« indietro «Oh quanto è corto il dire e come fioco Al mio concetto!»
(Par. XXXIII, vv. 121-122)
Vorrei che tutto ciò che intendo dire a proposito di Dante e della poesia russa fosse direttamente legato al tema del nostro convegno Arte che genera arte – un titolo che mi piace tanto! Non ho intenzione di presentare qui un quadro più o meno completo del ‘dantismo russo’ in modo accademico, e se anche volessi, non potrei farlo. Lascerò da parte tutta la storia delle traduzioni, ricerche e opere critiche dedicate al grande Fiorentino in Russia. Sono assai numerose. La presenza di Dante nella cultura russa, anche nella cultura russa moderna, è abbastanza notevole. Posso darne una prova: ogni volta che parlo di Dante in pubblico, incontro una vera e propria «brama» di conoscere questo universo artistico e spirituale, così nuovo per l’uditorio russo e così strano per la mentalità «attuale». Nondimeno, questa presenza dante- sca in Russia è un po’ singolare. Direi che nel Dante russo si sente una forte mancanza di Dante, una sorta di presentimento di Dante. Troppo poco si conosce ancora del Dante reale, cioè del Dante – autore, mentre il mito di Dante sembra essersi esaurito già ai tempi di Aleksandr Blok. Non voglio soffermarmi sul mito dantesco in Russia: questo mito romantico era comune a tutta l’Europa ottocentesca. È composto di pochi punti, si possono contare sulla punta delle dita: un’ombra dal profilo aquilino sotto un cappuccio scuro, l’amore per la celestiale Beatrice, l’esilio, la visita nell’aldilà infernale (per i nostri lettori e poeti Dante rimane, in fondo, l’autore della sua prima Cantica, l’Inferno), la sua grandiosità ed eccessiva difficoltà, la sua ‘severità’, il suo misticismo… Mi sembra che ci sia tutto. Insieme a questo mito tralascerò anche le poesie russe dedicate a Dante, che si basano su questa leggenda biografica. Alcune di queste poesie sono belle, specialmente quelle dedicate all’esilio di Dante dalla sua carissima città, dove siamo riuniti oggi per celebrarlo. I poeti russi meditano sulla nostalgia di Dante e sul suo rifiuto di ritornare a prezzo di un atto di pentimento formale. Vi sono poesie di Blok, Achmatova, Nikolaj Zabolockij e altri. Non c’è da meravigliarsi. Infatti, il soggetto ‘Un poeta e la sua patria crudele’ è fin troppo familiare per i poeti russi, che su questo hanno molto da dire.
Il mio tema di oggi però vorrebbe essere non tanto la presenza dantesca, quanto l’ispirazione dantesca nella poe- sia russa; che arte genera la sua arte? Puškin scrisse: «Seguire i pensieri di un grande uomo è la scienza più affascinante». Esiste una altra scienza analoga, forse anche più affascinante e certamente più pericolosa: seguire l’ispirazione di una grande anima, secondare questa fiamma in forma di parole – per dirlo con Dante:
«Poca favilla gran fiamma seconda» (Par. I, 34)
Il verbo ‘secondare’, ‘seguire’ acquista qui un altro senso, un’altra intensità.
Credo che il nostro mondo artistico odierno non cono sca più la gioia di seguire un grande esempio, di secondare il fuoco dell’ispirazione altrui:
«Per te poeta fui, per te cristiano» (Purg. XXII, 73)
come gridò Stazio scorgendo Virgilio. Il nostro mondo letterario di oggi conosce solo la funesta «ansia della influenza»(1). L’artista attuale preferisce «essere (o rimanere) se stesso» a prezzo del tutto. Ma secondare Dante significa non conservare lo status quo di «se stesso», bensì essere pronto a perderlo per diventare un altro, sconosciuto a se stesso, più abile e più libero.
Credo che nessun altro poeta europeo dei due millenni passati possa trasmettere ai confratelli tanta passione per un’arte che generi arte e non ‘un oggetto d’arte’, per un’arte che sia energia pura ascendente lungo la scala di immagini, concetti e suoni. Che cosa di questo dono dan- tesco venne fatta propria dalla poesia russa?
