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DONIZETE GALVÃO, Mundo mudo, São Paulo, Nankin editorial 2003, pp. 104, 17 reais.

La più recente raccolta poetica di questo intenso poeta del Minas Gerais, domiciliato da anni nella metropoli di San Paolo, intreccia, con la sua nota sensibilità, legami tra il mondo simbolico della provincia rurale del Minas Gerais, e il mondo urbano della città che come un grande fiume in piena straripa dagli argini e spazza via tutto. Lo sguardo di Donizete Galvão non è nostalgico, e nemmeno cinico. Al contrario, sempre vigile e critico rispetto a quello che succede all’essere umano e al suo intorno, sia esso nella rurale Borda da Mata (cittadina dove è nato) sia esso nella frenetica San Paolo, il poeta non cede a facili giochi verbali o a facili ironie a buon mercato. Scrivendo una poesia che, a tratti, transita per temi sociali, senza perdere il lirismo e la densità metaforica che gli sono propri, Donizete Galvão riflette sulla modernità, o meglio, sulla condizione dell’essere umano che dal fieno passa all’asfalto, dalle pietanze cucinate sul fuoco passa ai fast food. Le due realtà non si escludono, nei suoi versi, e non esiste un giudizio morale nelle parole del poeta, quanto piuttosto la necessità di vedere e, quindi, di rompere l’indifferenza che attanaglia un «mondo muto».

La raccolta si divide in tre parti, la prima intitolata «la notte delle parole», in cui predomina l’universo poetico dell’autore, il suo proprio mondo muto, abitato da arnesi di lavoro del campo, posseduto da scissioni silenziose («un corpo che pesa / fatto di pietra e ferro / un corpo spesso / con articolazioni calcaree / un corpo che si esaurisce / dal tanto dolore / un corpo muraglia / impenetrabile / allo spirito che ronda / senza riuscire ad abitarlo», p. 28) e da un’ evidente presenza dell’io poetico, evocato attraverso sentimenti, proiezioni affettive e ricordi.

Nella seconda parte, intitolata «gli uomini e le cose», l’io poetico si distanzia da se stesso e volge lo sguardo principalmente verso le provocazioni estetiche che lo circondano, come la splendida sequenza intitolata Cartografias, per mezzo della quale il poeta dialoga in perfetta sintonia con le delicate illustrazioni ad acquarello, che accompagnano i testi, realizzate da Rogério Barbosa. Gli oggetti assumono la propria fisicità e delimitano i contorni del corpo: «senza gli oggetti / il corpo non ha gravità / diapason / equilibrio / / il corpo ha bisogno di contrappesi: / il tavolo / la porta / il letto // cavità dove lancia i suoi chiodi / senza gli oggetti / il corpo si perde nei buchi / inghiottiti dalla mente / si disperde in cerchi centrifughi / il corpo ha bisogno degli oggetti / perché questi confermino / la sua esistenza in fuga» (p. 37).

L’ultima parte s’intitola «gli uomini senza dimora» e come rivela il titolo, si tratta di una sequenza di poesie in cui lo sguardo del poeta si concentra sugli «uomini che ora sono cose» (p.65). Una punta di pessimismo aleggia su questi versi di una compostezza poco comune nella poesia brasiliana contemporanea. In taluni frammenti irrompe un sentimento di disperazione, contenuta con dignità, nel momento in cui lo sguardo del poeta si rivolge verso coloro che abitano nelle strade, sotto i ponti. E suonano come un grido disperato, queste poesie, dato che il libro Mundo mudodi Donizete Galvão fu pubblicato nell’esatto periodo in cui vari senza tetto della città di San Paolo furono crudelmente assassinati, apparentemente senza colpevoli. Come dire che il mondo, di fronte a certi avvenimenti, ammutolisce.
Donizete Galvão ci ricorda, con questo libro che stabilisce un continuum nel suo percorso poetico, che anche se possiamo fare poco per rompere l’indifferenza di un mondo muto, possiamo per lo meno dedicarci alla salutare, benvenuta e rara pratica dell’attenzione: «forma naturale / di preghiera» (p. 62).

Prisca Augustoni


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