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POESIA RUSSA DEL XX SECOLO.

La riscoperta dei minori

            Nel ricco panorama delle edizioni poetiche russe degli ultimi due anni vorrei segnalare l’attività di recupero e rivalutazione operata dalla casa editrice “Vodolej Publishers” di Mosca (in precedenza attiva a Tomsk) che propone opere di poeti del ricco retaggio d’inizio del Novecento e della diaspora post-rivoluzionaria.

            La nostra rassegna si apre con la raccolta dei versi di Vera Merkur’eva Tščeta [ Vanità, Moskva, “Vodolej Publishers”, 2007, pp. 606]. La poesia di Vera Merkur’eva (1876-1943) è stata oggetto di riscoperta specie grazie al contributo di Michail Gasparov che ne ha curato una prima pubblicazione di vari testi manoscritti e ha dedicato a lei numerosi contributi critici. Il presente volume parte da un progetto editoriale dovuto allo stesso Gasparov, ma rimasto incompiuto per la scomparsa dello studioso nel 2005 e adesso portato a realizzazione da Vladislav Rezvyj, il quale a mo’ di postfazione ha riproposto due studi già editi dello stesso Gasparov.[1] La Merkur’eva è poetessa diseguale, ma certamente di grande forza espressiva. Nativa della provincia (era di Vladikavkaz), si era formata in ambiente tardo-romantico (alcuni suoi versi furono apprezzati da Jakov Polonskij), passò poi attraverso un lungo periodo di travaglio spirituale, legato anche alle sue condizioni di salute, ora dando ascolto alle sirene della teosofia, ora tendendo tra pose ascetiche e teurgiche ad un recupero della spiritualità ortodossa. Fu grazie a Vjačeslav Ivanov che la Merkur’eva pubblicò i suoi primi versi nel 1918 (Le anime delle cose senza vita sull’almanacco “Vesennij salon poetov” [Il salone primaverile dei poeti]). Conobbe e frequentò scrittori e poeti, tra i quali Erenburg, Mandel’štam e la Cvetaeva, ma ben presto si trasferì a Vladikavkaz (vi rimase fino al 1932) pubblicando sporadicamente su edizioni locali. Trasferitasi poi a Mosca, si dedicò alla traduzione poetica (volse in russo la poesia di Shelley), ottenendo riconoscimenti e l’appoggio di Mandel’štam, Pasternak e altri. Morì a Taškent dove era stata evacuata allo scoppio della guerra. La poesia della Merkur’eva risente notevolmente degli stilemi della poesia simbolista, è percorsa dagli ideali del sacrificio e della rinunzia. L’immagine del poeta, similmente a Shelley è quello della nuvola che tutto prende dal mondo e al mondo restituisce. In una chiara ricezione panteistica del mondo la Merkur’eva, che ora rifiuta la visione del mondo cristiana,  individua nel poeta il creatore di un mondo “altro”, notturno, ma autentico e non illusorio come quello diurno. La poetessa in questa prospettiva è una reincarnazione di Cassandra che mette inutilmente in guardia gli umani dalla disgrazia che incombe sul mondo effimero della quotidianità, è una sorta di “folle in Cristo” le cui cupe predizioni nessuno comprende o accetta. Il libro Tščeta è così un composito mosaico di immagini e presagi, percorso ora da toni sacrali, ora da amara ironia e devastante senso del grottesco. Vjačeslav individuò nell’opera della Merkur’eva tratti di analogia con l’opera di altri poeti del tempo, specie con la poesia dell’Achmatova, mentre la Merkur’eva si sentiva più vicina alla poetica di Marina Cvetaeva.  Certo il lettore ha ora l’occasione di conoscere una nuova, originale voce femminile che insieme alle grandi autrici russe del suo tempo e accanto ad un’intera schiera di poetesse minori (da Adelaida Gercyk a Sof’ja Parnok, a Adalis, ecc.) testimonia della specifica originalità della poesia russa del Novecento al femminile. Assai interessanti gli aspetti formali del retaggio poetico della Merkur’eva che coltivò tra l’altro la corona di sonetti.