Afferma Osip Mandel’štam: «La poesia russa è cresciuta come se Dante non fosse mai esistito. Finora non ci siamo ancora resi pienamente conto di questa catastrofe». Questo giudizio, certo troppo duro, contiene tuttavia un briciolo di verità. Si può comprendere Mandel’štam: dopo lo choc dell’incontro con il ‘vero e proprio’ Dante, il Dante ‘crudo’ che brucia l’orecchio e l’intelletto, egli resta scon- certato perché esaminando tutto ciò che è legato con il nome di Dante nella poesia russa non trova niente che gli rassomiglia. «Era Puškin l’unico ad essere giunto sulla so- glia dell’autentica, matura comprensione di Dante». È sor- prendente che Mandel’štam non riconosca l’elemento dantesco in un suo contemporaneo, di qualche anno mag- giore di lui, Aleksandr Blok, che sotto molti aspetti potrebbe essere chiamato ‘il Dante russo’. Mandel’štam nota in Blok solamente le tracce del ‘culto ignorante’ di Dante, cioè del mito ottocentesco. «Per scrivere (di Dante) in que- sto modo si bisogna necessariamente non averlo mai letto». Tuttavia, quando Mandel’štam parla di Blok nell’anniversario della sua morte, probabilmente senza volerlo incomincia il suo discorso con un accenno alla Vita Nova e finisce con il finale della Commedia: «La cultura poetica nasce del desiderio di prevenire la catastrofe, di farla dipendere dal sole centrale di tutto il sistema, sia esso l’amore, del quale parlava Dante, o la musica, ultima pa- rola di Blok».
Il Dante di Mandel’štam e il Dante di Blok sono due grandi fiamme radicalmente diverse tra loro, che secon- dano la favilla di Dante. Ma prima parlerò degli altri ‘eventi di Dante’ nella nostra poesia. Il primo evento è il Dante di Puškin. L’attenzione particolare che Puškin presta a Dante negli anni trenta manifesta una volta di più la sua ‘unicità momentanea’. I contemporanei di Puškin cercano ‘l’armonia italiana’ intendendola in modo totalmente diverso: l’armonia laica, dolce e ricca, sensuale e fantasiosa di Petrarca, Ariosto, Tasso, la lingua del Petrarca e dell’amore. Grazie ai poeti filoitaliani, maestri e amici di Puškin, la nostra versificazione classica ha nel sangue questi suoni italiani. Ma Pu- škin, malgrado tutta la distanza delle culture – insuperabile in questa epoca – malgrado il gusto del tempo, legge Dante con grande attenzione. Legge e pensa.
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(1829)
Gli ultimi tre versi, che descrivono il distacco dalla realtà, sono pieni del nome di Dante: N – T – A – D – E. È l’anagramma di DANTE. Puškin fa entrare il suono dantesco nella poesia russa. Ogni lettore russo, quando pensa a Dante,ha in mente innanzitutto le terzine di Puškin:
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(1830)
Mi ricordo al principio della vita
La scuola: s’era in molti, rumorosa
Disparata famiglia, riunita
Intorno ad una donna maestosa
Che, pur vestita assai poveramente,
Era una sorvegliante rigorosa(2).
L’energia del passo dantesco, della terza rima è resa in maniera impeccabile, ma nella prosodia puškiniana Dante cambia tonalità. Qui il tono è piano, pensoso, semplice e solenne. È il tono della maturità ricca di esperienze, che sa benedire tutto ciò che è stato. Il paesaggio semantico è illuminato da una mite luce elegiaca, da una piacevole contemplazione del passato – assolutamente impossibile in Dante. In Puškin invece è impossibile la brama dantesca del Nuovo, Futuro, Insolito, Giusto… Può darsi che questo contrasto rifletta le differenze tra le diverse mentalità e tradizioni cristiane: occidentale, cattolica – oppure ortodossa.
Il giambo delle terzine di Puškin diventa il modello ritmico per la traduzione classica della Commedia realizzata da M. Lozinski. Ritroveremo anche in Blok questo giambo, che assolve la funzione del ritmo dantesco. Con questo suono piano e netto entrerà in campo Mandel’štam. Un altro evento dantesco in Russia – assistiamo, infatti, a una grande ghirlanda di eventi – è stato il cosiddetto Secolo d’Argento, l’epoca del simbolismo russo. Questa epoca era molto più preparata per leggere Dante inscritto nel contesto della storia reale. Le radici di Dante, quasi sconosciute al tempo di Puškin – Aristotele, Dionigi Areopagita, la teologia tomista, la mistica medievale, la scolastica – vengono ormai dibattute proprio in relazione a Dante. Vl. Solov’ëv, Vjac. Ivanov, Brjusov, Bal’mont, Dm. Merežkovskij, B. Zaicev… Lo spirito della Sofia Sapienza di Dio, l’Eterno Femminino aleggia sull’epoca. Vl. Solov’ëv invocò questo spirito: Blok lo assunse come oggetto del suo servizio artistico e religioso. Beatrice è vicina.
