« indietro 1.Fisionomie del passo: per una ricognizione teorica Con una efficace formula di William Wordsworth che riconduce, al contempo, ai temi dell'ospitalità e dell'incontro cari alla rivista abbiamo inteso indagare, nei suoi aspetti tematici, formali e socio-storici, il fenomeno, noto sin dall'antichità, della «poesia di viaggio» o «poesia odeporica». Siamo andati così a ritagliare, dall'ampio ventaglio di testi ascrivibili alla cosiddetta «letteratura di viaggio», per lo più moderna e in prosa, uno specifico caso che, per più cogenti ragioni prosodiche, trae la sua coerenza e motivazione dal passo quale unità del verso e del viaggio. Se dunque la critica è piuttosto concorde sul fatto che la letteratura odeporica è un genere instabile (De Caprio), mal definito (Wolfzettel), o dallo statuto epistemologico incerto (Bertrand) per via della varietà delle forme sotto le quali si manifesta (collage, lista di luoghi visitati, raccolta di frammenti, diari, romanzi, etc.), ragione per la quale appare necessario identificarla attraverso costanti tematiche piuttosto che attraverso costanti formali (Monga), la poesia odeporica sembra poter vantare, per i requisiti formali sopra ricordati, una maggiore unitarietà. Nota in Francia anche come «poésie viatique» e, nei paesi anglosassoni, come «viatic poetry», la poesia odeporica si caratterizza principalmente per forme e temi legati all'esperienza dello spazio, sia essa diretta (viaggio a piedi) o mediata (mezzi di trasporto). Certo è che lo sviluppo industriale ha svolto, nella tematizzazione del mezzo di locomozione, un ruolo di prim'ordine; vi è un discrimine piuttosto significativo tra l'epoca pre-industriale, in cui l'esperienza pedestre appare predominante, e quella successiva dove invece, anche a seguito della centralità che assume il mezzo stesso quale amplificatore del movimento e della volontà, la scelta dello spostamento a piedi assume una inedita pregnanza. In rapporto al viaggio "aumentato" con l'ausilio di mezzi di locomozione - viaggio eteronomo che paga la cresciuta opportunità di esperienze e la posizione di dominio del viaggiatore nei confronti dello spazio con la dipendenza dalle possibilità tecniche del mezzo stesso o dalla volontà del suo amministratore - il viaggio pedestre viene ad esemplificare l'autonomia del viaggiatore rispetto alla macchina, oltre che una relazione non predatoria, ma paritetica e pacifica con l'ambiente. È, infatti, un tratto peculiare della modernità industriale lo sviluppo di quel sottogenere della poesia odeporica noto come «poesia deambulatoria» («pedestrian poetry»; «poésie déambulatorie», secondo la definizione di Suzanne Bernard), il quale, pur non escludendo altri mezzi di spostamento, assume a fondamento vocazionale l'attività pedestre nelle sue diverse fattispecie (dalla flânerie metropolitana al vagabondaggio interurbano). Si intende infatti portare a conoscenza (propriocettiva e intellettiva insieme) l'esperienza primaria dello spazio, quale avviene attraverso il corpo in movimento. Quest'ultimo, primum mobile dell'esperienza del soggetto, costituisce il fulcro di tutte le sue percezioni ambientali e interazionali: percezioni di cui i mezzi di locomozione costituiscono allora, in qualità di ausiliari, l'espansione metonimica, funzionale e immaginale al contempo. La posizione eretta, lo schema ideomotorio della deambulazione, una volta acquisiti, consentono al soggetto di attivare alcuni schemi dinamici di auto percezione che si riflettono sulla formazione di schemi mentali, e, ad un ulteriore grado, di schemi culturali. È noto che l'origine della prosodia è nel passo umano e nella sua simmetria binaria, e che il ritmo è la "formante" dinamica di una figura, di un'idea, di un'espressione. Vi è nel passo, secondo la Gestalttheorie, un universale ideomotorio, coreutico, a carattere binario iscritto nel ritmo biologico: sistole-diastole; inspirazione-espirazione; protasi-apodosi; tensione-risoluzione; domanda-risposta; arsi-tesi. Questo schema o «engramma» (secondo i neurobiologi) si