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RICARDO ALEIXO, Máquina Zero, Belo Horizonte, Objeto Livro 2004, pp. 64, s.i.p.
L’ultima pubblicazione di questo performer versatile (che è anche attore, musicista, grafista ed editore) è un libro di un’intrigante veste grafica, interamente curata da Ricardo Aleixo. Data la stretta relazione tra testo e immagine proposta dal poeta, dialogo che riprende in parte la corrente estetica inaugurata, in Brasile, dai fratelli Campos e da Décio Pignatari, iniziamo la nostra riflessione dalla copertina del libro, che ci propone un interessante spunto critico. In effetti, il titolo rappresenta una ferrea critica alla modernità, in cui la macchina, solitamente epicentro del sistema comportamentale dell’uomo, è annullata («zerada», in portoghese). Allo stesso tempo, dato che il libro si iscrive nella linea della poesia satirica, il titolo ci suggerisce l’idea di qualcosa che raspa, come il rasoio che taglia i capelli fino alla radice, lasciando scoperta la nuca. In Brasile, questo tipo di taglio di capelli è chiamato, appunto, di «Máquina zero», il che ci fa pensare alla lingua come ad uno strumento tagliente come le lame del rasoio. In ogni modo, nel nuovo libro di Ricardo Aleixo macchina e corpo si trovano tête-à-tête, e l’apporto grafico completa e complementa l’acuta ironia e sarcasmo presenti nel testo. L’immagine in copertina, di un mappamondo al contrario attaccato da una vecchia macchina da scrivere rafforza l’idea di una lettura del mondo che avviene, appunto, «al contrario», ossia, per mezzo dell’ironia, della satira: i meccanismi sociali, culturali e letterari abordati dall’autore, già cristallizzati dalla moderna società brasiliana, soffrono un radicale processo di smantellamento. In questo senso, Máquina zero è un libro che rifiuta i significati chiusi su se stessi, e presenta segni (grafici, visuali, sintattici, linguistici) in costante movimento, scivolando e trapassando di pagina in pagina, in modo da lasciarci senza punti di riferimento. Così, anche nella poesia in cui si parla dell’esecuzione del condannato a morte americano, Timothy McVeigh, il lettore esce dalla lettura «semi morto» (p. 23), senza sapere come collocarsi di fronte a situazioni estreme come questa. 

Si tratta, senza dubbio, di poesie sconcertanti e scomode, nella miglior linea satirica, che trova in Gregório de Mattos uno dei massimi esponenti in Brasile, ma che chiama sul palco anche nomi quali Oswald de Andrade e Millôr Fernandes. Il cammino poetico di Aleixo si alimenta della pluralità semiologica, e richiede al lettore non solo un’attenta lettura, ma anche un’acuta percezione sonora e visiva. Lo sguardo che egli lancia sulla società brasiliana contemporanea è quello di un artista alle prese con il disordine dei segni, ossia, con il ribaltamento dell’egemonia erudita (che si è fondamentata attraverso la supremazia della scrittura sull’oralità, come spiega Ángel Rama nel suo saggio La città letterata), in favore dell’accettazione ed incorporazione del ricco campo dell’oralità brasiliana nei parametri che definiscono il canone letterario e la rappresentazione dell’identità nazionale. 

Questo spiega il fatto che, in Máquina zero, Ricardo Aleixo faccia dialogare tra di essi vari tipi di linguaggi, perché provochino un’erosione nello status quo della società brasiliana, erosione che egli compara, in un verso, alla «prodezza delle tarme» (p. 14). In questo senso, tutta la pagina è per Aleixo uno spazio aperto, che dev’essere decifrato non solo dal punto di vista delle lettere che vi sono stampate, ma anche dal punto di vista del bianco che si impone come campo visuale abbracciato dagli occhi. E così come la pagina è un campo visuale significante, la realtà – le scene della vita quotidiana – sono anch’esse un campo visuale focalizzato dagli occhi. La realtà e la pagina diventano così un campo aperto i cui strati di segni formano un palinsesto, una matassa semiologica da disfare poco a poco. 

In definitiva, questo libro ci parla da vicino di un Brasile contemporaneo, tutt’ora stratificato in livelli sociali semi-invisibili ad occhio nudo. In questo senso, vale citare una frase del critico e poeta Sebastião Uchoa Leite, per il quale «la poesia di Ricardo Aleixo è una scatola di Pandora al contrario», in cui le scoperte sono in agguato dietro l’angolo. Vale la pena entrare in questa Macchina Zero, piccola frazione di un mondo che, a volte, fa del «contrario» il proprio cavallo di battaglia.

Prisca Augustoni
 

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