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MERJA VIROLAINEN, 
La pelle e altre poesie, a cura di Antonio Parente e Viola Parente Capková, Pistoia, Via del Vento Edizioni 2004, 32 pp., euro 4,00.
 
di Lorenzo Amato
 
Di Merja Virolainen, prolifica componente del gruppo di poeti raccolti attorno alla rivista Nuori Voima, ci si è rapidamente occupati in questa sezione a proposito dell’antologia Quando il sole è fissato con i chiodi, dedicata alla poesia finlandese contemporanea (cfr. «Semicerchio» 30-31 2004, pp. 114-115). In tale occasione segnalavo come due poesie presentate in traduzione fossero precedentemente inedite anche in Finlandia, segno di un attivo rapporto di collabora- zione della Virolainen con i curatori dell’antologia, Antonio e Viola Parente. La piccola raccolta che qui recensisco, La pelle e altre poesie, approfondisce tale rapporto, fornendo ai lettori italiani la possibilità di conoscere più a fondo una poetessa giovane (n. 1962) ma già assai nota e apprezzata in patria.
Fin dai primi componimenti presentati in La pelle e altre poesie emerge con chiarezza la specificità della voce poetica della Virolainen: un impasto linguistico e ritmico che affonda le proprie radici nel ricco repertorio orale del popolo finnico, e nella religione animista e sciamanica che ancora ne costituisce il sostrato, ma che non ignora le esperienze della recente tradizione scritta e i movimenti internazionali contemporanei. Questa ricerca formale si esplicita e si concretizza in immagini fortemente erotiche, laddove per eros si intende soprattutto un tipo di rapporto fisico ed emotivo dell’io nei confronti della realtà umana e naturale circostante. Il paesaggio nordico, de- scritto nella sua vastità e nel suo mistero con il linguaggio tecnico della botanica e delle altre scienze naturali, e così vivida- mente ricreato con arte di fine pittrice simbolista, è trasformato dalla poetessa in metafora del proprio corpo messo a nudo, il quale a sua volta si diluisce in uno sconfinato paesaggio che tramanda con il suo mistero i più arcani segreti della terra e dei suoi antichi abitanti.
Ne è un esempio Dopo la sauna (p. 3, tratta dalla raccolta Hellyyttäsi taitat gardenian – Con la tua dolcezza spezzi una gardenia, 1990), che riporto per intero:
 
Dopo la sauna
o in quietudine la notte è 
un’isoletta di saliva sul petto
Ontani sulla riva, giuncheto,
dalla classica bruma emergono uccelli
d’acqua
si dileguano nella nebbia, 
un bosco che cala sul declivio, 
un’imbarcazione catramata,
nella quale da ragazza immaginavo
le spose remare.
Come sono diventata più donna 
senza accorgermene: con le punta delle
dita
spargo la saliva sul petto, 
con indifferenza
gli uccellini si puliscono il piumaggio 
sui rami che sovrastano l’acqua.
 
