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FRANCESCO GIUSTI, A un passo da Cézanne, Pescara, Edizioni Tracce – Fondazione Caripe, 2004, prefazione di Ubaldo Giacomucci, postfazione di Elio Grasso, pp. 69, € 9,00.
 
Negli immediati dintorni di Cézanne, la copia dal vero realizzata dal giovane autore (L’Aquila, n. 1984) mantiene un forte legame ‘progettuale’ rispetto al presumibile disegno originale delle cose («il vero è un’utopia circostanziata»), spinto perfino al pathos occasionale di vere e proprie strategie di estenuazione: «dobbiamo imparare anche a difendere la nave che affonda con lo sguardo, ritardare anche di un solo istante il suo sparire tra le onde o accelerarlo. Imparare a morire come se l’avessimo già visto, con un intimo realismo creaturale». Sul piano dell’esperienza – cioè di quanto di esperienza entra nella frase – tale disponibilità si traduce in (a volte ancora un po’ ovvie) arcature montaliane: è una disponibilità continua alla modulazione della frase lunga: «pensarti ferma o chiusa in un coro di passanti / mentre impari che è il tempo ad insegnarti / a dimenticare»; al meglio quando estendibile per parabole elastiche: «Sento quasi spento / quel celebre ritardo di concerto / e l’ampio giro del biglietto d’autobus / timbrato chiuso nel ristretto orizzonte / tipografico...». La migliore descrizione di questa ambientazione stilistica la dà comunque Giusti da se stesso: «C’è veemenza nei movimenti lenti». Ma copiare dal vero non lontano da Cézanne significa tentare di comprimere questa acuta sensibilità in costruttivismo, geometria, dissolvimento della spinta confessional in rifrazioni che sembrano enigmi e sono invece le allusività del vecchio metodo mitico, quello di Eliot e di Pound. La forma più congeniale diviene quella della costruzione poematica (al meglio nel compatto dittico 1922/2002) di stampo nettamente modernista (nulla cambiano sporadici aggiornamenti post-). L’arsenale dunque delle persone e figure simboliche: la «cartomante per nostalgia» (madame Sostratis?), «Hermes psicopompo ti ha abbandonato / all’ombra di un altro cabernet / solo in parte modernista / come una donna di quadri / su un tavolo da biliardo»; la sfilata di autori e personaggi: Kafka, Borges, Eliot, la Bovary, Flaubert; il racconto del quotidiano nei termini di un racconto mitico: «Una vacanza / tra gli antichi borghi della Linguadoca / in barca lungo l’ultimo tratto del canal du Midi: / il molo è affollato d’uomini che cercano / l’arte nelle brioches, anche la cruna dell’ago / è un errore filologico figuriamoci il tuo nome / col fumo che confonde, il fumo che risale / dall’acqua che s’approssima alle rive», con sosta «ad ogni mitica fermata d’autobus», o in gita per luoghi letterari «nella casetta ai margini di Grasmere» (nel Lake District). C’è comunque nell’insistita consapevolezza dell’andare per sentieri battuti: «anche qui / vedo un centurione calcare / le mie impronte», magari a rischio di scivoloni in scoperte epifanie: «possiamo cogliere solo annunci / le rivelazioni sono inaccettabili», una bella misura nel mantenere il distacco, una distanza di sicurezza evocativa: «ci dovrebbe essere un coro bizantino / dietro quelle tessere dorate», «un’Atene edulcorata, Roma / bravissima a nascondere / senza nascondersi», tale da meritare all’autore oltre alla menzione, un’opzione di conferma per il seguito del suo lavoro.

Fabio Zinelli

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11 settembre 2023
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11 settembre 2023
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26 giugno 2023
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La Divina Commedia nelle lingue orientali

8 ottobre 2021
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