            Alle opere poetiche di Aleksej Lozina-Lozinskij è dedicato il volume Protivorečija [Contraddizioni, Mosca, 2008], curato da K.Dobromil’skij e accompagnato da una nota biografica redatta dal fratello del poeta ,Vladimir, nel 1933. L’opera di Aleksej Lozina-Lozinskij (1886-1916) viene riproposta al lettore russo dopo sporadiche apparizioni, come la breve silloge apparsa nel volume curato da A.Kobrinskij”A serdce rvëtsja k vystrelu” [“Ma il cuore anela al colpo di pistola”, Mosca, 2003] e dedicato alla lunga schiera di poeti suicidi del Novecento russo, tra i quali il Lozina-Lozinskij appunto. Il nostro è certamente un autore minore orientato verso la poesia decadente, imitatore dei francesi da Hugo a Baudelaire, diviso tra aspirazioni estetizzanti e passione rivoluzionaria, tra pose bohémiennes e aspro naturalismo. Patetico nei toni, talvolta pesantemente ampolloso e goffo per certi antiestetismi, Lozina-Lozinskij fu il sofferente cantore di una Pietroburgo spettrale e morente. Fu più volte arrestato per le sue simpatie rivoluzionarie e, esiliato dalla Russia negli anni 1912-1913, visse a Napoli e a Capri (tra l’altro volse in russo opere di Stecchetti e fu in contatto con Umberto Zanotti Bianco[2]). A Napoli e a Capri è dedicato il volumetto postumo di prose  Odinočestvo [Solitudine, Pietrogrado, 1916]. La nuova raccolta ripropone i libri poetici editi in vita da Lozina-Lozinskij, Protivorečija (1912), Trottuar [Marciapiede, 1916], Blagočestivye putešestvija [Viaggi di devozione, 1916]. Quest’ultima contiene la sezione Cvety ruin [Fiori delle rovine], dedicata a Napoli, Capri e ad altre località della Campania. Seguono numerosi  versi sparsi e traduzioni poetiche da Baudelaire, Verlaine, Heine e dal già ricordato Lorenzo Stecchetti. Il volume, pur risultando per molti suoi tratti lontano dai criteri ecdotici di un’edizione accademica, costituisce pur tuttavia uno strumento utilissimo per la rivalutazione poetica e storico-letteraria di questa significativa figura poetica della Pietroburgo prerivoluzionaria.

            Di ben altro rilievo per i tratti poetici e filologici risulta l’opera di Jurij Verchovskij (1878-1956), allievo di Aleksandr Veselovskij, storico della letteratura, docente dell’Università di Pietroburgo, il quale visse in prima persona la grande stagione del simbolismo russo (collaborò alla rivista “Vesy”[La bilancia]), intrattenendo rapporti di amicizia con Blok, Brjusov, Vjačeslav Ivanov, Kuzmin, Remizov. Accompagnando con originalità i suoi approfondimenti storico-letterari alla sua attività poetica originale e di traduzione (tradusse tra gli altri Petrarca e Mickiewicz), Verchovskij coltivò i generi elegiaci e antologici (fu maestro nella forma del sonetto), rifacendosi alla tradizione della pleiade puškiniana (Puškin, Del’vig, Baratynskij) e, allo stesso tempo, fu attento alle nuove istanze del modernismo, tendendo a leggere anche la poesia romantica in chiave simbolista (si veda la lettera-saggio Il simbolismo di Baratynskij indirizzata a Vjačeslav Ivanov del 1912). La raccolta delle opere edita da “Vodolej”, Struny. Sobranie sočinenij [Corde. Raccolta delle opere], Mosca 2008, a cura di V.Kalmykova, ripropone al lettore tutto il complesso delle poesie pubblicate in vita da Verchovskij nel periodo 1908-1943 (dal volumetto Raznye stichotvorenija [Poesie varie, 1908] a Solnce v zatočenii [Il sole incarcerato, 1922], a Budet tak [Sarà così, 1943]) e inoltre le raccolte inedite Zimnjaja vesna [Primavera invernale] e Ivolga [Il rigogolo], i poemi (solo Sozvezdie [La costellazione] già edita nel 1923) insieme ad una scelta di brevi racconti in prosa, un saggio su Aleksandr Blok e l’autobiografia scritta nel 1926. Nel volume è offerto dunque un panorama esaustivo sulla ricchissima produzione poetica di Verchovskij, caratterizzata da un uso variegato di forme e generi classici, da quelli antichi alle varie forme della poesia rinascimentale. Il quadro che se ne ottiene è emozionante e conferma i giudizi positivi che della poesia di Verchovskij espressero Brjusov, Blok e Vjačeslav Ivanov. Quest’ultimo, nel caratterizzare i toni minori e ricercati della lirica di Verchovskij, ricorrendo al concetto di “poesia dei crepuscoli” ne sottolineò l’autenticità artistica dei “semitoni”. Blok rispose al Verchovskij imitatore dei classici (la raccolta Idillii i elegii del 1910) con una epistola in versi nella quale sottolineava “Vi amo / per ogni vostra allusione al nuovo, / incastonata in un antico e triste disegno”. La critica più recente ha sottolineato il carattere “neoclassico” della poesia di Verchovskij che rimane fedele agli ideali di bellezza e armonia della tradizione classica in un contesto che è quello della sofferta ricerca formale e concettuale del simbolismo. Nel preparare insieme a N.Pavlovič una raccolta di versi di Verchovskij che poi non vide mai la luce, Boris Pasternak scriveva nel 1946 al redattore del Goslitizdat della poesia del nostro: “Ho provato grande piacere nel respirare questa atmosfera di assoluta purezza e sincerità”. E’ questo un giudizio pienamente condivisibile,  la “pura e sincera” lirica di Verchovskij costituisce un modello insostituibile di leggerezza e atemporalità, nella quale le movenze ritmiche della poesia classica si accompagnano alla “armoniosa precisione” della poesia dell’epoca puškiniana e al pathos spirituale della poesia novecentesca.

