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IRACEMA MACEDO, Invenção de Eurídice, Rio de Janeiro, Editora da Palavra 2004, pp. 80, s.i.p.

Nel breve commento critico che incornicia il nuovo libro di questa poetessa di Natal, del Rio Grande del Nord (Nordest brasiliano), il poeta e critico letterario Affonso Romano de Sant’Anna scrive che la raccolta tratta della «notizia di un tragitto esistenziale, amoroso. Adottando una linea orfica ed associando le sue fonti nordestine, solari e dionisiache, alle esperienze vissute nel Minas Gerais, (Iracema Macedo vive da anni a Ouro Preto, antica città della Minas Gerais coloniale), lunari ed orfiche, nasce la dilacerazione lirica, senza la quale la poesia non si sparge né si condensa».

In effetti, Iracema Macedo rivisita il passato delle dee greche, come Euridice, Medusa, Calipso, ed altre, per trasportarle nel suo tempo, lei stessa essendo una di queste donne esiliate che si reinventano attraverso la parola poetica, come afferma nella poesia Cidade submersa: «una città sommersa / amori sommersi / una luce marina guidando / la mia ricerca // il muschio ha invaso / le case naufragate // tra polipi e meduse/ nuoto e sogno / la città che ho perso» (p. 63).

Parallelamente al recupero delle voci delle dee, Iracema Macedo dialoga con voci note al contesto letterario brasiliano, come nel caso della Carta para Elizabeth Bishop, la poetessa americana che visse per molti anni in Brasile, più esattamente a Ouro Preto. In questa poesia, Iracema Macedo fa sue le parole della poetessa americana, come a ribadire che ambedue approdarono a Ouro Preto come straniere, ognuna portandosi appresso le proprie ombre, a mischiarsi con le ombre del passato coloniale del Minas: «Sì, ci sono fantasmi attorno alla casa / e animali morti e cani furiosi / ma ci sono anche spiriti buoni / spaventando la paura / ed il pazzo desiderio di vivere felice / in una città notturna accesa contro tutto» (p. 25).

La poetessa ci confessa che «accetta ogni forma di dolore [...] come un oceano / che accetta ogni forma di naufragio» (p. 27), dal suo esilio interiore, dove custodisce la lira rubata ad Orfeo, o dal suo esilio in terra di montagne, dove impara «la leggerezza innalzata sulle pietre / un modo sconosciuto di essere uccello» (p. 51). Una leggerezza che aleggia su tutte le poesie, facendo di questo nuovo libro un delicatissimo elogio della capacità, tutta femminile, di reinventarsi, costantemente, attraverso la rilettura delle dee e attraverso l’uso di un linguaggio velato da segreti, come leggiamo nella poesia Fragmento do diário de Cosima: «D’ora in poi / sarò l’unica guardiana dei suoi misteri» (p. 41).

Prisca Augustoni


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