racconti, storie e canti della tradizione, l’Australia ha assistito al fiorire di un filone rigoglioso, che della sua letteratura costituisce uno dei capitoli più vividi. Un capitolo che coincide con le lotte politiche e sociali per rivendicare i diritti degli indigeni australiani.
   In A Handful of Sand: words to the frontline, costellata da testi di diversa natura, la presenza più numerosa è relativa alla produzione lirica. Accanto a scrittori già affermati come Kerry Reid Gilbert, Jim Everett, Anita Heiss, Coleen Johnson e Lionel Fogarty, una serie di autori esordienti canta la natura, la memoria, esperienze personali dalle forti tinte polemiche e politiche. Il loro è un vissuto spesso duro, lacerato, su cui la storia – anche la più recente – ha lasciato cicatrici profonde.
   Queste cicatrici sono visibili nella quasi totalità delle liriche. Tra i temi più battuti torna, come una cantilena echeggiante i testi pioneristici di Oodgeroo Noonuccal e Mudrooroo Narogin, il confronto-scontro tra la civiltà bianca e la società aborigena, una dualità dolorosa e distruttiva che, sul piano poetico, si esprime attraverso contrasti verbali, lessicali, stilistici. Talvolta, persino grammaticali. L’immagine della morte, spesso presente nelle poesie, corrisponde a tonalità espressive vicine all’elegia e al lamento funebre: «Now it’s all over, the commotion all gone. / Only ashes remain where a friend once shone» (Noeleen Nugari O’Keefe, The Cremation). «The ghosts of Mother and Grandmother encircled by flowers, / clap sticks, sing songs, tell stories and / dance forever in the Country of her mind» (Jeanine Leane, After Dreaming – AD 1910).
   Gli esiti più originali sono correlati alla sperimentazione linguistica, basata su ibridità timbriche e lessicali che mutuano tanto dall’inglese quanto da lingue indigene. È questo il caso, in particolare, di Ali Cobby Eckermann, le cui Yankunytjatjara Love Poems mescolano idiomi, modalità tipografiche e distribuzioni grafiche che movimentano, riesumando memorie di danze tribali e cicli di canti antichi: «little girls stack single twigs on embers under tjamus skin of painted love / the dance of kalaya feathers will sweep the munda with your smile».
   Accanto al tema della memoria e delle tradizioni antiche, tuttavia, un’ampia gamma di componimenti rispecchia un immaginario legato al contesto urbano più propriamente contemporaneo. Un contesto in cui spesso proliferano degrado, alienazione e perdita dell’identità. Alcune poesie, tra cui Jap, di Vicky Roach, narrano episodi di cronaca nera come la morte nel 1972 di una diciannovenne picchiata dalla polizia. Altre documentano scenari di miseria: «she comes at me side on / eyes off the coins / on the cafe table / got any change? She asks / searching my face / for answers» (Brenda Saunders, Looking for Bulin Bulin). Altre ancora sovrappongono simboli ancestrali alle immagini imposte della cristianità: «We are snake children» (Jeanine Leane, Snake Children). Tra le più toccanti, Intervention Pay Back di Ali Cobby Ecckermann spezza ciascun verso in due o tre sintagmi, frammentando 4 pagine di componimento in un climax rap dove evoluzione psicologica, eventi, immagini e linguaggio si accordano stridenti:

I ready told you I love my kids I only got five / two pass away
already
and I not complaining bout looking after my kids /
no way but when my wife gets home / if she spent all the money
not gonna share with me and the kids

I might hit her
first time.


Il tutto a comporre un panorama poetico magmatico e potente. Voci che dialogano in sintonia, evidenziando gusti, esperienze, musicalità e profondità individuali. Un plauso ai curatori dell’antologia, abili non soltanto a selezionare testi di pregio, ma ad alternare poesia e prosa in un arpeggio stilistico che provoca e meraviglia.


(Margherita Zanoletti)

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