            Assai diversa, una vera e propria curiosità letteraria sul cui valore estetico ancora oggi si discute, è invece l’opera di Georgij Golochvastov (1882-1963), poeta della diaspora russa negli Stati Uniti. Golochvastov che aveva già cominciato a scrivere versi in patria, emigrò nel 1920 negli USA, nel 1924 partecipò con Vladimir Il’jašenko all’almanacco poetico Iz Ameriki [Dall’America],  visse poi a Long Island, fu presidente della Società russa di arti e letteratura di New York, il suo archivio è oggi conservato presso la Columbia University. Come poeta in un primo tempo Golochvastov  si collegò alla tradizione tardo-romantica ottocentesca russa, da Fet a Slučevskij, da Polonskij a Vladimir Solov’ëv, senza comunque offrire esempi di particolare originalità poetica e sviluppando toni di melanconico crepuscolarismo e muto fatalismo. Il suo nome è legato in primo luogo ad un macchinoso e complicato poema misticheggiante dal titolo Gibel’ Atlantidy [La fine di Atlantide, 1938]. Con questo titolo l’editrice “Vodolej Publishers” propone la prima raccolta delle opere di Golochvastov in Russia (G.Golochvastov, Gibel’ Atlantidy, Moskva, 2008). Il volume è per gran parte dedicato al lungo poema mistico-esoterico La fine di Atlantide (di ben 8000 versi) che dipartendosi dalle note affermazioni di Platone su Atlantide si sviluppa in un racconto epico-misterico colmo di rimandi mitopoietici e occulti, di oscure ricostruzioni storiosofiche, di esplicazioni fantastiche, di simbologie legate anche ad una lettura in chiave simbolica della storia. Ispirata a scritti di Merežkovskij, ma intrisa anche di allusioni a Schopenhauer, Tjutčev, Nietzsche e Vladimir Solov’ëv, alla base del poema sono riconoscibili letture approfondite dei libri sacri del cristianesimo e del giudaismo, di testi cabalistici, degli apocrifi, di opere della mistica orientale, degli scritti teosofici della Blavatskaja. Il poema gode da tempo del favore di tutta una serie di veri e propri estimatori del genere. Si tratta di una fortuna certo extra-letteraria, ma che comunque fa di questo testo appesantito dai toni retorici e da un sistema iconico ampolloso un oggetto di culto anche letterario. Tutto si diparte dalle opinioni espresse molti anni fa da un suo lettore entusiasta Leonid Brazol’ che volle individuare la discendenza de La fine di Atlantide da una serie di grandi opere del passato, dal Prometeo incatenato di Eschilo alla Divina Commedia di Dante, al Paradiso Perduto di Milton. Golochvastov, che fu sperimentatore nelle forme poetiche (il suo poema si costruisce su versi giambici e anapestici che risalgono ad un modello di Afanasij Fet), si distinse inoltre per l’uso della forma del semisonetto (una quartina e una terzina), secondo una moda che troviamo diffusa anche tra altri poeti russi della diaspora statunitense. Nel 1931 il poeta ne pubblicò un intero volume contenente 300 esempi di questa curiosità poetica anche nella forma di corona di semisonetti o con suite poetiche di introduzione. Si tratta di liriche leggere e manierate che risentono della poesia europea, da Ronsard a Parny, da Puškin a Baudelaire. E’ senza dubbio questo il contributo poetico più importante del nostro, che mette in evidenza tutta la sua versatilità poetica. Qui Golochvastov è poeta filosofo, misurato e preciso, talvolta fortemente razionale, ben lontano dalle complesse e nebulose costruzioni del suo poema. Per il lettore l’opportunità di conoscere un’altra voce non banale del variegato mondo letterario dell’emigrazione russa del XX secolo.