riconosce, ad esempio, nel giambo o in altri ritmi binari, mentre schemi ritmici ternari sarebbero piuttosto da ricondurre alla danza, intesa (almeno da Quintiliano in poi) come espressione "ornata" e, diremmo oggi, "artistizzata" del passo stesso, dato appunto come unità metrica di riferimento. Se è dal soffio che, secondo il Platone del Timeo, prende le mosse il ragionamento, secondo la scuola peripatetica il movimento del corpo è condizione necessaria al movimento del pensiero. La tendenza a concettualizzare e storicizzare attraverso schemi culturali condivise esperienze corporee fa sì che il modello di riferimento del passo venga trasceso in figure ritmiche (poetiche, musicali, coreutiche) vieppiù complesse: si alterneranno, nella tradizione metrica, modelli binari e ternari in forme semplici o complesse. Riconoscendo il corpo umano come un «condensateur d'énergie», Marcel Jousse individua nel ritmo pedestre tre fasi che coincidono grosso modo con l'aspetto del verbo: «inchoatif», «explosif», «dégressif», tali che «un mimème s'amorce, explose et s'èvanouit». Bene si comprende come tale "schema orchestico” tripartito, già contemplato nell'ambito della lingua e della cultura greco- latina attraverso l'aspettualità dell'azione, sia stato vieppiù trascurato dalle lingue e dalle culture moderne, che, per via di riduzione funzionale, considerano come pertinente alla prosodia il solo momento "positivo", ossia l'ictus, dato come momento centrale, esplosivo, del battere (o del "porre"). Conviene anche rammentare un'evidenza, la quale, se messa tra parentesi, può dare adito a una deriva ermeneutica: se una "pulsione" verbo-motoria, reale o immaginale, sta all'origine dell'ideazione, non può darsi, fattualmente, compresenza di azione motoria e di azione scrittoria. Ragione per la quale l'esperienza viatica tematizzata e/o significata dalla poesia resta necessariamente limitata all'ambito della figurazione mentale, mentre il suo statuto resta nel dominio della metafora. La tendenza alla rimozione di questo discrimine temporale e concettuale tra lettera e metafora è, crediamo, all'origine di tanta poesia lirica di viaggio, come di tanta critica a carattere impressionistico. Il processo di metaforizzazione dell'esperienza viatica si deve in buona parte alla speculazione filosofico-teologica, la quale, fondando il suo sistema di valori sulla bipartizione alto/basso, ha determinato un discredito (con relativa determinazione morale) di ciò che è, in una visione antropomorfa del cosmo, sta a contatto con la terra: il piede. Ove Aristotele oppone nella Poetica uno «stile chiaro» ad uno «stile pedestre» (ovvero umile trascurato; Orazio vi si richiamerà nell'Ars poetica), la tradizione cristiana bandisce Chorus et saltationes: proprio il momento in cui si costituisce - precisa Zumthor - un «sens aigu de la signifiance des gestes», «d'innombrables documents ecclésiastiques ai cours des Xlle et Xllle siècles visent à modérer et contenir, au nom de la vertu, l'activité gestuelle»: proliferano provvedimenti contro le gesticulationes degli istrioni. «De toto corpore fecera(n)t linguam», per parafrasare il da Celano a proposito del santo di Assisi14. E purtuttavia, se ci atteniamo al Curtius, il modello circolare-coreutico della scrittura permane come un filone sotterraneo in Occidente. Il filologo menziona in proposito un passo di Paracelso secondo cui la terra è un volume (volumen: «rotolo») « Le cui pagine si voltano con i piedi», E che occorre trattare da «viandanti, quali noi siamo». Della stessa funzione ermeneutica è investito il bastone del viandante. Come ricorda Benveniste nel Dictionnaire des istitutions indo-européennes, la denominazione greca del bastone è skêptron (da skêpto: «s'appuyer sur»), da cui, attraverso il lat. sceptrum, l'italiano scettro e il francese sceptre. L'etnologo Campbell evoca in proposito la pratica propemtica di un rito funerario:«Ti abbiamo fatto un bel bastone per aiutarti nel cammino. Tienilo stretto e cammina sicuro, Facendo attenzione ai tuoi passi, sollevando e