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Francesca Di Blasio, Margherita Zanoletti, Oodgeroo Noonuccal con We Are Going, Università degli Studi di Trento, Dipartimento di Lettere e Filosofia, 2013, Collana Labirinti n. 151, pp. 266, € 13,00.


in: Semicerchio LII (2015/1) Poesia alimentare. Food poetry p. 120


Questa edizione critica di We Are Going (1964), prima raccolta poetica della poetessa aborigena australiana Cath Walker, poi ribattezzatasi Oodgeroo, che vuol dire ‘corteccia’, della nazione Noonuccal, è accompagnata dalla prima traduzione italiana completa e da un complesso apparato saggistico. Si tratta di un lavoro accademico accurato e insieme un omaggio doveroso alla portavoce e pioniera della rinascita culturale aborigena. Prima voce aborigena a pubblicare in Australia e prima donna poeta, attivista politica e figura carismatica per la sua comunità, Oodgeroo Noonuccal catturò l’attenzione della compatriota Judith Wright che ne sollecitò la pubblicazione alla Jacaranda Press, ma ricevette una tiepida accoglienza critica, pur destando curiosità. Il paratesto, composto da una lunga introduzione e da un’ampia e dettagliata presentazione dell’autrice, della sua opera e del panorama storico-culturale che la genera, garantisce una contestualizzazione puntuale all’insorgere di una voce, di una scrittura e di una personalità uniche e originali. La storicizzazione della ricezione dell’opera di Oodgeroo Noonuccal – dalla critica miope che vedeva in lei solo un’attivista con scarse doti per il formalismo poetico, alla sua riabilitazione ad opera di intellettuali aborigeni quali lo scrittore Mudrooroo Narogin, che vede in lei un esempio di ‘poetemics’, vale a dire di poesia e polemica, e di studiosi quali Adam Shoemaker che riconosce un’artista in cui coincidono vita e opera come un’unica vocazione militante – mira a sottolineare la mancanza di «un’analisi approfondita dello stile dell’autrice» cui questo volume pone rimedio. L’analisi strutturale, tematica, culturale e stilistica delle trenta poesie che compongono la raccolta è una ricca e dotta esposizione di una poetica impegnata nella denuncia.
We are Going/ «E noi andiamo» è il canto di una collettività destinata a scomparire ma che ancora continua a marciare. A partire dal manifesto della raccolta, Aboriginal Charter of Rights, che si sviluppa per opposizioni binarie («We want hope, not racialism, / Brotherhood, not ostracism, / Black advance, not white ascendance: / Make us equals, not dependants…», p. 91), la carta dei diritti umani s’impone quale punto di partenza universale, con una versificazione semplice, melodica e martellante la cui forza consiste nella chiarezza e nell’evidenza inconfutabili. Segretaria per lo stato del Queensland del Federal Council for the Advancement of Aboriginal and Torres Straight Islanders, fondatrice di un centro culturale ed educativo, ambasciatrice in Cina, in Russia, in Nigeria e in altri paesi del mondo per i diritti degli Aborigeni, Oodgeroo «assume posizioni radicali quando nel 1988, anno della celebrazione del bicentenario della fondazione dello stato australiano coloniale, rinuncia alla carica di Membro dell’Ordine dell’Impero Britannico ». L’apparente semplicità del lessico e delle rime, da ballata, da nursery rhyme, da salmo, non nasconde uno spirito naïf, produce invece l’obbligo nel lettore di riconoscere il messaggio senza indugio e senza ambiguità: un messaggio che parla di ‘colour bar’, di razzismo, di un figlio perso nella lotta violenta dei Black Panthers, ma ne ribalta la perdita in speranza: «potrei dirti […] di stupri e omicidi, figlio mio; // Ma dirò invece del nobile coraggio / Quando le vite di bianchi e neri s’intrecciano, / E gli uomini in fratellanza s’uniscono – / Questo ti direi, figlio mio //» (p. 193). Se alcuni titoli indicano una direzione politica precisa, ideali per cui – o contro cui – lottare (Freedom, United We Win, Intolerance, A Song of Hope), altre poesie riguardano personaggi illustri della comunità aborigena, come in Namatjira («Uomo aborigeno, tu te ne andavi orgoglioso, / e dipingevi con gioia il paesaggio. / Uomo delle origini, la tua fama è cresciuta in fretta, Gli uomini ti indicavano quando passavi», (p. 197), e rituali aborigeni, come in Corroboree o L’albero-tomba. Gli ideali comunisti e socialisti traspaiono da molti componimenti, come una lotta, un’alleanza collettiva che condurrà a vittoria certa: «Noi siamo l’ultima delle tribù dell’Età della Pietra, / In attesa che il tempo aiuti noi / Come il tempo ha aiutato te» (p. 213); «L’uomo nero sa che ci sono bianchi qui, oggi, che ci aiuteranno / a combattere il passato, / Fino a che un mondo di lavoratori da mare a mare potrà finalmente / vivere da pari» (p. 221); «Io sono per l’umanità unita, non per l’odio razziale; / Non distinguo tra tribù, sono internazionale » (p. 237).
Oltre al poema che dà il titolo alla raccolta, una delle poesie più efficaci è Un appello in cui Oodgeroo invoca diverse parti sociali: uomini di stato e scrittori, sindacati e chiese, stampa e bianchi liberali: «Scrittori che avete gli orecchi della nazione, / La vostra penna è una spada che il nemico teme, / Parlate dei nostri mali chiaro e forte / Che tutti possano sentirvi. / […] / Bianchi benevoli, alla fin fine / Da voi tutti dipendono le nostre più grandi speranze; / L’opinione pubblica è il nostro miglior amico / Per sconfiggere il nemico.» (p. 245)
Il ribaltamento di senso, il mutare l’odio in speranza, l’egoismo in azione comune, oppure, il ribaltamento beffardo (amico/nemico), è solo uno degli espedienti formali adottati da Oodgeroo. Se qui si è tentato di fornire sporadici esempi della sua versificazione in originale e in traduzione italiana, è solo leggendo questo ricco volume – in cui i componimenti sono raggruppati per temi, analizzati e sviscerati uno ad uno per rivelarne stile e prosodia, tradotti e commentati con dovizia di notazioni – che si potranno apprezzare il ritmo e il piglio originale di una poetessa aborigena che consegna all’inglese quasi à-la-Blake il proprio “orgoglio” di donna, di militante, di aborigena della nazione Noonuccal, di fustigatrice di bianchi ipocriti, “insegnati”, “Protettori”. Una donna, però, con i piedi per terra, che non rinuncia mai alla “speranza”: «Ai padri dei nostri padri / Il dolore, la pena; / Ai figli dei nostri figli / Il domani di gioia piena.» (p. 249).

(Carmen Concilio)

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