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Yard Journal 

Last Journal 

 

Di Charles Wright 

A cura di Antonella Francini 

 

In: Semicerchio LV (02/2016), pp. 22-24. 

 

Con il volume The World of the Ten Thousand Things: Poems 1980-1990 (New York 1990), il poeta statunitense Charles Wright ha posto un suggello, tre anni or sono, a un ciclo importante della sua produzione artistica che ha attraversato interamente gli anni Ottanta. Questo suo nono e più recente libro raccoglie i tre testi pubblicati nel decennio e, in coda, quindici poesie inedite datate 1990. L’ultimo tratto dell’ormai lungo percorso poetico di Wright sembra così comprimersi e ricomporsi in un unico, ininterrotto poema, in una lunga riflessione in versi sul tema che questo autore ha fatto propriamente suo fin dagli esordi negli anni Sessanta ad oggi: la tensione fra il “visibile” e il “non visibile”, tra il fisico e il metafisico. Nato nel 1935 nel Tennessee, Wright ha quasi sempre vissuto nel sud degli Stati Uniti, dove tuttora abita ed insegna all’Università della Virginia. I luoghi biografici tornano come luoghi letterari nella sua poesia e si contrappongono a paesaggi dell’Italia del Nord, ai quali Wright è legato altrettanto profondamente. Fu proprio in Italia che, nel 1960, scoprì la poesia e la sua vocazione poetica: l’incontro con l’opera di Eugenio Montale influenzò in quegli anni la formazione artistica di Wright che tra il 1961 e il 1965 tradusse i Mottetti e La bufera e altro usando la traduzione come un vero e proprio laboratorio poetico che doveva precedere e preparare l’elaborazione della sua poesia. Ma della mitologia poetica di Wright fanno ora parte anche altri artisti italiani: Campana, di cui ha tradotto i Canti orfici, Pavese, Leopardi e Dante, al quale ha recentemente fatto omaggio con una traduzione del XIII canto deì V Inferno. Accanto a loro spiccano i nomi degli americani Ezra Pound, Emily Dickinson e Hart Crane e di molti altri autori di ogni epoca e tradizione che Wright continua a citare nelle sue poesie come protagonisti di un ininterrotto colloquio tra sensibilità affini. Tuttavia l’esperienza della traduzione di poesia italiana e rincontro con l’Italia sono rimaste due costanti della sua produzione: Wright ha più volte attribuito al Nord del nostro paese, lo status di “luogo sacro” nella sua poesia, come lo sono il Sud dell’America e la lingua poetica stessa. I versi di Wright si reggono sulla trama che disegna un viaggio diacronico via via che la memoria recupera ed isola momenti del suo passato. Il passato incombe sul presente narrativo di Wright come un selettivo aggregarsi di fatti che risorge improvviso nella memoria e trasforma in momenti epifanici la ricerca del “metafisico nel quotidiano”. Così i ricordi si svincolano dalla storia privata del poeta per comporre una sorta di autobiografia impersonale in cui i paesaggi della memoria lasciano improvvisamente spazio ad apodittiche conclusioni sull’impossibilità del poeta, imitatore dell’invisibile, di afferrare e fermare con la parola quell’assoluto che si cela dietro ogni cosa tangibile. Proprio al verso Wright affida il ruolo di unità poetica autonoma, parte di un complesso contesto di associazioni e contrapposizioni di immagini. Il verso wrightiano ha subito un’evoluzione negli anni, allungandosi fino ad occupare, nell’ultima produzione, ambo i lati della pagina per creare l’illusione della prosa in composizioni che il poeta chiama ‘diari’. Le annotazioni diaristiche si dispongono in nuclei poetici (equivalenti alle stanze) che tendono sempre più ad espandere concentricamente i temi centrali di Wright e a dare spazio a paesaggi su cui si posano i suoi occhi inquisitivi e affascinati. Wright è uno dei maggiori poeti statunitensi contemporanei, erede della tradizione poetica americana, della quale riprende i temi e i toni più autentici: il timbro profetico della voce narrante e una certa religiosità di fondo, l’estetica del paesaggio e la visionarietà delle immagini, la prospettiva autobiografica e la centralità dell’io, il verso tendenzialmente prosastico e la propensione per il lungo poema, la metafora del viaggio e il confronto con l’Europa. Dall’età coloniale ad oggi, sono gli stessi i fili che legano altre figure importanti della poesia americana come la Dickinson, Whitman, Pound, Stevens – autori che i versi di Wright indubbiamente evocano.