abbassando i piedi al suo ritmo». Da ausiliario simbolico del viaggio (sia esso associato ad un rito di passaggio) il bastone acquisisce progressivamente la funzione di attributo allegorico del potere: la sua staticità figurale, e l’annessa valenza positiva e celebrativa ne hanno vanificato l’originario statuto rituale ed insieme ritmico-figurativo. Pur consapevoli che la pratica della danza si riconduce ad esperienze culturali, collettive, di apprensione e significazione della spazio, che sarebbero dunque all’origine di uno schema culturale condiviso (Cassier parla in proposito di «systématique spatiale») troviamo operativo, con riferimento al contesti secolare e razionalmente determinato al quale ci interessiamo, distinguere il passo “funzionale”, di marcia, che si snoda in sequenze lineari, dal passo “ornamentale” o di danza, atto a privilegiare la non-funzionalità, ovvero la circolarità e la reversibilità. Abbiamo così due schemi complementari che la storia del pensiero ha codificato: quello del cammino, figurato per via etimologica dalla prosa (provorsa: «che va sempre avanti», da prosus) e quello della danza il cui modello è, appunto, il versus (il «tornare indietro»). Quest’ultimo, che, com’è noto, rinvia al movimento bustrofedico dell’aratro condotto dai buoi (dal gr. Traslitterato: boustrophedón), si ripropone nell’andamento antifonale della danza (strofe-antistrofe). Del punto di arrivo dello schematismo funzionale che ha investito, al contempo, il passo e la scrittura rende conto Paul Valéry, il quale già fatto della interrelazione tra corpo e linguaggio uno dei punti saldi della sua poetica. Egli rivisita, nei suoi Propos sur la poésie, la nota equazione “malherbiana”: «La poésie est à la prose ce que la danse est à la marche ordinaire». Laddove la prosa, data come sermo merus, sarebbe riconducibile al grado zero dell’espressione in ragione del basso tasso di investimento figurale del movimento corporeo e, per estensione, concettuale (da cui «prosaico» con valore peggiorativo), la poesia come massimo investimento di figure (ovvero come dispendio di parola) rinvierebbe appunto all’ornatus, che conferisce dall’esterno (il non-funzionale essendo reputato nella nostra cultura come socialmente nobilitante) un valor santuario. Questa dicotomia, che è forse da ritenersi un complesso culturale dell’occidente, non tiene però conto del fatto che la poesia moderna, per quanto concerne il suo sistema ritmico-prosodico, trae buona parte dei propri fondamenti dalla prosa oratoria. La concinnitas ciceroniana, in particolare, prende a suo modello di riferimento il periodo, o «ambitus», il cui etimo è, non a caso, quello di «viaggiare intorno» (gr. Perìodos, “circuito”, der. Di hodós “via”, col pref. peri-). Altrettanto opportuno è rilevare una tendenza culturale alla polarizzazione di questi due fenomeni. Laddove la tradizione classica privilegia la circolarità e la spiralità, in qualche modo coestensiva a una certa concezione del tempo, la cultura giudaico-cristiana, valorizzando finalismo e provvidenzialismo, pone precipua attenzione alla unidirezionalità del movimento: a fronte del destino salvifico del viaggio come itinerario della mente verso il divino (da Agostino a San Bonaventura a Dante), itinerario rappresentato dall’ avanzamento unidirezionale, lineare della scrittura, l’andamento circolare è sovente riconosciuto come figura dello smarrimento, dell’erranza, indi del peccato. Se l’erranza come conseguenza del traviamento o allontanamento della «retta via» è da considerarsi come l’effetto, ovvero la manifestazione “visibile” dell’errore, lo scandalum, pietra d’inciampo che incontra sulla sua strada il peccatore (Is, 8, 14) assume, in molta poesia moderna, la fattispecie di un conflitto edipico con la legge divina in quanto legge del Padre: una renitenza, un recalcitrare del soggetto di fronte all’eterno mia impostargli da una legge progressiva che lo trascende, sia essa di matrice religiosa o laica. In tal caso, l’abasia, o impedimento a procedere, si fa espressione figurale