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GIULIO MARZAIOLI, Quattro fasi, Roma, La Camera Verde, 2012, pp. 28, € 20,00.


          Leggendo queste Quattro fasi, viene da dire che quella di Giulio Marzaioli è una scrittura eminentemente progettuale. È questo, infatti, il dato essenziale del suo fare poetico, il quale si sviluppa su progetti ben delimitati, circostanza che spiega in parte una certa identità multipla di tale scrittura, non immediatamente riconducibile a un centro unico, a uno stile univoco. Si tratta comunque di un dato che rende i libri di Marzaioli per alcuni aspetti ‘necessari’, nel senso che ciascuna uscita editoriale non si presenta come una pura e semplice silloge oppure quale sintesi del cammino compiuto fino a un punto determinato nel tempo, bensì come opera compiuta, frutto di un progetto fortemente predeterminato, non tanto nel télos, quanto soprattutto nelle condizioni di realizzazione dell’opera. Il progetto pluriennale delle Fasi, avviato nel 2010 e articolato appunto in quattro tappe, conduce, all’ingrosso, una ricerca dell’identità, sia della persona che del testo medesimo. È opportuno avvertire subito che tale ricerca non ha alcunché di autobiografico, anzi tende a interessare una dimensione plurivoca e collettiva della personalità (chi vive e lavora in un quotidiano chiuso), oltre che la dimensione testuale, giacché, come si diceva, il testo concluso è contraddistinto da modalità di scrittura nettamente diversificate, al punto che una delle fasi esce dalla pagina scritta e si avvale di un video. In quest’ultima circostanza sono racchiuse numerose componenti fondamentali della scrittura di Marzaioli: prima di tutto, l’opera non esibisce connotati autoriali ‘forti’, giacché nasce dal contributo di altri soggetti oltre a colui che la progetta e la firma (per esempio Gaia Rinaldelli e Michele Zaffarano, indispensabili per la realizzazione della Fusione di terza fase, rispettivamente per le analisi di linguistica computazionale e per le riprese e il montaggio del video); in seconda istanza l’intero insieme testuale si può leggere ricorrendo alla nozione di installazione verbale. Si tratta infatti di un dispositivo non concepito per una lettura lineare del testo poetico: esso presenta numerosi punti di accesso e, parimenti, numerose modalità di organizzazione del testo. Davanti alle pagine che contengono la Fusione di terza fase, dove rinveniamo alcuni grafici e una sorta di muro composto di vocaboli, risulta difficile immaginare di disporsi secondo la medesima postura mentale con cui si affrontano i versi tradizionali, comunque siano declinati. Entrano quindi in gioco altri fattori percettivi, come ci accade, appunto, davanti a una scultura e a una installazione, che consentono di girar loro attorno e di contemplare l’integrazione o la discontinuità delle parti. Vediamo più da vicino come si è realizzato il progetto Quattro fasi. Nei Moduli di prima fase si espone, per così dire, il tema (non il contenuto; il termine tema vale anche in chiave musicale), attorno al quale si impernia l’intera operazione: l’identità. L’input è generato dallo smarrimento di un badge, dal quale scaturisce una sorta di riflessione su un altro elemento consustanziale alla scrittura di Marzaioli, quello del lavoro, già presente in testi precedenti (per esempio in Cavare marmo). Ed ecco il succedersi di una continua opposizione tra «dentro» e «fuori», nella quale il primo termine si riferisce all’«acquario» o al «vetro », figure traslate dell’universo chiuso e claustrofobico della nostra vita lavorativa e non (l’ufficio, il quotidiano), da cui non si riesce a uscire. Dimensione chiusa allusa forse anche dalla forma quadrangolare dei moduli, dal disporsi del testo secondo un andamento geometrico-spaziale non immediatamente riconoscibile come metrico. E così la ricostruzione dell’identità della persona – non, si badi bene, dell’autore – procede in parallelo con la costruzione o ricostruzione di un testo per via modulare, appunto (tipico di questa scrittura è infatti l’uso delle ripetizioni). Al tentativo di aprire un varco, di forzare quella dimensione chiusa ed elaborare una via d’uscita, rispondono le Voci di seconda fase, il passaggio maggiormente corale dell’intero progetto. Qui sono rimodulate numerose voci intervistate e registrate dall’autore, le quali propongono le più svariate prospettive di fuga, quali che siano, «Ma facendo ciò che piace». Nondimeno, alla complessità corale dell’opera fornisce il proprio contributo anche l’uso della linguistica computazionale, cui l’autore fa ricorso nella terza fase, rappresentata da un video che rielabora a sua volta, ex machina, i Moduli. Di questa operazione nel volume restano ‘solamente’ la spiegazione del procedimento, i relativi grafici e l’insieme dei lemmi che vanno a comporre la «partitura verbale», sulla quale si innestano poi alcune delle Voci; di qui, appunto, la «fusione». Questa terza fase è alquanto emblematica delle modalità operative di Marzaioli: spesso la scrittura, il testo, rimandano a qualcosa che sta fuori dal testo medesimo, a un altro da sé. Si instaura così un fitto dialogo intermediale che fa esondare la parola scritta dalla pagina e la conduce altrove, in particolare verso l’immagine, sia fotografica che video. Alla Sintesi di quarta fase, da ultimo, il compito di trarre le somme, di individuare nella memoria il fondamento, ancorché minimo, dell’identità individuale: mi ricordo dunque sono. «per ciascuno una somma di ricordi / il ricordo mancante è la memoria / una misura attendibile della propria identità», sono questi i tre enunciati con i quali si chiude l’intera opera. Si chiude e si compie, giacché quella delle Fasi è una scrittura fortemente concettuale, se così si può dire, legata non solo e non tanto al mero dato testuale, ma anche e soprattutto al concretizzarsi di un intero progetto. E dunque al vocabolo fasi si può attribuire tanto l’accezione strettamente referenziale – sono appunto le fasi (steps) di un lavoro, detengono un senso cronologico o spaziale – tanto quella etimologica. Secondo l’etimo greco, fase è infatti ciò che si manifesta all’occhio (dal greco φαivνω: apparire), come si trattasse di una immagine fisica del tempo: il tempo visualizzato nello spazio. E fasi, infine, sono anche gli stati di aggregazione della materia, che qui, per estensione, si configurano come il manifestarsi di un’identità. Le Quattro fasi, in fondo, si possono leggere come una lunga indagine sull’esperienza del soggetto nell’epoca, e negli spazi, della disidentificazione, primo dei quali, ovviamente, è quello del lavoro. Ed ecco perché, infine, il progetto che vi si realizza è evidentemente politico.

(Massimiliano Manganelli)

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