Adesso Dante è il supremo rappresentante dell’ispirazione artistica. Anna Achmatova, che legge Dante in originale (come Puškin e Mandel’štam), riconosce nella sua Musa la Musa di Dante:
Le chedo: «Dettasti a Dante tu
Le pagine dell’Inferno?» Risponde: «Io»(3).
Ma di nuovo: la Musa dell’Inferno! (Come sappiamo, in ogni Cantica Dante invoca una divinità pagana: le Muse nell’Inferno; le Muse e Calliope in particolare nel Purgatorio; Apollo stesso nel Paradiso). Per scherzo la Achmatova dipinge se stessa come una Beatrice che sa parlare in rima:
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Sapeva Bice ideare come Dante?
O sapeva Laura cantare il fervore amoroso?
Io ho insegnato alle donne a parlare.
Ma, Dio mio, chi potrebbe farle tacere?
La Musa che dettava le pagine dell’Inferno parla anche nel Poema senza eroe. Lo spazio tormentato del poema dove senza riposo si muovano le ombre dei defunti amici di gioventù della Achmatova ricorda una delle sezioni del regno sotterraneo, non visitata da Dante. Ma è un Inferno caro, che muove a compassione. E veniamo finalmente ai protagonisti del nostro tema: Blok e Mandel’štam.Il Dante di Blok è cresciuto nella culla del simbolismo, nell’atmosfera della «nuova spiritualità» con il suo culto dell’«artista-teurgo» e l’entusiasmo per la cultura universale. Blok non leggeva l’italiano (o lo leggeva poco) e la sua intuizione di Dante si nutre di un’altra sorgente.Negli ultimi anni della sua vita Blok accarezzò l’idea di fare una nuova edizione del suo libro giovanile Le poe- sie della Bellissima Dama. Il libro sarebbe stato corredato di commenti in prosa, presi dai suoi diari del tempo. In tal modo Blok intendeva mettere in luce il progetto originale del libro, che avrebbe dovuto essere una nuova Vita Nova, la narrazione di un’esperienza iniziatica. E come Dante oltre a Beatrice ha un’altra immagine femminile, la sua perfida Firenze, Blok ha la sua consorte Russia. La paretela spirituale tra Dante e Blok è sorprendente. La via, il concetto biblico del cammin di nostra vita è un simbolo centrale anche in Blok. Sin dall’inizio di questo cammino, dal primo e fatale incontro con la misteriosa Donna, mira- colo nuovo e gentile inviato dal Cielo, ambedue i poeti hanno coscienza di un Nuovo Secolo, del proprio essere eletti da Dio per un servizio speciale, di una dolorosa gioia o di un gioioso dolore, della caduta e della salvezza – una salvezza universale, non personale. I contrasti però non sono meno acuti. La Bellissima Dama di Blok sin dal- l’inizio porta in sé qualcosa di vago e incerto, qualcosa di spettrale:
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Ma ho paura: Tu cambierai la Tua sembianza
Questa guida non può condurre il suo paladino fino alla candida Rosa Mistica della milizia santa (Par. XXXI, 1- 2) (4). Nel caso di Blok la forza salutare porta in sé un altro amore – la tormentosa, ma piena di speranza, immagine della Russia, ‘santa peccatrice’. Come quasi tutti i poeti russi (eccetto Vjac. Ivanov) Blok conosce solamente l’Inferno dantesco. «L’arte è un Inferno», scrisse nel 1910. La salita vigile del Purgatorio, il transumanare del Paradiso gli sono sconosciuti. Ma nella musica del suo tardo poema La nemesi, il suo ‘canto secolare’ sui generis, si sente una voce dantesca ormai fuoriuscita dall’Inferno: il Dante fedele alla Speranza. Leggerò i versi che mostrano, a mio parere, l’impronta più netta dell’energia dantesca in tutta la poesia russa. Al sostrato latino che dà peso all’italiano dantesco, nella pro- sodia solenne di Blok corrisponde l’elemento dello Slavo Ecclesiastico. Un particolare interessante: qui Blok invoca e chiede la benedizione non della sua Dama o della sua Musa (la Musa di un poete maudit), ma della Santissima Vergine. Infatti, egli può chiamarLa solo attraverso una perifrasi (Tu che hai colpito l’Astro Matutino) – come se tutto avvenisse nell’Inferno, dove non è lecito pronunciare nomi santi.