            Sempre alla diaspora russa appartiene Solomon Bart (?- 1941), il cui volume Stichotvorenija. 1915-1940. Proza. Pis’ma. [Poesie degli anni 1915-1940. Prosa. Lettere] viene ora riproposto[3] dalla casa editrice “Vodolej Publishers” a cura di Lazar’ Fleishman, noto quest’ultimo al lettore italiano per il suo libro su Boris Pasternak. Solomon Bart (Sergej Kopel’man) è personaggio per certi versi ancora misterioso. Esordì nel 1915 in Al’manachi stichov [Almanacchi di versi] edito a Pietrogrado, pubblicando propri versi accanto a quelli di Achmatova, Blok, Gumilëv, Kuzmin, Mandel’štam e altri. Questa circostanza è descritta in modo arguto e con evidenti aggiunte di fantasia da Georgij Ivanov nelle sue Ombre cinesi. Vi si narra di Mandel’štam assai bravo nel trovare sponsor per le proprie iniziative editoriali. Mandel’štam avrebbe incontrato in treno un certo Fridrich Fridrichovič commerciante e poeta dilettante, convincendolo a sostenere economicamente un almanacco poetico dove proporre anche i propri versi (la scelta dello pseudonimo Bart sarebbe legata all’esigenza di apparire in apertura del volume subito dopo i versi di Anna Achmatova). Bart pubblicò poi un volume di versi Floridei (Mosca, 1918), conservatosi in un unico esemplare e ora ripubblicato in questa edizione. Emigrato in Polonia dove si legò a Lev Gomolickij e al Literaturnoe Sodružestvo [Unione letteraria] di Varsavia, Bart pubblicò vari libri di poesia (tra i quali Kamni…Teni… [Pietre…Ombre…, 1934] e Duša v inoskazan’i [L’anima in allegoria, Berlino, 1935]) e partecipò attivamente anche con interventi saggistici alla vita letteraria della diaspora russa. Perì nel 1941 nel ghetto di Varsavia. Di Bart conservò il ricordo Dmitrij Gessen, figlio del noto filosofo Sergej Gessen. Dmitrij Gessen ha curato e raccolto le opere di Bart e  ha scritto su di lui un saggio che la nuova edizione ripropone al lettore. In appendice il volume presenta anche la corrispondenza di Bart con il critico e pensatore Al’fred Bem e un testo di Lev Gomolinskij, La morte dagli occhi azzurri, letto in occasione della scomparsa del poeta. Come poeta Bart è molto diseguale. Il letterato M.Cetlin disse di lui che “scrive versi strani”, nei quali è difficile trovare forme metriche e strofiche rispettate con sicurezza. In realtà la sua poesia si costruisce su una certa dose di ingenuità, caratteristica dei poeti dilettanti, con un sistema di immagini e metafore ora trite, ora d’improvviso inusuali. Se i versi della gioventù non vanno oltre i tratti del documento letterario, le raccolte degli anni Trenta (da Duša v inoskazan’i a Vorošiteli solomy [Gli essiccatori della paglia, Varsavia, 1939]) testimoniano di una voce lirica genuina, talvolta ingenua, ma che riesce a individuare il collegamento tra la routine quotidiana e la bellezza del canto, tra lo scorrere del tempo e i lampi della memoria.

