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NICOLA GARDINI, Stamattina, Borgomanero (NO), Giuliano Ladolfi Editore, 2014, pp. 102, € 8,50.


Ultima fatica poetica di Nicola Gardini, Stamattina si apre all’insegna di un verso di Edward Thomas (1878-1917), tratto dalla poesia The Cherry Trees: «Their petals, strewing the grass as for a wedding». Al limite tra testo e paratesto, il breve frammento del poeta inglese scandisce il tempo e lo spazio della poesia di Gardini – un moto delicato, improvviso, isolato, strappato dal verso di una quartina del poeta soldato morto in battaglia durante la prima guerra mondiale. Non credo sia superfluo soffermarsi ulteriormente su questa epigrafe, data anche la competenza di anglista di Gardini. La ‘mattina’ dell’io (lirico ed empirico) è inglese, avvolta anch’essa dai petali di un’erba appena bagnata dalla rugiada della sera precedente in attesa di un matrimonio, che tuttavia nei versi di Thomas non si verificherà: «This early May morn when there is none to wed». La storia dell’io di Stamattina attraversa il nucleo testuale di Thomas, ma dialetticamente lo supera, espungendo questo verso e inglobando la portata ecfrastica della sua poesia per costruire la propria ‘mattina’. Se nel paratesto Gardini recupera uno spazio e un tempo perduti, contaminati dalla morte e dall’impossibilità di consumare l’amore in una mattina di maggio, nella prima sezione, Secoli, il poeta definisce le coordinate spazio-temporali della nuova azione dell’io, nata dalla polvere dei versi di Thomas: «Oggi ho ripensato a mio padre». La marca deittica pronominale è assente, ma la posizione asseverativa e dichiarativa che la deissi spazio-temporale «Oggi» conferisce al passato prossimo configura l’azione egotica dell’io nel suo rapportarsi alla realtà, che in questo caso si materializza nel ricordo del padre «Al Victoria & Albert Museum / davanti a certi disegni // cinesi di mille anni fa». Simile al frammento di Thomas, la poesia di Gardini è una fotografia di un mondo rarefatto, che il poeta prova a disegnare, a «rivelar[e]» attraverso «un albero magro o la parola»; e anche se questo gesto rimane un «sogno», un’istantanea che, come il corpo dell’io, è destinato a ‘rimanere niente’ (p. 11), Gardini, «come un cinese antico», cerca di «contenere / i secoli» (p. 12) scrivendo poesia.
Se in Secoli l’io si raffronta con lo spettro tematico dell’esistenza, velato dalla labilità del presente («Come vorrei capire / tutto immediatamente / mentre avviene / non pensare che sto bene / mentre sto male / accorgermi che la vita / è già finita / Almeno due o tre volte», p. 14) e dall’imperscrutabilità del passato («Questo silenzio hanno le viole / io non so dire perché mi sento / come le viole» p. 16), nella seconda sezione eponima, Gardini traccia la portata universale del linguaggio nel «castello d’Atlante», dove la pluralità semantica delle Res et verba corrisponde alla molteplicità di viaggiatori che popolano la terra ariostesca: «Tutti presenti / e invece sembra sempre / che qualcuno manchi / ad andar dietro al senso / che gli cammina a fianco» (p. 19). In Stamattina questo spazio magico diventa figura della società postmoderna dove la frantumazione del rapporto tra senso e significato, tra segno e referente («Si dice che le parole dicano / ma le parole rispondono soltanto / tutte nascono da un perché / e questo il più delle volte / sfugge allo stesso parlante / nessuna equivale a un che / o rappresenta un come / nessuna è veramente un nome / per questo parlare è facile / difficile comprendere», p. 22), ha trasformato le stagioni dell’io in un perenne vagare tra labirinti linguistici ed esistenziali («Nessuno mi riconosce / negli autoritratti che faccio / infatti la faccia allo specchio / non è quello che un altro vede / ma uno sguardo che si guarda / nessuno è un altro quand’è solo / e la traccia è un altro nessuno», p. 24). Parallelamente a questa dimensione afasica e straniante dell’esistenza, nella seconda sezione l’io lirico affronta il rapporto amore-morte che i versi di Thomas suggerivano: «Ho sbagliato stamattina a pensare / di non essere più solo. / Se una nuvola si scosta / penso che la morte è un sole» (p. 28). Nella poesia eponima, scandita, come in The Cherry Trees, dal ritmo della quartina, Gardini recupera diversi temi e immagini della poesia di Thomas, incastonati dalla dialettica negativa tra l’io (non)conoscente e la natura («qui fa ancora freddo. Si è pure messo a piovere», «Il cielo continua a variare», p. 28; «Ho appena visto il massacro di un albero. / Un ragazzo con una motosega / l’ha abbattuto e staccato i rami e fatto / a pezzi il tronco», p. 30), cui segue l’impossibilità da parte dell’io di seguire la circolarità, figura del linguaggio, del tempo naturale («Come vorrei che le parole / formassero un discorso / continuo e luminoso come / un cielo con in mezzo il sole / per ogni cosa un nome / come per ogni nube un’ombra», p. 34).
Nella terza sezione, Prima del buio, le potenzialità conoscitive della musica prendono il posto della visione fotografica attraverso le quali Gardini indaga la realtà: canzonette, madrigali, sonetti, terzine si alternano in questa momento musicale dove le note prendono la forma di parole e le pause linguistiche assumono una valenza semantica in quanto marcatori di ritmo. Gli Idilli inglesi conservano questa duplicità esplorativa di musica e fotografia recuperando la forma teocritea dell’idillio. La natura inglese, mutuata però dall’immagine della Grecia antica, diventa il referente linguistico dell’io, che trova nell’«orecchio» del «tronco» (p. 71), nelle «forme chiare» dell’«aria» (p. 72), nelle «piante / che fioriscono al gelo» (p. 76) o nella «bellezza nuda» dell’«albero di Giuda» (p. 77) una forma di nostalgia per l’impossibilità di coniugare, o di sospendere, il tempo presente con il passato. Questa gelida speranza ritorna nell’ultima sezione della silloge, Dietro la porta. La presenza greca, avvertibile intertestualmente e tematicamente lungo tutte le stazioni di Stamattina, si manifesta in tutta la sua forza espressiva nella poesie Pan e Anima, tratte rispettivamente dal Fedro e dal Gorgia di Platone. La ricerca della verità, anzi, di una verità, di una «certezza» (p. 86) diventa il prisma attraverso il quale osservare da lontano il sogno, l’amore, il padre, il tempo, il corpo, la natura: l’io è destinato a correre «incontro ai giorni» che non ci sono più, nelle «buie pozzanghere» dove «l’acqua del canale stagna nera» e «i colori sono morti» (p. 94). Questo viaggio contro il tempo e lo spazio, iniziato dalla cenere di Thomas, si chiude così all’insegna della riscoperta della materialità della vita, in rapporto alla sua dimensione metafisica sfuggita all’orizzonte conoscitivo dell’io. L’anima del Gorgia, che aveva sperato di recuperare il dominio sulla realtà attraverso la finzione della retorica, cade di fronte alla pesantezza della foglia che «vola con un largo giro / e si disperde tra i sentieri nudi». L’io non può che seguire la sua scia, lasciando le proprie orme tra le «ombre» e la «brina dura al sole» (p. 94), aspettando quell’istante epifanico quando il presente e il passato torneranno a essere un corpo unico di «memorie» (p. 93).

(Alberto Comparini)

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