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(1910 – 1916)
La vita è senza inizio e senza fine.
Tutti ci coglie di sorpresa il Caso.
Su di noi sta un’oscurità invincibile,
o lo splendore del volto Divino.
Ma tu, o artista, credi fermamente
In fini e inizi. Devi sapere
Dove ci spiano inferno e paradiso… ecc (5).
L’ultimo caso dantesco nella poesia russa che vorrei discutere in breve è addirittura un’esplosione di Dante: Mandel’štam. Tutto ciò che Blok ama in Dante non vale affatto per Mandel’štam. Con gesto definitivo egli mette da parte tutti i temi teologici, morali, storici, politici, biografici, tutta la tradizione del dantismo accademico. Gli oc- corre altro: la carne stessa della Commedia, la sua essenza non spaziale, il suo «impeto (slancio, l’élan) che genera forma» («??????????????? ?????»). Lottando per ‘un altro Dante’ contro il ‘Dante scolastico’ e il ‘Dante meschino’ Mandel’štam difende l’onore della poesia come un particolare significato, una particolare esistenza umana – un’esistenza nello spazio del miracolo e della catastrofe. Egli vuole levare alla «materia poetica, la più esatta fra tutte le materie, la più profetica e indomita», la vergogna di recepirla come «cultura, cioè decoro esteriore». Il Dante di Mandel’štam esiste nella dimensione del futuro, là dove esistono tutti i grandi poeti. Qui tra noi non ci sono. Possiamo solo «presentirli con gioia».Il Discorso su Dante di Mandel’štam è divenuto un evento mondiale. Ha mostrato un Dante così insolito che molti hanno deciso che non si trattasse in realtà di un di- scorso su Dante, bensì su di sé. Anche questo è vero. È un discorso sulle sue ultime poesie. Ma la novità di queste poesie è una novità generata da Dante. Un significato che si costruisce via durante il discorso ed è incommensurabile alla parafrasi, che non copia ma ‘ricrea’ l’universo, la lingua e la storia del genere umano nella sua svolta apocalittica. L’audacia di questo ‘nuovo dantismo’ di Mandel’štam resta insuperata anche ai nostri giorni. Leggerò ora alcuni versi, in cui quest’ispirazione dantesca echeggia, a mio parere, nella sua massima intensità. Si tratta di alcune strofe dei Versi sul milite ignoto.
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…Attraverso l’etere alla decima potenza
Luce di velocità macinate in raggio
Comincia un numero, fatta diafana
Da dolore lucente e dalla tarma degli zeri.
Ecc, (6).
Dopo aver udito tutte queste poesie dantesche, così ispirate e ispiranti, possiamo domandarci: che cosa manca nel Dante russo? La risposta è molto semplice: il Dante uscito dall’Inferno. Purtroppo, mi manca il tempo per spie- gare questa tesi. Adesso vorrei leggere la mia traduzione dell’ultimo sonetto della Vita Nova. Per rendere in russo il ritmo autentico di Dante non uso il giambo regolare, ma un ritmo più complesso.
«Oltre la spera che più larga gira»
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* L’autrice ringrazia Giovanna Parravicini per la collabora- zione.
1 Harold Bloom, The Anxiety of Influence. A Theory of Poetry.
2 A.S. Puškin, Liriche e poemi, a cura di Ettore Lo Gatto, Firenze, Sansoni.
3 A. Achmatova, La corsa del tempo: liriche e poemi, a cura di Michele Collucci, Torino, Einaudi 1992.
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4 Lo ha condotto fino alla Bianca coroncina di rose delle dodici guardie rosse (cf. Cesare G. De Michelis, Dalla «candida rosa» al «bianco serto di rose»: osservazioni aggiuntive al tema Blok – Dante. In: Dantismo russo e cornice Europea, a cura di Egidio Gui- dubaldi, S.J. Firenze1989, pp. 229-239).
5 A. Blok, La Nemesi, a cura di C. De Michelis, Torino, Einaudi 1980.
6 Osip Mandel’štam, Versi sul soldato ignoto.
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