            Da segnalare inoltre la pubblicazione da parte di “Vodolej  Publishers” di due interessanti volumi di traduzioni. Il primo è l’edizione completa delle versioni del poeta immaginista Vadim Šeršenevič dei Fiori del male di Baudelaire (Š.Bodler, Cvety zla. Perevod Vadima Šeršeneviča, Moskva, 2007). Si tratta di un’opera risalente agli anni Trenta (Šeršenevič avviò il lavoro nel 1933), che testimonia di un indubbio approccio originale al capolavoro baudelairiano e arricchisce l’ampio panorama della rilettura e reinterpretazione del retaggio del grande poeta francese in Russia, dove quest’ultimo fu per molte generazioni e scuole poetiche un vero e proprio punto di riferimento centrale. Il volume si chiude con un ampio e informato saggio critico di V.A.Drozdkov. Di altra natura l’altro volume, Il’ja Goleniščev-Kutuzov, Trudis’, ogon’!...Izbrannye perevody [Cimentati, o fuoco!...Traduzioni scelte], Moskva-Pisa, 2008 (a cura di I.V.Goleniščeva-Kutuzova con introduzione di Stefano Garzonio), che presenta una cernita delle traduzioni poetiche di Il’ja Goleniščev-Kutuzov. Noto in primo luogo come italianista e studioso del Rinascimento[4], Goleniščev-Kutuzov, emigrato dopo la rivoluzione in Jugoslavia e rientrato poi nella Russia sovietica alla fine del secondo conflitto mondiale, fu anche valente poeta, oltre che fine traduttore.[5] Nel presente volume il lettore troverà una ricca silloge di versioni di autori italiani, da Dante a Sbarbaro, affiancate da traduzioni di poeti della scuola ragusea, e ancora di poeti croati, francesi, tedeschi, svizzeri, ungheresi, cechi, sloveni e serbi. Le soluzioni metrico-ritmiche adottare mostrano tutta la finezza interpretativa e la versatilità di Goleniščev-Kutuzov e il suo genuino amore per il cimento poetico.

            Nella serie “Malyj Serebrjanyj vek”, dedicata a poeti minori della prima metà del XX secolo, nel 2008 sono usciti nuovi volumetti tra i quali di particolare rilievo la silloge di versi del grande compositore Aleksandr Skrjabin (Poema ekstaza [Il poema dell’estasi], Moskva, “Vodolej Publishers”, 2008), che costituisce una vera e propria scoperta: la poesia risulta per Skrjabin esperienza estetica significativa che si collega organicamente all’opera musicale in una viva ricerca di ritmi e immagini, fondata sull’idea di un’arte sincretica e conciliare. Da segnalare anche la pubblicazione dei versi di Aleksandr Štich (1890-1962)[6], amico d’infanzia di Pasternak, che aveva pubblicato un volumetto di versi nel 1916.

            Del poeta Andrej Nikolev (pseudonimo di A.N.Egunov, 1895-1968) avevo già riferito anni addietro su “Semicerchio” (NN. XXVI-XXVII [2002], p. 116), ma torno a scriverne oggi per la recente pubblicazione in Russia del suo dramma in versi Bespredmetnaja junost’ [Giovinezza immateriale], curata da un giovane studioso italiano, Massimo Maurizio, per i tipi della casa editrice “Izdatel’stvo Kulaginoj: Intrada”.[7] Il volume comprende un’ampia biografia del poeta, l’edizione critica del testo e una sua approfondita analisi critica con commento e si chiude con in appendice il testo della prima redazione del poema. Maurizio, che in passato aveva preso in esame il romanzo di Nikolev Al di là di Tula, fornisce ora una ricostruzione dettagliata della storia testuale dell’opera e poi, sulla base dei recenti studi su Nikolev di G.Morev, I.Višneveckij, Ju.Orlickij e altri, informa il lettore dei tratti specifici di questo “dramma senza teatro”, dei tratti specifici di questa curiosa opera della post-avanguardia della fine degli anni venti-anni trenta, caratterizzata da una struttura dialogica priva di trama e percorsa dalle tensioni della poetica dell’assurdo. Se le filiazioni e le contiguità risultano evidenti, da Konstantin Vaghinov a Daniil Charms, la spettrale presenza dei classici, da Dante a Puškin, attribuisce al testo la profondità della meditazione esistenziale e l’ambiguità della dimensione classica e sperimentale. Fortemente condizionata dalla poetica estetizzante del teatrino delle fiere, il balagan, tra farsa e commedia dell’arte (una delle redazioni del poema, la prima, si è conservata nell’archivio di Michail Kuzmin e fu a questi dapprima attribuita), la pièce si costruisce su un intreccio intricato, condizionato dai calembours e una confusa ciclicità, cui sottostanno i dialoghi di personaggi privi di concretezza e personalità. Si tratta in definitiva di una sorte di polifonico canto sepolcrale, ultimo tributo alla morente poesia pietroburghese.