Gli elementi tradizionali, erotici e naturalistici, si alternano e si fondono in un adagio che, prendendo avvio dalla visione che la poetessa ha del proprio corpo, passa attraverso la rievocazione di un mondo mitico e assoluto, e torna in- fine a un presente la cui sensuale fisicità relega la visione diafana delle spose che remano in una dimensione altra, raggiungibile solo nel torpore allucinatorio del dopo sauna.
Si veda anche La pelle puoi, la pelle mia baciare (p. 5, tratta dalla raccolta Tervapeili - Lo specchio di catrame, 1995), nella quale la poetessa, in un’in- vocazione dettata dall’eccitazione sessuale, si definisce con immagini naturalistiche e, soprattutto, con sensazioni tattili, in un tentativo di autocoscienza assoluta che è anche anelito all’annichilimento di sé nell’orgasmo: «puoi la mia pelle, la pelle baciare, / se apri le mie natiche, spingi il tuo organo fino al cuore! / […] / io sono un tocco, il senso / una gocciola di rugiada / non più io, e nemmeno tu, / soltanto gioia, /solo il più breve momento di agonia».
In Conosco questa notte da sempre (p. 8, dalla raccolta Hellyyttäsi taitat gardenian) la natura panica entra materialmente a far parte della poetessa, rendendola elemento naturale: «Conosco […] / La stoppia, che mi fa lacrimare la fica / l’odore tremante del pino sotto le ascelle, / l’impronta digitale del vento che sprofonda nell’ombelico».
Anche il linguaggio unisce e confonde diverse epoche del popolo finnico: come evidenzia Viola Parente nella postfazione della raccolta, versi come «dal muso, dalla fronte cola il sangue della palude», da Di notte, nel momento più luminoso del giorno (p. 9, dalla raccolta Tervapeili) «richiamano alla mente sia una delle più toccanti poesie della tradizione popolare finlandese, Se arrivasse il mio compagno (Jos mun tuttuni tulisi), sia La sposa del lupo (Sudenmorsian) di Aino Kallas».
Proprio nei primi versi di Di notte… troviamo un richiamo palese alla mitologia finnica: «Di notte, nel momento più luminoso del giorno, / vanno alla deriva ignare della sponda / le scintille della luna nelle mie vene, / zattere smarrite di Tuonela, / fiume della morte»; il ricorso al- l’immagine lunare allude tuttavia a una concezione più occidentale dell’astro notturno, ‘femminilizzato’ sulla base della tradizione latina. D’altronde l’ambiva- lenza fra giorno e notte, luce e tenebra, vita e morte è la caratteristica principale del componimento: la compenetrazione degli opposti è ricerca di quello stato me- diano che corrisponde alla trance di origine sciamanica, che costituisce la con- dizione cognitiva fondamentale del sensismo della Virolainen. Non per nulla nel prosieguo del componimento la poe- tessa dichiara di giacere «supina in una gora di argilla, / la testa, le braccia / per metà al di là della mia ombra», e, più oltre, «Se mi vedessi adesso / […] / vedresti la luna piena come l’aureola / attorno alla testa infangata»: descrizione di una donna-lupo che ha varcato la ‘linea d’ombra’, limite fra umano e animale e fra mondo dei vivi e mondo dei morti.
Gli stessi elementi sono alla base di Salisti sulle spalle dell’Orsa minore (p. 10, da Quando il sole è fissato con i chiodi, cit., inedito in Finlandia), che esordisce «Salisti sulle spalle dell’Orsa minore, / per me partisti / per un viaggio, stella mia / già prima che io esistessi». Ma al termine del componimento la fisicità di tutti i giorni riprende il sopravvento, e il tempo presente confina i versi precedenti in un passato remoto che sembra doversi esorcizzare per poter apprezzare il dato freddo e realistico della vita di tutti i giorni: «Il più grande eroismo, e tuttavia la meraviglia delle meraviglie: / lunedì sera, la lavatrice che ronza, / cerchiamo per un momento di non litigare».
Topoi classici, di origine europea, sono utilizzati in modo ironicamente e oscenamente ribaltato in componimenti quali Dalle crepe dei pannelli alle pareti (p. 22, dalla raccolta Olen tyttö, ihanaa! – Sono una ragazza, che bello!, 2003), nel quale l’atto sessuale ‘rubato’ è descritto con un linguaggio sacralizzante e dissacrante al tempo stesso: «mi sento afferrare tra le gambe, / un lamio cherubino spinge / la trombetta tra i pannelli, / fa risuonare il suo purpureo Mendelssohn, / […]». In modo analogo in Pendo dal ramo di Antonovka (p. 23, dalla medesima raccolta) il mondo è capovolto in modo apparente- mente giocoso, così come i simboli cristiani, poiché «La mela ha morso Eva»; ma «anche la morte arriva, / prende fiato dai polmoni, / poi passa: / mi lascio cadere sulle palme / in piedi».
Se il tatto, senso erotico e quindi sacro, è strumento privilegiato di conoscenza del mondo, non sorprenderà il richiamo palese ai Racconti del cuscino in Oh schiena, pergamena scintillante (p. 25, da Tervapeili): «Oh schiena, pergamena scintillante, / ti scrivo con la punta delle dita / così rimani pura / rigo su rigo». Già nei Pillow books infatti lo scrivere è atto tattile ed erotico per eccellenza, e la pelle umana il supporto scrittorio più prezioso. Ma poiché la scrittura è anche espressione di uno stato d’animo, la seconda parte del componimento si sofferma sul tempo del sentire e del comporre, ovvero la notte, invocata come corporeo contenitore e veicolo di quegli affanni e quelle meditazioni che in poesia seppero esprimersi: «Oh notte, fibroso masso, / ascolto / attraverso queste parole / ciò che in te fu scritto in precedenza, / parola dopo parola in bella copia». La citazione michelangiolesca (cfr. il celebre sonetto O notte, o dolce tempo, benché nero) potrebbe esser stata ispirata dalla lettura del componimento Notte, serene ombre (sic in originale) della poetessa finlandese modernista per eccellenza, Eeva Liisa Manner, la cui conoscenza e interpretazione della poesia europea classica e moderna costituisce un punto di riferimento imprescindibile per tutti i poeti e le poetesse contemporanei.
Il gusto del ribaltamento del topos classico è ribadito con forza espressionistica in È probabile che Narciso il foruncoloso (p. 15, da Pilvet peittävät sisäänsä pilvet – Le nuvole celano le nubi in sé, 2000), che con il suo incipit «Narciso il foruncoloso / si riflette nella pozza di vomito», sottolinea il contrasto fra l’astrazione dell’uomo puro e bellissimo e vanesio, e una realtà fatta di foruncoli e vo- mito, con quell’accenno di realismo e di analisi sociale che costituisce il tema por- tante di una serie di componimenti che sembrano mettere in crisi l’idea che alla ‘sacerdotessa dell’eros’, come fu soprannominata la Virolainen dai primi critici, possano competere soltanto poesie prettamente erotiche. Viola Parente parla di «critica sociale […] indiretta […] ma non per questo meno efficace» (p. 28). D’altronde la lettura di testi come Il Parco dell’orso (p. 16, tratta dalla medesima raccolta), che descrive l’addormenta- mento di un barbone ubriaco seduto su una panchina del Parco dell’orso, rivela una suggestione ‘imagica’ che non può essere ricondotta esclusivamente al dato sociale del protagonista – spettatore:

