« indietro ROSA PIERNO, Arte da camera, Napoli, Edizioni d’if 2004, pp. 32, € 3,50.
Trentacinque lasse prosastiche di lunghezza variabile tra le quattro e la quaranta righe in cui vengono descritte e variate le effusioni di due amanti chiusi in una stanza compongono il nuovo libro di Rosa Pierno, Arte da camera. Il luogo è quello, circoscritto e topico, del rapporto amoroso e della natura fantasmatica del desiderio, temi e assunti privilegiati dell’intera storia della poesia romanza. Chi si fermasse a questo aspetto, tuttavia, pur centrando in pieno il cuore del libro, non ne coglierebbe il procedimento, la sua natura insieme tecnica e viscerale, che si basa in particolare sull’esaltazione del rapporto intersemiotico. Convocando pittura e musica, l’autrice procede infatti a fissare – come in dei brevi filmini più che vagamente voyeuristici – l’amplesso della coppia ricostruendone i movimenti che vengono ricomposti come in uno spartito. Ne vengono fuori delle immagini allusive di suoni, i quali, come in una pellicola senza sonoro – un vecchio super-8, mettiamo, o gli esercizî cinematografici warholiani –, devono essere restituiti dal lettore. Un sistema di eccitazione sensoriale, dunque, ma rigorosamente sottoposto al controllo razionale, come in quei famosi esperimenti che Paul Klee faceva su se stesso per cogliere gli spostamenti realizzati dall’occhio nel percorrere un foglio su cui si era tracciato un tale o tal altro disegno. Allo stesso modo qui una serie percettiva porta alla configurazione di uno schema concettuale; il datum conduce a una griglia figurale; la variazione dei dati, tendenzialmente conferma quella griglia. Se ciò fa pensare a un impianto fenomenologico, è certo che il sistema della variazione – in base alla quale la scena d’amore è ripetuta e variata in ogni lassa passandola al filtro ora dell’analogia ritmico-musicale, ora dell’analogia cromatico-visiva – tende a cancellare la figuratività e così ricavare dalla descrizione un sistema di rapporti, un fascio di forze riducibili a funzioni. Prendiamo un breve esempio dall’incipit di Canto figurato: «I corpi sinuosi si avvicinano, accordando i loro suoni. Accordi di primo letto recano varietà nella condotta del basso e di conseguenza anche delle altre membra. Rime baciate si avvicendano con lo stesso ritmo di una pioggia insistente nel pineto». Qui, il ludico riferimento intertestuale a D’Annunzio vale come breve sigla dell’erotismo facile di una scena di sesso tra sconosciuti; l’intendersi dei corpi nel primo avvicinarsi e la pulsione genitale che ne consegue battono il tempo dell’attrazione, che si viene ritmando sulla compulsività iterata delle «rime baciate», cioè ravvicinate (ma qui s’intenderà anche proprio il bacio: le due parti terminali uguali, le bocche, accostate). Da questa situazione iniziale si arriva in un breve giro di frasi all’«unica perfetta consonanza» dell’amplesso felicemente riuscito. Ebbene, proprio l’evidenza e l’esplicitezza che caratterizzano la descrizione allegorica nel suo complesso potenziano quella compulsività oculare che andrà articolata nel suo risvolto psicologico, il voyeurismo, e nel suo risvolto estetico, la riduzione a pura forma. Il lettore è insomma indotto a sbirciare in una ‘camera’ e ad assistere alla scena che vi si realizza; nello stesso tempo, egli organizza per mezzo dell’arte una serie di atti ed eventi, che riduce a puri schemi. In questa operazione egli è però costretto a ripetere l’evento, diventa cioè, per il tipico mimetismo psicologico e motorio che l’arte – qualunque arte – induce nel fruitore, attore di quella scena. La pulsione scopica, attraverso l’organizzazione formale dei brevi testi di Pierno, costringe insomma il lettore a innervare nella propria sensibilità corporea quanto si viene scoprendo innanzi alla sua ‘camera’ mentale; il lettore diventa infine attore, operatore mimetico. Ed è così che il rapporto intersemiotico, il sistema sinestesico-allegorico, l’impianto nel complesso fenomenologico, gli elementi insomma portanti su cui si basa la poesia di Rosa Pierno, rinunciando a ogni ipotesi narrativa, a ogni costruzione d’identità fittizie, riducendo al nocciolo l’esperienza sensibile, ne ricavano una ‘macchina influenzante’, per riprendere il celebre concetto di Tausk, che trasforma noi lettori in attori-protagonisti coatti.
Giancarlo Alfano
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