            In chiusura mi sia permesso  ricordare anche una recente edizione italiana di un altro poeta minore della grande fioritura del primo Novecento russo. Mi riferisco al volumetto di versi di Vladimir Narbut (1888-1938)  La carne. Vita ordinaria ed epos (Roma, Aracne, 2008), curato da Danilo Cavaion. Rappresentante del post-simbolismo, Narbut acquisì una certa notorietà per il volume di poesie Alliluja [Alleluia, 1912], un “alleluia a tutto ciò che è terreno” (ma i testi erano stampati nell’alfabeto slavo ecclesiastico), per il quale si levarono accuse di blasfemia. Membro dell’Officina dei poeti acmeista, vicino a Gumilëv e alla sua ricezione della poesia e della vita in una dimensione eroica oltre che del neomitologismo paganeggiante di Sergej Gorodeckij, Narbut che fu anche estimatore della poesia di Ivan Bunin fu insieme all’amico Michail Zenkevič il più deciso assertore dell’”adamismo” che in vividi toni primitivistici e con evidente influenza di Baudelaire e degli altri francesi si realizzava in una cruda interpretazione fisiologica dell’uomo e del mondo animale.  Narbut, che era originario dell’Ucraina, trasferì nella sua opera molti dei tratti culturali, linguistici e letterari della sua terra, si ispirò a Skovoroda, alla poesia eroicomica di Kotljarevs’kyj, al mondo poetico di Gogol’. Attivo redattore di giornali letterari, Narbut partecipò poi attivamente alla rivoluzione ricoprendo cariche importanti nell’entourage bolscevico e svolgendo un ruolo di prim’ordine nella conduzione politica della giovane letteratura sovietica. Аccusato di tradimento durante le grandi purghe, Narbut perì nel GULAG sovietico, fucilato o, secondo una versione che il poeta Zenkevič riportò in una sua poesia, affogato insieme ad altri condannati in un barcone che fu fatto affondare. Narbut influenzato dalla poesia dei maudits francesi, nell’abbandonare i tratti lirico-immateriali della poetica del simbolismo teurgico, si gettò a capofitto nella pulsante materialità biologica della vita, esaltando la carnalità e il vigore fisico, la quotidianità e le forze pagane primigenie. Coltivò anche la poesia di tematica “scientifico-naturalistica”, sull’esempio di René Ghils e recuperò inoltre temi e immagini della tradizione poetica in lingua ucraina. Ne discende un corpus poetico lessicalmente vivido e pregnante, dove si combinano antiestetismo e sperimentazione in un complesso intreccio di registri e tonalità (si veda l’incipit della lirica Prima di Pasqua: Nella stalla, coperta d’un guscio / di morbido muschio, l’oscura spelonca / con l’occhio sghembo forando, / nel truogo viscoso imbragato nel fimo/ il porco imbratta la face sua lotra). Personaggio dai tratti misteriosi e sinistri, ma dalla personalità catalizzatrice, Narbut fu ricordato dai contemporanei per la sua forza espressiva, per la teatralità del suo verso, e non a caso ebbe tra i suoi ammiratori il giovane Majakovskij, sulla cui lirica esercitò un’indubbia influenza. Il volume curato da Danilo Cavaion offre per la prima volta al lettore italiano una silloge poetica di Narbut, volgendo i versi scabri e acerbi dell’originale in una resa ritmica attenta e coerente che trasmette con genuinità lo spirito vivo dell’originale. Forse, non abbastanza approfondita risulta la ricostruzione della biografia e dell’opera di Narbut, che certo necessita ancora oggi di ulteriori studi dopo il pionieristico studio di Leonid Čertkov (1983) e pur in presenza della dotta voce enciclopedica di Roman Timenčik (1999)[8]. La poesia, la prosa, la pubblicistica, l’opera di Narbut nel suo insieme attendono ancora in Russia una definitiva e esauriente edizione di stampo accademico[9], che comprenda anche le tante poesie di carattere propagandistico (tra l’altro Narbut diresse l’agenzia ROSTA in Ucraina) che il poeta pubblicò in specifiche raccolte. A questa esigenza risponde in parte il volume dei saggi critici (insieme a quelli dell’amico Michail Zenkevič) Stat’i. Recenzii. Pis’ma [Articoli. Recensioni. Lettere], appena pubblicato a Mosca (2008) da Oleg Lekmanov.

