« indietro IN SEMICERCHIO, RIVISTA DI POESIA COMPARATA LXV (2021/2) pp. 46-53 STEFANO GORZONIO, Il “Quinto Evangelista” Dem’jan Bednyj. La poesia proletaria contro la religione (scarica il pdf) Nella pseudo-intervista La nuova letteratura dei Soviet (Intervista a Malaparte), apparsa il 30 Giugno 1929 sulla rivista “L’Italia Letteraria”, vale a dire subito dopo il suo rientro dall’URSS (vi aveva trascorso alcune settimane tra il Maggio e il Giugno del 1929), Malaparte parla di Dem’jan Bednyj, “il poeta aulico del bolscevismo”, e scrive:
“Alloggiato nientemeno che al Kremlino, creduto l’Heine della Rivoluzione, grasso, pasciuto, ben nutrito, Biedni non soffre certo della solitudine nella folla, del dover risiedere in un appartamento suddiviso e condiviso, dei guai materiali che destano tanta malinconia negli altri scrittori. Io conosco abbastanza i russi per parlare direttamente anche coll’operaio, interrogare, ecc., ma ho voluto farmi tradurre l’ultimo poema di Biedni – Il Nuovo Testamento – che sta facendo di lui il quinto evangelista. Da noi, se ci fosse ancora l’”Asino”, ve lo si potrebbe pubblicare a puntate: è degna opera dell’emulo del direttore della “Gazeta besbojnikoff” (Gazzetta dei Senzadio) Jaroslavskij, suo collega ed eminenza grigia di ogni controllo politico, e perciò anche di quello letterario, quale capo della Commissione di Epurazione del Partito bolscevico”. Poco tempo dopo, nella sua introduzione al volume di R. Fülöp-Miller, Il volto del Bolscevismo, Malaparte inserisce Dem’jan Bednyj in un elenco di autori della “letteratura bolscevica”, tra i quali Blok, Esenin, Bulgakov, Lidin e lo stesso Majakovskij. È altresì interessante notare come nel libro del Fülöp-Miller, nel capitolo intitolato La meccanizzazione della poesia, sia presente una lunga caratterizzazione dell’opera di Dem’jan Bednyj che evidentemente Malaparte ebbe poi presente nei suoi ritratti del poeta proletario. Qui, tra l’altro, si legge che Dem’jan Bednyj, “su commissione della direzione del partito, fornisce poesie incendiarie in qualsiasi quantitativo. Egli non è un‘meccanico della parola’ ma dispone di un ricco assortimento di frasi come ‘il tremendo furor’, ‘l’odio fiammeggiante’, opportune a infondere simili sentimenti nelle masse, ad ‘associarle’ nel significato marxista della soprastruttura. Bedni è anche l’autore della ‘Marsigliese comunista’ composta di versi incitanti alla strage…”. Poco sotto, dopo aver riportato della fortuna ottenuta da Bednyj tra i funzionari del partito (si riporta anche un giudizio di Lev Trockij), Fülöp-Miller conclude che il nostro non è “un talento eccezionale: figlio di contadini si è limitato a riprendere la forma tradizionale delle favole di Krylof empiendola di un contenuto satirico rivoluzionario. Le sue poesie sono sempre lavori di circostanza per scopi di propaganda, privi di qualsiasi ispirazione: il suo successo, incontestabile, dipende soprattutto dalla popolarità e facilità della sua forma e dalla sua lingua, dal suo primitivo simbolismo”. Ma chi fu realmente Dem’jan Bednyj? E quale fu il peso della sua poesia antireligiosa nella definizione delle nuove linee della poesia proletaria negli anni Venti e Trenta dello scorso secolo? Nato nel 1883, nella regione di Elizavetgrad, e legato al bolscevismo fin dal 1912, Efim Alekseevic Pridvorov, si affermò come poeta satirico acquistando lo pseudonimo di Dem’jan Bednyj [Damiano il Povero] in onore di uno zio ateo convinto, così soprannominato nel suo villaggio natio (da qui la poesia O Dem’jane Bednom, mužike vrednom [Su Dem’jan il Povero, dannoso mugicco]). Già nei primi anni di attività letteraria Bednyj si dedicò a opere di sapore popolare, spesso riconducibili al genere della fiaba esopica, ma anche a canzoni, stornelli e altre forme derivate dalla tradizione folclorica, che egli andò sviluppando con toni di rivolta e impeto rivoluzionario. Legato al bolscevismo già prima della rivoluzione, collaboratore del giornale “Pravda”, e poi attivo protagonista degli eventi rivoluzionari, arringatore delle guardie rosse, autore di opere di agitazione e polemica politica, Dem’jan Bednyj seguì e partecipò alle diverse fasi della guerra civile, spesso a stretto contatto con Lev Trockij (come nel caso della presa di Kazan’). Nel marzo del 1918 ottenne un appartamento all’interno del Cremlino. Fu apprezzato da Lenin e stimato da Lunacarskij, che lo paragonò addirittura a Maksim Gor’kij. Nel corso degli anni Venti Bednyj fu il più popolare poeta proletario, anche se osteggiato per diversi motivi sia dagli esponenti del Proletkul’t, sia dai membri del LEF guidato da Majakovskij. Pur essendo stato in passato, come già detto, molto vicino a Trockij, negli