FLESH
You wish to know if I cherished a thought
beyond lore & decorum, if a bloodless virtue
like some fury of wings beating in a cage
ushered me beyond paradise. Unbelievable
as I am, I shall say this: if I am Beatrice
or Beatitude, muse or pale siren, I am flesh
born to another dream of flesh. If I am clay,
it is the same merciless clay you are made of,
with a red vein of iron running through it, the same
naked prayer in the dark holding the song together.
The one who tried to raise me above the laws
of Nature & praise me into unearthly perfection
was my brother’s friend, who called Love his Master,
& I can remember the first time his eyes
strained to unlock the lonely temple of my bones:
we were both nine years old, reposed in the day’s
scripture. Attired in crimson lighter than breath
& memory, I daydreamed of my wooden dolls
asleep in identical beds, cast into a world of reason.
It was not a Sabbath divided by three.
I inherited the Virgin Mary’s guarded gaze
& smile. As the years passed, I knew nine
was its own circle as I crossed cobblestones
between my two chaperons. That day
I spoke his name at the edge of a sigh,
I did not know I was entering a ledger
of remembrance, & did not wish to be
a woman purely rhymed out of words.
When Love mastered my creator, Love was
a man or phantom, but I was born Beatrice.
Did my red hair & pale skin make me angelic
in a country of raven hair? My creator
wrote down every white bone in my body,
but he did not know the right questions
to summon me to desire. He did not know
nobility seldom resides in the noble,
that gold or silver always finds a way to work
its way out of the black earth, to force
the sun to make it dance in the air.
He did not know I hurt to know.
I love sun & rain on my skin. My suitor
& conjurer, is that the burden, the curse,
the gift? Does wisdom make my eyelashes
tremble, does it draw the blood forth, unearth
temptation? When innocence measured me
from crown to a dancer’s arch, the Furies
marked my path. He said my name
& the day turned to gulls crying – stolen
out of his mouth & put back into mine.
I am my own communion wine & bread.
I am the lost breath of medieval desire,
but not a false image, a sonnet, a canzone,
or a hidden metaphor. Let me measure
an unrhymed lament along the path
into the trees. If I am wrong or outdistanced,
if I lose my way or marry a banker’s son,
then let the sunlight undermine my stride
as a vein of pleasure unties my body
& unholy mind from the firmament,
its fiery lessons written in his master-text.
Though my family name bequeathed me
to a rich man & I ate only sugared almonds
on my wedding day, I trust a bird cried
nightlong on the bedroom windowsill.
The one who shaped me from the vernacular
sang also of harmony, but I wished for love
to speak to me as a human being out of Ovid,
from the blood of birth & death. I was happy
a whisper finally shook my heart awake
in this city of beautiful desolation.
Imbued with shame? How can we deny
a rose its thorns? I wish an infidelity
of memory, if human means not to know shame
& guilt in the worm-eaten afterworld.
Because there is neither a sweet style
nor truth in purest white, I crave the dark bread
of Tuscany & sun-ripened figs. God did not wound me
with pity, but made me to love beyond reason
& to know the salt of tears, to pray & defecate,
& to stand reflected by the clear waters of the Arno.
I was made to praise the winter sparrow
on its naked branch. My creator’s eyes
failed to reach into my beatitude,
into the marrow & laughter, into the sorrow
& doubt. He & his old river of words –
I came to myself on the bank of Lethe,
lost in chance, carried by a desirous wing.
My last garment had fallen to the ground,
& a battered angel entrusted me her credence.
I walked behind mystery’s first sister.
I was not numerology or philosophy. Because
my creator could not imagine me as a woman
in his arms, he dreamt me an early death
in his head. The word made flesh.
My name grew into a sonata he learned
to put back into his mouth, an echo
of his voice in the wind. My blood seethed
into his words, an immaculate conception
in reverse, & no one could keep God’s worms
out of the tomb after I died in childbirth.
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CARNE
Vuoi sapere se mi fu caro un pensiero
oltre tradizione & decoro, se una virtù esangue
come furore di sbatter d’ali in una gabbia
mi scortò oltre il paradiso. Inverosimile
come sono dirò questo: se sono Beatrice
o Beatitudine, musa o smunta sirena, sono carne
nata da un altro sogno di carne. Se sono argilla,
è la stessa argilla impietosa del tuo corpo,
solcata da una rossa vena di ferro, la stessa
nuda preghiera nel buio che tiene insieme il canto.
