« indietro MICHELE MARULLO TARCANIOTA, Elegie per la patria perduta e altre poesie. Introduzione, traduzione e note di Pietro Rapezzi, Borgomanero (NO), Giuliano Ladolfi Editore 2014, pp. 75, € 10,00. in: Semicerchio LII (2015/1) Poesia alimentare. Food poetry «Michele Marullo Tarcaniota è quasi uno sconosciuto» esordisce l’introduzione di Pietro Rapezzi, latinista cecinese già autore di meritorie traduzioni da Marziale (i cui Epigrammi ha da poco antologizzato in un volume per Quattro Venti). In realtà ad essere poco conosciuta è quasi tutta la poesia latina post-classica, non solo medievale ma anche umanistica, tagliata fuori da programmi scolastici obsoleti che continuano a impegnare tutto un anno di Liceo solo su Ennio, Plauto e Terenzio e non fanno in tempo a gustare nemmeno l’acutezza psicologica di Agostino, per non parlare di Paolo Diacono, Gerberto o Abelardo. Eppure, nel deserto delle poche attenzioni al millennio che separa l’età romana da quella moderna, proprio Marullo ha ricevuto negli ultimi anni cure non irrilevanti: prima di questa plaquette, che raccoglie 24 poesie, l’opera del poeta greco di origine italiana era stata pubblicata in edizione critica con traduzione inglese da Charles Fantazzi (2012)nella collana dei Tatti, residenza fiorentina dell’università di Harvard, in tedesco da Christine Harrauer (1994, gli Inni naturali) e in francese da Roland Guiot e altri (2011 e ss.). In italiano dopo il volume di nientemeno che Benedetto Croce (1938) e la scelta di Lucia Gualdo Rosa nella celebre serie di Ricciardi (1964, rist. 1976), Arturo Carbonetto vi aveva dedicato una scelta di gusto in La poesia latina da Dante al Novecento (La Nuova Italia, 1993) e la specialista Donatella Coppini aveva curato, tradotto e ampiamente commentato ancora gli Inni naturali, le sue composizioni più mature e complesse, per il mitico ‘Nuovo Melograno’ de Le Lettere (1995). Di molti altri poeti umanisti non si può invece leggere in italiano nemmeno un verso, e dunque il bilancio della sua divulgazione non è così catastrofico. Qui Rapezzi privilegia una selezione che – a parte la celebre Alla luna – prescinde dagli Inni, evidentemente già troppo battuti, e coglie qualche fiore dagli Epigrammi e dalle Nenie, creando un percorso tematico che rende conto dell’avventuroso itinerario biografico e degli idoli culturali dell’autore, nato a Costantinopoli proprio nell’anno della conquista turca (1453) e subito emigrato prima in Croazia poi in Italia, per viaggiare continuamente come soldato di ventura in zone diverse d’Europa, ma quasi sempre al servizio di chi, in Ungheria o Moldavia, combatteva i Turchi, per poi rientrare in Italia e soggiornare pochi anni nelle corti di Napoli e Firenze, sposando Alessandra Scala (figlia del segretario fiorentino) e morire a 47 anni, dopo essere scampato a battaglie ed agguati dalla Bulgaria alla Serbia, attraversando le acque del solitamente innocuo fiume Cecina. Rapezzi, che il fiume conosce bene, ha dedicato uno studio storico alle ipotesi sulla possibile destinazione del poeta, forse in ripartenza per Costantinopoli da Piombino. In omaggio a questo percorso biotico le liriche scelte puntano sul mito della Grecia come rifugio mentale e idolo comunitario e la prevalenza dell’obiettivo tematico è sottolineata anche dai cambiamenti dei titoli, come per Epig. II 32 Ad Neaeram che diventa La Grecia maestra di civiltà. Per Marullo la Grecia classica, «prima ad educare / le incolte menti umane con la dolce / forza della sua lingua», è la stessa Grecia, dove era nato, che dei classici non leggeva più molto e che si dedicava a generi letterari spesso lontanissimi da quelli antichi. Di questa seconda Grecia, del suo immenso patrimonio filosofico e teologico, narrativo e lirico non c’è traccia: la poesia di Marullo è piena di Muse, di patria, di Parche, di Pieridi, di Favonio e Priamo, di Stige e Quiriti, tutto l’armamentario che solitamente aduggia la poesia del ’400 e del ’500 e produce il suono stonato di un’imitazione fuori tempo, di un «vorrei ma non posso», di una nostalgia priva di senso della storia. Ma solo raramente la forza del modello si impone anche in questo autore, che Domenico De Robertis aveva definito «la voce più alta del secolo»: così, ci pare, nell’epitafio per il fratello Giovanni, troppo vicino a Catullo e a Foscolo (che cronologicamente viene dopo di lui, ma nella nostra pratica scolastica lo precede e dunque ne vanifica l’effetto) o in poesie il cui tema è troppo dipendente dal classico (Avversità della sorte, Morti per la patria, Del suo esilio). Quasi sempre, invece, in Marullo questo sfondo è in realtà appena sensibile dietro una potenza sentimentale che riveste di linguaggio classico il romanticismo amoroso di Petrarca, dietro l’affiorare di una realtà non finzionale come quella della guerra mercenaria, delle amicizie signorili (Sforza, Scala), delle polemiche politiche (il papa Sisto), dell’invasione ‘barbarica’ di quell’impero che gli occidentali chiamano d’Oriente, soprattutto la dolcezza di una visione comunque positiva dell’esistere: «L’innocenza / naturale con-genita alle cose»; «Pur nati a cattiva / stella, lieti abbastanza se approdammo / un giorno sotto questo cielo.» Perfino la morte è presentata come una liberazione non del corpo dall’anima, ma delle tristi membra dall’anima ‘incresciosa’ (originale soluzione per gravis). La traduzione, quasi sempre in endecasillabi naturali e ben torniti, riesce a neutralizzare quel po’ di scolastico che il latino umanistico inevitabilmente suscita, ne mette in luce i petrarchismi con sapienti allusioni e ne esalta le vivacità di schema come nella I 49, anch’essa A Neera, basata sul pattern del plazer rovesciato o la III 47 A Manilio Rallo che è una variazione del ‘non sempre...’. Unico rimpianto di un bell’omaggio a un poeta di fortissimo dominio formale, a parte qualche «deh» carducciano che però par vivo nel suono se si pensa alla zona di origine del traduttore, è la rinuncia alla resa dell’incredibile varietà versificatoria di Marullo, che prova e varia oltre al tipico distico elegiaco o epigrammatico anche molti metri lirici. (Francesco Stella) ¬ top of page |
|||||
Semicerchio, piazza Leopoldo 9, 50134 Firenze - tel./fax +39 055 495398 |