Dopo aver guardato per tanto, tanto
tempo
nella magica fonte del chiosco 
Kimmo si toglie la giacca a vento, 
seduto sulla panchina del parco 
tira gli ultimi sorsi dalla bottiglia.
E guarda, l’orso di pietra salta via dal 
piedistallo,
una volpe e il suo cucciolo sbucano 
furtivamente dal cestino.
Tutt’intorno fiorisce la felce,
la strada crepata sprigiona il mirtillo. 
Il tram notturno solca fino alla fermata 
tra la leggera bruma del migliarino,
le porte si aprono fragorosamente, 
tassi, ricci, bestie pelose
balzano nel boschetto.
Un’ondata di creature di bosco straripa
dalla biblioteca, 
martore, leprotti, urogalli
sfrascano dalle ombre del parco della
chiesa.
L’organo inizia a mugghiare, 
l’intonaco si sfalda e turbina 
come farfalle verso il cielo. 
La testa si china sul petto,
il giovane barbuto si sveglia dal sonno, 
e due fate lo sollevano, sconoscente, 
nella barca in attesa in via Fleming.
 
Lo squallido mondo della periferia urbana si colora dell’anomala presenza delle creature del bosco, che irrompono sulla scena in modi bizzarri e onirici. Per qualche istante il barbone sfiora un mondo più colorato, più leggero e vivace, cullato nella sensazione ‘panica’ di esser parte di uno spettacolo bizzarro ma rassicurante. Ma è un’illusione alla quale egli non può lasciarsi andare, visto che lo sci- volamento nel sonno e la conseguente caduta in avanti della testa hanno l’effetto di risvegliarlo. Il finale a doppia lettura (realistica e fantastica) è un addio fiabesco a un mondo che, oltre che nei sogni del barbone, sussiste nell’inconscio collettivo finlandese: è il mito del primigenio rapporto di coessenza con la natura che, perduto con la vittoria della modernità sulla tradizione antica, è oggetto di co- stante rimpianto nella modernissima Finlandia contemporanea. Il vero tema della poesia parrebbe quindi non tanto l’emarginazione sociale di un individuo, quanto il rapporto di un’intera società con una natura ormai muta e distante, e l’anelito a un’armonia, prima di tutto fisica ed emotiva, che qui vediamo crearsi artificialmente nello stato allucinatorio causato dall’alcol, e che non può non risolversi con una disillusione ‘post-orgiastica’, sin- tomo di un fallimento prima di tutto cognitivo ed esistenziale. La penetrazione nel mondo fantastico pare svolgersi in modo non diverso da quanto accade in Dopo la sauna, pur dovendosi accettare le differenze ambientali delle due poesie e quindi le implicazioni sociali de Il Parco dell’orso.
Nella piccola antologia i componimenti tradotti sono 24. Questa ridotta selezione ha tuttavia il merito di rappresentare tutte le opere della Virolainen, e ogni singola versione italiana diviene exemplum di una produzione già ampia e di grande varietà formale e tematica. Come già accennavo nella recensione di Quando il sole è fissato con i chiodi («Semicerchio» 33-34, 2004, p. 115), un linguaggio così profondamente finnico, come quello di una poetessa che continuamente allude a motivi orali che per molti finlandesi hanno connotazioni non solo tradizionalistiche e romantiche, ma anche magiche e mistiche, non può es- sere reso in italiano senza una profonda risemantizzazione del lessico, e una ri- costruzione del respiro poetico che una lingua quantitativa come il finlandese comunque impone. Le soluzioni italiane di Antonio Parente sono quindi sorprendentemente puntuali nel riprodurre ora musicalità distese, ora ritmi spezzati e volutamente bizzarri, spesso in sintonia con un lessico che va dai tecnicismi più esatti a termini sessuali ‘volgari’, che riescono sorprendenti e spiazzanti an- che nelle versioni italiane. Alla speranza che questo piccolo libro possa avvicinare i lettori nostrani al mondo poetico di Merja Virolainen, ma anche a quello della tradizione pagana dei popoli finnici, del tutto sconosciuto in Italia, aggiungo l’augurio che il rapporto privilegiato di Antonio e Viola Parente con questa poetessa possa continuare a offrirci nuove traduzioni di un’opera così profondamente venata di motivi tradizionali e al tempo stesso così sorprendente e innovatrice.

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