Colui che tentò d’innalzarmi oltre le leggi
di Natura & lodarmi quale celeste perfezione
era amico di mio fratello, chiamò Amore suo Signore,
& ricordo il primo sforzo dei suoi occhi
per aprire il tempio nudo delle mie ossa:
avevamo nove anni, riposati nella scrittura
del giorno. Ornata di porpora più leggera di respiro
& memoria, sognavo le mie bambole di legno
assopite in letti uguali, gettata in un mondo di ragione.
Non era un sabato diviso per tre.
Della Vergine Maria ereditai sguardo misurato
& sorriso. Cogli anni seppi che il nove
era il suo stesso cerchio traversando selciati
fra le mie due compagne. Quel giorno
pronunciai il suo nome sull’orlo d’un sospiro,
non sapevo d’entrare in un libro mastro
della memoria, & non volevo essere
donna fatta solo di parole in rima.
Quando Amore dominò il mio creatore, Amore fu
un uomo o fantasma, ma io ero nata Beatrice.
In un paese di chiome nere mi resero angelica
capelli rossi & pelle chiara? Il mio creatore
mise per scritto ogni osso bianco del mio corpo,
ma non sapeva le suppliche giuste
per chiamarmi al desiderio. Non sapeva che
nobiltà di rado risiede nel nobile,
che oro o argento trova sempre un modo
d’aprirsi un varco nella terra scura, costringere
il sole a farlo danzare nell’aria.
Non sapeva che sapere mi fa soffrire.
Amo sole & pioggia sulla pelle. Mio pretendente
& mago, è questo il fardello, la maledizione,
il dono? Mi fa tremare le ciglia la saggezza,
fa scorrere il sangue, dissotterra
tentazioni? Quando l’innocenza mi misurò
dalla tonsura al piede arcuato di ballerina, le Furie
segnarono il mio sentiero. Lui disse il mio nome
& il giorno mutò in un grido di gabbiani – rubato
dalla sua bocca & ridisposto nella mia.
Sono vino & pane della mia comunione.
Sono il respiro perduto del desiderio medievale,
non un’immagine falsa, un sonetto, una canzone,
o una chiusa metafora. Fa’ ch’io misuri
un lamento senza rima lungo il sentiero
fra gli alberi. Se sono in errore o oltre il mio potere,
se mi perdo o sposo il figlio d’un banchiere,
allora lascia che il sole m’insidi il passo
mentre una vena di piacere scioglie il mio corpo
& l’empia mente dal firmamento,
le sue ardenti lezioni scritte nel gran testo.
Benché il mio casato mi facesse l’erede
d’un ricco & mangiassi mandorle glassate soltanto
il giorno delle mie nozze, un uccello son certa gridò
tutta la notte sul davanzale della finestra.
Colui che mi scolpì dal vernacolo
cantò anche d’armonia, ma desideravo amore che
mi parlasse come un essere umano d’Ovidio,
dal sangue della nascita & della morte. Fui felice
che un bisbiglio infine scosse dal sonno il mio cuore
in questa città di splendida desolazione.
Impregnata di vergogna? Come negare
a una rosa le spine? Voglio un’infedeltà
di memoria, se umano significa ignorare vergogna
& colpa nell’oltrevita divorata da vermi.
Poiché non c’è né un dolce stile né verità n
el bianco più puro, bramo il pane nero
di Toscana & i fichi maturi di sole. Dio non mi ferì
con pietà di me, mi creò per amare oltre ragione
& conoscere delle lacrime il sale, pregare & defecare,
& ergermi riflessa nell’acque chiare dell’Arno.
Fui fatta per lodare il passero dell’inverno
sul ramo nudo. Gli occhi del mio creatore
non seppero raggiungere la mia beatitudine,
il midollo & la risata, il dolore
& il dubbio. Lui & il suo vecchio fiume di parole –
tornai in me sulla riva del Lete,
perduta nella sorte, portata da un’ala di desiderio.
La mia ultima veste era caduta a terra,
& un angelo oltraggiato affidò a me la sua fede.
M’incamminai dietro la prima sorella del mistero.
Non fui numerologia o filosofia. Siccome
il mio creatore non seppe immaginarmi donna
fra le sue braccia, sognò per me una morte precoce
nella sua testa. La parola fatta carne.
Il mio nome divenne una sonata che imparò
a ridisporre nella sua bocca, un’eco
della sua voce nel vento. Il mio sangue ribollì
nelle sue parole, un’immacolata concezione
all’incontrario, & nessuno seppe tenere i vermi di Dio
lontani dalla tomba dopo che morii dando alla luce.
(Traduzione di Antonella Francini)
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