 

Stefano GARZONIO



[1] Si tratta dei saggi Vera Merkur’eva, Stichi i žizn’ in Lica. Biografičeskij al’manach, Moskva-Sankt Peterburg, 1994, n. 5, e del saggio per la prima volta apparso in Italia Vera Merkur’eva: technika stilizacii in Presenze femminili nella letteratura russa, Padova, 2000, pp. 62-72. Tra le altre pubblicazioni del Gasparov da ricordare Vera Merkur’eva. Iz literaturnogo nasledija, “Oktjabr’”, 1989, n. 5, pp. 149-159 e Vera Merkur’eva – neizvestnaja poetessa kruga Vjačeslava Ivanova, in Vjačeslav Ivanov – Russischer Dichter – europäischer Kulturphilosoph, Heidelberg, 1993.

[2] Cf. Umberto Zanotti-Bianco, Carteggio 1906-1918, Bari, 1987, pp. 325, 407, 423, 471, 529 e 537; (a cura di S.Guagnelli) Il cavaliere rose-croix e il filosofo stanco. Nuove lettere di Umberto Zanotti Bianco ad Aleksej Konstantinovič Lozina-Lozinskij,”eSamizdat”, 2004 (II) 2, pp. 277-283, N.P.Komolova, Solitudine tra la folla caprese. Il poeta Lozina-Lozinskij e Capri, “Conoscere Capri” 6, Capri, 2007, pp. 69-83.

[3] Il volume era già stato edito negli Stanford Slavic Studies nel 2002.[4] Al lettore italiano è noto il fondamentale studio Il Rinascimento italiano e le letterature slave dei secoli XV e XVI (a cura di S.Graciotti e J.Kresalkova), Milano 1989.

[5] Un’antologia dei suoi versi è uscita recentemente presso lo stesso editore “Vodolej Publishers”: I.Goleniščev-Kutuzov, Blagodarju, za vse blagodarju. Sobranie stichotvorenij [Grazie, per tutto grazie. Raccolta delle poesie], Pisa-Tomsk-Moskva, 2004 (Introduzione di Stefano Garzonio, pp. 5-20).

[6] A.Štich, Istlevšich let živye sny [Degli anni in polvere I vivi sogni], Moskva, “Vodolej Publishers”, 2008.

[7] M.Maurizio, “Bespredmetnaja junost’” A.Egunova: Tekst i kontekst, Moskva, 2008, pp. 253.

[8] L. Čertkov, Sud’ba Vladimira Narbuta, in V. Narbut, Izbrannye stichi, Paris, 1983, pp. 7-28; R.D.Timenčik, Narbut Vladimir Ivanovič, in Russkie pisateli. Poety 1800-1917. Biografičeskij slovar’, t. 4, Moskva, 1999, pp. 227-230.

[9] Tali non sono, malgrado i tanti pregi la già ricordata edizione di L.Čertkov Izbrannye stichi [Versi scelti] e l’edizione Stichotvorenija [Poesie], Moskva, 1990 a cura di N.Bjalosninskaja e N.Pančenko.


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Le riviste in tempo di pandemia

28 maggio 2021
De Francesco: Laboratorio di traduzione da poesia barocca

21 maggio 2021
Jhumpa Lahiri intervistata da Antonella Francini

11 maggio 2021
Hodoeporica. Presentazione di "Semicerchio" 63 su Youtube

7 maggio 2021
Jorie Graham a dialogo con la sua traduttrice italiana

23 aprile 2021
La poesia di Franco Buffoni in spagnolo

22 marzo 2021
Scuola aperta di Semicerchio aprile-giugno 2021

19 giugno 2020
Poesia russa: incontro finale del Virtual Lab di Semicerchio

1 giugno 2020
Call for papers: Semicerchio 63 "Gli ospiti del caso"

30 aprile 2020
Laboratori digitali della Scuola Semicerchio

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