 

Yard Journal 

Da: The World of The Ten Thousand Things: Poems 1980-1990 (New York: Farrar, Straus, Giroux, 1990)

 

-Mist in the trees, and soiled water and grass cuttings 

Splotch

The driveway, 

afternoon starting to bulk up in the west 

A couple of hours down the road: 

Strange how the light hubs out and wheels

 concentrically back and forth 

After a rain, as though the seen world 

Quavered inside a water bead 

swung from a grass blade: 

The past is never the past: 

it lies like a long tongue 

We walk down into the moist mouth of the future, 

[where new teeth

 Nod like new stars around us,

 And winds that itch us, and plague our ears, 

sound curiously like the old songs.

 

 Deep dusk and lightning bugs

 alphabetize on the east wall,

 The carapace of the sky blue-ribbed and buzzing 

Somehow outside it all,

 Trees dissolving against the night’s job, 

houses melting in air: 

Somewhere out there an image is biding its time, 

Burning like Abraham in the cold, swept 

expanses of heaven, 

Waiting to take me in and complete my equation: 

What matters is abstract, and is what love is,

 Candescent inside the memory, 

continuous 

And unexpungable, as love is... 

Blue jay’s bound like a kangaroo’s in the lawn’s high 

[grass, 

Then up in a brushstroke

 and over the hedge in one arc.

 Light weights down the azalea plants, 

Yesterday’s cloud banks enfrescoed still

 just under the sky’s cornice, 

Cardinal quick transfusion into the green arm of the 

[afternoon. 

Wax-like flowers of sunlight drift 

through the dwarf orchard and float 

Under the pygmied peaches and pears

All over America, 

and here, too, the blossoms 

Continuing down from nowhere, out of the blue. 

The mockingbird’s shadow is burned in the red clay

 [below him

 

Exclusion’s the secret: what’s missing is what appears 

Most visible to the eye:

the more luminous anything is

, The more it subtracts what’s around it, 

Peeling away the burned skin of the world 

making the unseen seen: 

Body by new body they all rise into the light 

Tactile and still damp, 

That rhododendron and dogwood tree, that spruce, 

An architecture of absence, 

a landscape whose words

 Are imprints, dissolving images after the eyelids close: 

I take them away to keep them there – 

that hedgehom, for instance, that stalk... 

 

- A bumblebee the size of my thumb 

rises like Geryon 

ùFrom the hard Dantescan gloom 

Under my window sash to lip the rain gutter’s tin

 [bolgia,

 Then backs out like a hummingbird 

spiraling languidly out of sight, 

Shoulders I’ve wanted to sit on, a ride I’ve wanted to take, 

Deposited into the underlight

of cities thronged in the grass,

Fitful illuminations, iron-colored plain that lies 

Littered with music and low fires, 

stone edge of the pit 

At the end of every road,

 First faces starting to swim up:

 Bico, my man, are you here?

 

 

Diario del prato 

 

Nebbia tra gli alberi, chiazze d’acqua sporca e erba 

[tagliata 

Sul passo carraio,

 il pomeriggio si fa compatto ad occidente,

 Un paio d’ore di strada più giù: 

Strano come la luce ruoti concentrica sul suo asse

 avanti e indietro

 Dopo la pioggia, come se il mondo visibile 

Tremolasse in una goccia d’acqua 

quando ciondola da un filo d’erba:

 Il passato non è mai il passato:

 giace come una lunga lingua 

Su cui si cammina verso la bocca molle del futuro,

 [dove nuovi denti 

Ammiccano come stelle novelle intorno a noi,

 E i venti che ci pizzicano, e ci tormentano le orecchie, 

suonano curiosamente come le vecchie canzoni. 