dell’impedimento a dire, o afasia. Tale renitenza psichica all’obbedienza, o omoritmia (nozione trascesa da quella di “armonia”) si appalesa talvolta attraverso alcune forme di disritmia funzionale. Nel suo corso al Collège de France intitolato Comment vivre ensemble, Roland Barthes propone una dicotomia tra «dressage» sociale (che tradurremmo con: «addestramento») e «idiorritmia» del soggetto: idiosincrasia processuale che, denotante l’incapacità di adattamento del soggetto medesimo all’ordine sociale, marca anche la sua eccentricità, la sua irriducibile singolarità. Frequentativo tardo del lat. scandere, il verbo scandalizare indica appunto, nella tradizione cristiana, lo zoppicamento del soggetto a seguito di un ostacolo che si frappone al suo avanzamento: disfunzionalità attraverso cui è figurata la devianza spirituale. Reinterpretando in senso moderno il motivo delle Scritture, possiamo contrapporre una via recta (termine connesso con le nozioni di: regere, rectus, riga, regula; regulare), caratterizzata da funzionalità e progressione verso un fine, e una via rupta, ovvero una disfunzionalità del passo: scoscendimento, segmentazioni, frizione, disruzione. È, d’altronde, per via di contrattempi e contraccolpi che si manifesta il fenomeno noto in psicanalisi come coazione a ripetere, caratterizzato da un vuoto di destinazione e, quindi, di angoscia; uno dei suoi epifonemi è, appunto, l’impedimento alla locomozione. Se all’origine del metro vi è un principio di utilità che è quello di esorcizzare il disordine per finalizzare il movimento portandolo verso una destinazione, nella destinazione stessa può essere infatti ravvisata una coazione: un asservimento del corpo al concetto, che Nietzsche restituisce attraverso la nota metafora dello «spirito in catene». Se, come mostrano autorevoli studi neurobiologici, la sincronia internazionale tra soggetto e spazio attiva i cosiddetti «affetti di vitalità», tali che il soggetto e spedisce, attraverso una tensione che è intenzione, la positività della propria esperienza (funzionalità, crescita, adattamento e arricchimento) un’esperienza penosa può riproporsi come coazione al fallimento attraverso un inciampo reiterato. Nel seminario sulla Lettre volée, Lancan chiama caput mortuum il punto morto di non elaborabilità dell’evento sul piano del simbolico; si tratta infatti per il soggetto, come ben formula Alex Pagliardini, di «cogliere in presa diretta il piano dell’incidenza del significante, il suo puro accadere» (e non l’accadere «dedotto dall’accaduto»). Tale esperienza ritroviamo emblematicamente restituita in Baudelaire (Le soleil in Les Fleurs du mal): Trébuchant sur les mots comme sur les pavés, Heurtant parfois des vers depuis longetemps rêvés Come scriveva lo stesso Baudelaire a Flaubert nel 1862, nel pieno sviluppo dell’industria del ferro che ebbe il suo idolo nel capolavoro di Gustav Eiffel: «Avez-vous observé qu’écrire avec une plume de fer, c’est comme si on marchait avec des sabots sur des pierres branlantes?» Tra le più ricorrenti metafore scrittoria del passo vi è, per l’appunto, quella del «vergare», denominale da virga o bastone: in tal caso la penna, o stilo, è da intendersi come il correlativo immaginare del bastone, atto a segnare il ritmo sul foglio come tellus inarata. Metafore di tal fatta si riscontrano nelle Fleurs du mal; è il caso di Le serpent qui danse dove la renitenza psicologica alla legge si trasforma in ritmico impedimento all’avanzamento del verso: À te voir marcher en cadence, Belle d’abandon, On dirait un serpent qui danse Au bout d’un bâton. Sous le fardeau de ta paresse Ta tête d’enfant Se balance avec mollesse D’un jeune éléphant, Et ton corps se penche et s’allonge Comme un fin vaisseau Qui roule bord sur bord et plonge Ses vergues dans l’eau. La sovraesposizione processuale, sacrificale, della «mécanique plumitive» dello scriba (la probatio pennae di ascendenza medievale) si riproporrà, ad esempio, nel Coup de dés di Mallarmé.. ¬ top of page |
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