« indietro IN SEMICERCHIO, RIVISTA DI POESIA COMPARATA LXV (2021/2) p. 114 (scarica il pdf) MOSCO, BIONE, ANONIMI, Il canto e il veleno. Bucolici greci minori, a cura di Francesco Bargellini, Roma, Inschibboleth Edizioni, 2021, pp. 160, € 16,00 [ISBN 9788855292436] La traduzione italiana dei cosiddetti Bucolici greci minori a cura di Francesco Bargellini è l’opera primogenita della nuova collana Classici smarriti di Inschibboleth, diretta da Tommaso Braccini. E il volume è senz’altro al suo posto, ché gli epigoni di Teocrito – Mosco, Bione e altri anonimi – sono classici, se non proprio smarriti, senz’altro un po’ dimenticati. Sono designati come poeti bucolici dall’enciclopedia bizantina Suda, nella voce dedicata a Teocrito; compaiono ancora con questa dicitura in un commento antico (o medievale) all’Eros fuggitivo di Mosco nell’Antologia Palatina (A.P. 9.440); scarne, però, sono le informazioni circa le loro vite. Controversa è stata a lungo anche la sistemazione della loro produzione, come esemplifica, tra gli altri, il caso dell’Epitafio di Bione, per molto tempo, e quasi sicuramente a torto, attribuito a Mosco.
Il canto e il veleno, come si suol dire, colma un vuoto. Ma niente di più lontano da una frase fatta: come dichiarato dallo stesso autore (p. 46), Mosco e Bione, al contrario del loro ben più celebre predecessore Teocrito, hanno sempre latitato nell’editoria classica rivolta a un pubblico non specialistico. La fatica di Bargellini ha il pregio di rivolgersi a tutti non mancando di parlare ai più esperti. L’introduzione (pp. 19-47) e le note di commento (pp. 89-139), per quanto snelle e di grande leggibilità, dimostrano la perizia filologica di Bargellini, e la sua sempre presente consapevolezza di problematiche di ogni ordine, tanto testuale quanto letterario e interpretativo. Per chi scrive, oltre a ciò, il merito più grande di Bargellini è senz’altro quello di aver svolto, lungo tutto il piccolo volume, uno spesso filo rosso, ricordando a più riprese che il mondo bucolico come modernamente inteso derivi da Virgilio, suo nuovo e latino ktistes, e non da Teocrito, vero inventor del genere. Chi legge si troverà a fare i conti con gli albori di Titiro e Melibeo, e realizzerà che oltre all’Arcadia e ai canti amebei, in Mosco e Bione (e altri anonimi) c’è molto di più. E infatti già a p. 24 dell’introduzione Bargellini si chiede, e noi con lui, se non sarebbe forse più adatto chiamare i poeti in questione idillici (da eidyllion, diminutivo di eidos, che aveva tra i suoi significati anche quello di ‘tipo’, ‘genere’) più che bucolici, in ragione dell’onnipresente varietà tematica e «del grado di alessandrina inafferrabilità». Certo, Bargellini non manca di indicare e sottolineare il chiaro teocritismo delle scelte formali e contenutistiche dei poeti tradotti, ma suggerisce a chi legge che il genere bucolico dei primordi abbia la sua cifra costitutiva proprio nella varietas, e sia dunque molto di più che solo dialetto dorico ed esametro. La lettura dei testi conferma questa linea interpretativa: si passa da un vero e proprio epillio come l’Europa di Mosco allo struggente, e, secondo alcuni, decadente e barocco, Epitafio di Adone di Bione; non mancano i frammenti (17 quelli attribuiti a Bione) e la tardoantica, o forse protobizantina, anacreontica Per Adone morto. Quanto alle scelte traduttive, Bargellini scrive di aver optato per «la poesia e la generale adesione» (p. 47) e a più riprese rimanda alla sua predilezione per una traduzione fedele. La prefazione di Alessandro Fo non manca di segnalare momenti felici da cui Bargellini emerge come poeta e solerte traduttore, oltre che come esperto di letteratura greca (pp. 15-17). Le note di commento confermano la costante attenzione alla resa di lemmi, suoni e figure (solo per citarne alcune: n. 1 p. 108; n. 11 p. 121). Alcuni passi avrebbero forse giovato di maggiore letterarietà, a scapito della letteralità, come i vv. 67-69 dell’Epitafio di Bione (p. 79): «Piangono gli Eroi a lutto accanto alle tue spoglie / E ti bacia Cipride più che il bacio / Che baciò prima Adone quando questi moriva». Ma sono poca cosa, forse, di fronte al grande valore generale del lavoro, in particolare quando si guarda alla traduzione in settenari, eleganti e incalzanti, dell’anacreontica In morte di Adone. Mosco, Bione e gli altri anonimi, nello stato in cui sono, non possono rispondere a tutte le domande che vorremmo loro porre per comprendere che cosa accadde al genere pastorale tra Teocrito e Virgilio. Ci restituiscono, però, momenti di altissima poesia e frammenti di quella che Bargellini chiama, suggestivamente, l’eterna bucolica (p. 34) – un mondo che, da quando è nato, non ha mai smesso di essere vagheggiato e da ogni secolo reinventato. Spiega Bargellini che il volume, dedicato al genere degli spazi aperti e campestri, è stato redatto in piena pandemia, tempo di confinamenti e chiusure. Momenti di riflessione come quello a p.40 dell’introduzione («Possibile che evadere equivalga a, in un certo senso, recludersi? Non coincide, la libertà, con l’infinito del possibile?»), assumono allora un significato tutto particolare e ancora più pregnante, e ci ricordano il valore davvero eterno della bucolica, nel Seicento di Marino come oggi. I Classici smarriti si aprono sotto i migliori auspici. di Larisa Ficulle ¬ top of page |
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