« indietro ANTONIO SPAGNUOLO, Per lembi, San Cesario di Lecce (LE), Manni 2004, pp. 79, € 10,00.
Antonio Spagnuolo considera il proprio approccio alla poesia come un andar per lembi che provi a ricucire le parole che scaturiscono spontaneamente dal suo inconscio. Scrittore versatile e dall’abbondante produzione in versi e in prosa, questo medico napoletano (ormai in pensione), da anni poeta di notevole interesse, meriterebbe un bilancio critico che ne cogliesse dissonanze e aperture, gli echi risonanti dai silenzi profondi della sua scrittura e le strutture profonde che la attraversano. È a questo livello che le sue capacità di evocazione verbale e di suggestività inconscia diffusa possono essere giudicate. Per lembi è un libro complesso, che procede lentamente (con brevi squarci di luce e intervalli di senso che lasciano balenare la possibilità di una definitiva soluzione dell’enigma), che non concede tregua al lettore e che lo costringe a riflettere sulle possibilità rimaste alla poesia quale epistemologia dell’Io e delle sue cristallizzazioni d’amore: «Offri le meraviglie del tuo gesto, / incerta del passato. / Fuori del corpo riconosci l’amaro / naufragio di preghiere, / ricalcando capricci o paure nel restituire / il saccheggio alla memoria. / Dietro i miei libri, / dentro ogni foglio, / preziosi rimproveri di strofe, / mescolando ai timori la nomenclatura / delle arterie, del cuore, di sinapsi, / quasi a dir sottovoce lo stupore / dell’ultima domanda. // Alle tue braccia, / conoscendo il tuo gesto, / distendo il mio respiro». Si tratta di una dichiarazione di poetica: l’affermazione esplicita del fatto che l’origine prima della scrittura (la trasformazione dei segni compresi nel testo in proposte di comunicazione verbale) è il corpo stesso del poeta. Un corpo fatto di carne, cuore e sinapsi ma anche capacità di trovare al proprio interno la ragione profonda del proprio esistere in quanto forma emozionale e comunicabile. È a questo livello di discesa nel profondo che i lembi vanno aperti e poi suturati dal significato delle esperienze linguistiche adottate. Lo stupore sarà il risultato più compiuto raggiunto dalla capacità del poeta di aprirsi e di trovare le ragioni ulteriori del proprio scrivere: stupore che è comprensione e desiderio di andare ancora a quelle stesse ragioni. Si tratta di scoprire «qualcosa che illuda le ombre» oppure – dirà successivamente – di voler disgregare «l’incerta nostalgia». Ribadire, di conseguenza, il primato della vita e sconfiggere la morte quando si presenti coi tratti dell’illusione e del rimpianto del passato, è il compito della scrittura: ricucire i lembi separati dalla paura di vivere nel presente, aprirne altri per capire cosa fa funzionare la macchina del desiderio che conduce alla scrittura, essere in grado di «modellare altre notizie», «spezzare i dinieghi», «riportare le emozioni». È stato per primo Mario Pomilio (in A. Spagnuolo, Candida, Napoli, Guida 1985) a dare di questa poesia una delle migliori definizioni possibili: «Ha scritto una volta Antonio Spagnuolo che ‘la poesia è legata all’inconscio e l’inconscio è il luogo della poesia’. Ma una così esplicita professione di fede psicanalitica non si limita affatto al regime della poetica. Essa comporta da parte di Spagnuolo una vera e propria assunzione di contenuti e mitemi anch’essi di origine psicanalitica: [...] l’endiadi-opposizione di libido e morte, assunti per via d’un’estrema semplificazione con un’intensità quasi aggressiva e sofferti per converso fino allo spasimo e allo sgomento...». Analoga dichiarazione, così netta, si potrà fare anche per quest’ultimo libro.
Giuseppe Panella
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