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Kamau Brath waite, Diritti di passaggio. Traduzione e cura di Andrea Gazzoni, Roma, Edizioni Ensemble, collana “Erranze”, 2014, pp. 208.


in: Semicerchio LII (2015/1) Poesia alimentare. Food poetry pp. 117 - 118


Diritti di Passaggio (Rights of Passage nell’originale) inaugura la presenza tanto attesa quanto necessaria dell’opera di Edward Kamau Brathwaite nella lingua italiana. Il testo poetico, ottimamente tradotto da Andrea Gazzoni, è la prima parte della trilogia The Arrivants, scritta dal poeta caraibico durante gli anni Sessanta e pubblicata nel 1973. Brathwaite (nato a Barbados nel 1930) è tra i grandi intellettuali di origine caraibica che hanno concettualizzato e celebrato la cultura creola quale intreccio di civiltà che potrebbe ben costituire un modello per reinterpretare l’attuale epoca della globalizzazione.
Il testo italiano mantiene tutta la complessità di Rights of Passage nei suoi riferimenti specificatamente caraibici e nel suo valore estetico più ampio. Scorre liscio, fedele, orecchiabile, riproducente lo stesso ritmo sincopato dell’inglese antillano, le cui parole si formano all’unisono con sonorità che variano dallo spiritual al jazz al reggae al calypso, scandite da monosillabi o lessemi più lunghi manipolati, aperti, rifondati, per dar spazio a significati nuovi. Ricettacolo e veicolo della storia e della cultura creola, la musica è parte integrante del messaggio e mezzo attraverso cui il testo viaggia in un percorso circolare in quattro tappe – «Canto di lavoro e blues»; «I negri»; «Isole ed esili»; «Il ritorno» – che l’abitante del mondo nuovo, o globalizzato, deve intraprendere per acquisirne la visione creola. Inizia nella piantagione, delle Americhe e delle Antille, e procede in modo intermittente attraverso un pensiero che avanza ripensandosi, chiudendosi momentaneamente, che torna indietro e poi riparte – «Così», «ma», «così», «ma», «così»: «Così a New York Londra / arrivo alla fine»; «Ma i miei figli diventano grassi, sempre / più grassi, lontani dalla chitarra lenta»; «Così li avete visti / con le valigie di cartone»; «Ma le chele sono ora di ferro: alle draghe / ammuffite non importa cosa scopriamo quaggiù»; «Così che fare amico?»; «Ma oggi ritrovo le isole»; «Ma oggi vorrei unirmi a te, fiume che viaggi”; “Ma sono tornato per trovare Jack»; «Ma come possiamo andare avanti »; «Così in questo vicolo storto / che gira e gira fra i rottami fino al mare».
L’abitante archetipico della piantagione è lo zio Tom con la sua capanna, perché per gli africani della tratta i Caraibi e il continente americano condividono, fino a un certo punto, la stessa storia, come Brathwaite ha spiegato diffusamente nei suoi saggi storici e sociologici. In questa fase iniziale la difficoltà maggiore è educare le nuove generazioni poco propense a coltivare né quindi a cogliere i valori della creolità che rischiano così di morire sul nascere. Lo zio Tom è deriso e colpito al cuore che però protegge caparbiamente dietro il cappello da contadino, sapendo che solo lì possono resistere i semi del futuro – «e tengo in mano / il cappello / per nascondere il cuore»; «Mi chiamano Zio / Tom e mi sfottono / loro i miei figli mi sfottono». Per superare l’impasse, per maturare nella realtà della piantagione, è necessario partire, così anche per lasciarsi alle spalle le radici africane, smaltire l’umiliazione e la rabbia della schiavitù e reinterpretare il ruolo delle tradizioni ancestrali che nel nuovo mondo produrrebbero altrimenti solo danni. Come la divinità Yoruba Ogun, che invocata causa incendi che distruggono il ‘villaggio’. «Ma il fuoco troppo caldo divampa […] quell’idolo rosso, è il fabbro […] La fiamma è il nostro dio, la nostra ultima difesa, il nostro pericolo. / La fiamma brucia il villaggio, lo abbatte.»
L’odissea ha luogo oltre i confini del conosciuto affinché il pensiero nuovo si forgi e possa poi essere utilizzato solo dopo aver compreso l’altro lato della piantagione, l’Europa: «sperando che gli occhi dei figli / imparino un giorno / non il verde soltanto / non l’Africa soltanto […] ma Cortez / e Drake / Magellano / e quel Ferdinando / il marinaio / che fino a questa terra ha perforato i mari salati». Nelle foreste metropolitane, lo zio Tom diventa Tom l’eremita con cui il vecchio Lear fuori di sé, fallito il sogno dell’amore filiale, impara la condizione dei disereditati, in un paesaggio tenebroso dove il viaggio di Conrad si svolge al contrario – «il viaggio verso la città»; «curve del Congo / e giù / per quel fiume nero / che ci conduce all’inferno». Le storie delle conquiste delle Americhe e del colonialismo in Africa confluiscono in un unico discorso in cui i conquistati, dominati, denigrati diventano i dannati di una terra infernale il cui centro pulsante è l’Europa. Colombo è un emigrante ottuso colpevole d’ignorare il vero significato dei suoi viaggi – «Che significava questo viaggio, che / cosa questo nuovo mondo: s-/ coperta? O ritorno ai terrori / dai quali era partito, che aveva già conosciuto?» – e le sue domande senza risposta sono le stesse che attraverso i secoli si pongono i migranti che viaggiano in senso opposto verso le capitali – «a Londra, è fredda la metropolitana. / Dalla tenebra il treno compare / con le nostre paure».
Il poema finisce con il ritorno ai Caraibi rappresentato da una simbolica casa la cui porta sarà forse scardinata e a cui non si fa ritorno, a indicare l’apertura anche inizialmente forzata verso l’estraneo, lo straniero, il diverso che coabita da molto tempo in ognuno, e la fine delle radicalità, che creano sensi di appartenenza e di legittima opposizione – «Dovresti fra-/cassare la porta / e camminare / al mattino / consapevole in tutto / del futuro / che viene? / non si / torna indietro». A quasi mezzo secolo dalla sua apparizione, Rights of Passage rimane un importante appello a ridefinire con forza le radici culturali di un’umanità profondamente cambiata già all’indomani della prima modernità; un appello rimasto inascoltato, come accade troppo spesso alla letteratura, a giudicare da alcuni versi tragicamente profetici che sembrano alludere a fatti di cronaca dei nostri giorni. «Così che fare, amico? / Bandire la bomba? Buttare / le bombe qui sopra? […] portare una barba / e un turbante /…/ tu fai il mussulmano?». C’è da augurarsi che le fonti culturali del mondo globale acquistino maggiore rilevanza e questa bella traduzione fa ben sperare.

(Roberta Cimarosti)

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