Crepuscolo profondo e insetti luminosi 

compongono un alfabeto sul muro di levante,

 La corazza del cielo venata di blu ronza 

A suo modo, estranea al tutto. 

Alberi si dissolvono nell’opera della notte, 

case si dileguano nell’aria: 

Lassù da qualche parte un’immagine aspetta il suo [momento 

Bruciando come Abramo nel freddo, chiare

 immensità del cielo, 

Aspetta d’accogliermi per completare la mia equazione: 

Quel che conta è astratto, ed è quel che è l’amore, 

Candescente nella memoria, 

continuo

 E incancellabile, come l’amore...

 

 La ghiandaia fa balzi da canguro nell’erba alta del prato, 

Poi su, in un colpo di pennello

 e sulla siepe ad arco.

 La luce grava sulle azalee,

 I banchi di nuvole d’ieri ancora là, affrescati 

sotto la cornice del cielo,

 Purpurea veloce trasfusione nel verde braccio del [pomeriggio.

 Fiori di luce solare come di cera vanno alla deriva nel 

[frutteto nano

 E galleggiano sotto peschi e peri pigmei 

Su tutta l’America,

 ed anche qui i fiori

 Continuano a cadere, all’improvviso, chissà da dove.

 L’ombra del tordo arde nella rossa creta di sotto

Esclusione è il segreto: ciò che non c’è è quel che all’occhio 

Appare più visibile: 

le cose più luminose

 Sottraggono di più a ciò che le circonda, 

Sbucciando via la pelle arsa del mondo

 rendendo visibile l’invisibile: 

Corpo dopo nuovo corpo, tutti risorgono nella luce 

Tattili e ancora umidi, 

Quel rododendro, quel corniolo, quell’abete, Un’architettura dell’assenza, 

un paesaggio dove le parole 

Sono impronte, immagini che si sfanno quando si [chiudono le palpebre:

 Le rimuovo perché rimangono lì – 

quel cespuglio, ad esempio, quello stelo... 

- Un calabrone della misura del mio pollice 

si solleva come Gerione 

Dalla dura tenebra dantesca 

Sotto la finestra a lambire la bolgia di stagno della grondaia, 

Poi si ritrae come un colibrì

 scomparendo, languido, a spirale,

 Omeri su cui ho voluto sedermi, un volo che ho

 [voluto fare, 

Depositato nell’oltreluce 

di città accalcate nell’erba, 

Intermittenti illuminazioni, pianura ferrigna che giace 

Ingombra di musica e piccoli fuochi, 

proda rocciosa della fossa 

Alla fine d’ogni strada, 

I primi volti che emergono: 

Bico, sei tu qui amico mio

 

 

Last Journal 

Da: The World of The Ten Thousand Things: Poems 1980-1990 (New York: Farrar, Straus, Giroux, 1990)

 

Out of our own mouths we are sentenced, 

we who put our trust in visible things.

 Soon enough we will forget the world. 

And soon enough the world will forget us. 

The breath of our lives, passing from this one to that 

[one,

 Is what the wind says, its single word 

being the earth’s delight. 

Lust of the tongue, lust of the eye, 

out of our own mouths we are sentenced…

Ultimo diario 

 

Condannati dalla nostra stessa bocca, 

noi che riponiamo fiducia nelle cose visibili. 

Ben presto dimenticheremo il mondo. 

E ben presto il mondo dimenticherà noi. 

Il soffio della vita, da questa all’altra trapassando, 

È quel che dice il vento, nella sua unica parola

 la gioia della terra.

 Lussuria della lingua, lussuria dell’occhio, 

condannati dalla nostra stessa bocca…


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