ultimi anni del decennio Bednyj sostenne la linea politica di Stalin e riuscì così a ritagliarsi un ruolo importante nella letteratura ufficiale della Grande Svolta. Bednyj si concentrò sulla propaganda antireligiosa e compose anche un fortunato Novyj zavet bez iz’’jana evangelista Dem’jana [Il Nuovo Testamento senza difetti dell’evangelista Damiano, 1925]. Oggi, l’opera di Dem’jan Bednyj è pressoché dimenticata. La prima edizione completa delle opere, avviata nel 1925, fu interrotta nel 1933. Successivamente, dopo un lungo periodo di disgrazia coronato nel 1938 dall’espulsione dal partito e dall’Unione degli Scrittori, dopo gli anni della guerra e la morte (il poeta morì nel 1945), le sue opere furono ripubblicate prima nel 1947 e nel 1951, e poi dopo la destalinizzazione in varie edizioni (la più completa in otto volumi tra il 1963 e il 1965), senza risvegliare comunque particolare interesse nei lettori e nella critica (va comunque ricordato che Bednyj fu il poeta preferito di Nikita Chrušcëv). Nel presente studio intendo proporre alcuni dati e alcune riflessioni sull’opera di Dem’jan Bednyj con riferimento ai non moltissimi interventi critici su di lui esistenti (assai pochi pubblicati in tempi recenti). Ovviamente lo studio tiene anche conto dei contributi di carattere storico-fattuale apparsi negli anni successivi all’apertura seppur parziale degli archivi d’epoca sovietica dopo il collasso dell’URSS. Senza dubbio, l’opera di Dem’jan Bednyj costituisce in primo luogo un documento di sicuro interesse per definire e analizzare quella specifica aspirazione del potere sovietico a costruire un paradiso in terra senza Dio, della quale il politico Jaroskavskij fu il teorico e Dem’jan Bednyj sicuramente il più attivo propagandista. Già nei frenetici giorni della rivoluzione d’Ottobre Dem’jan Bednyj, che partecipò direttamente alle operazioni della guerra civile, si trasformò con i suoi agitki (volantini di agitazione politica e culturale) e i suoi innumerevoli libelli e feuilletons in versi, nel più strenuo combattente contro la religione, seguito, imitato, ma anche osteggiato all’interno del variegato mondo letterario degli anni della guerra civile e dell’affermazione del nuovo potere sovietico. Le sue opere furono stampate e diffuse in milioni di copie facendone un autore popolarissimo. Questa circostanza sta forse all’origine di un aneddoto non privo di veridicità, secondo il quale il poeta, quando alla morte di Lenin (che per inciso stimava moltissimo l’opera di Bednyj) la città di Pietroburgo fu rinominata in Leningrado, avrebbe chiesto che le opere di Puškin fossero rinominate come “Opere di Dem’jan Bednyj”. Nella sterminata produzione di Bednyj, costituita da moltissime poesie d’occasione, composte nei più disparati generi, dalla fiaba esopica al poema, tra i testi di tematica antireligiosa spicca il già ricordato poema Novyj Zavet bez iz’jana evangelista Dem’jana (1925), che si colloca in una specifica fase di consolidamento della lotta del potere sovietico contro la religione. Non a caso, sarà proprio Dem’jan Bednyj a celebrare anni più tardi, nel 1931, la distruzione della Cattedrale del Cristo Salvatore, al cui posto il potere bolscevico intendeva costruire l’avveniristico Palazzo dei Soviet. Il poema, costituito da un’introduzione e 37 capitoli, si costruisce come uno scritto polemico nei confronti delle fonti cristiane e si concentra innanzitutto sulle presunte contraddizioni che caratterizzerebbero i quattro Vangeli e gli Atti degli Apostoli. Tra i modelli si è indicato da parte della critica l’opera di Léo Taxil e, in particolare, la sua Bible amusante (1882). Nell’introduzione al Nuovo Testamento leggiamo infatti: “?????? ??????????? ?? ??????? ???? ? ??????! ???????? ????? – ?? ???????? ????: ??????????? ? ?????? ??????.” [“I quattro evangelisti non cantarono all’unisono! Se credi a Marco, non credi a Luca: Divergenze troverai in ogni versetto”]. Il poema si fonda poi sulla riabilitazione di Giuda e del suo ruolo, quale vero e fedele apostolo di Cristo: “? ??? ????? ?????, ??? ???? ?????: ??????????? ???????? ????? ??????? ???????????? ????? «????????? ?? ????», ????? ????? ???????? ???????? ???????? ??????? ? ?????????? ?????????? ???????? ???? ?????????.” [“Ed ecco è divenuto chiaro, ciò che era rimasto segreto: Si è infatti conservato per puro caso Tra un mucchio di pergamene polverose Il Vangelo di Giuda, Una sorta di diario Dell’amato allievo di Gesù E del focoso ebreo patriota Chiamato Giuda Iscariota”]. Nei vari capitoli del poema si offrono così letture spregiudicate e satiriche di numerosi episodi del Vangelo. Ogni capitolo è aperto da un’epigrafe con le indicazioni dei rimandi ai singoli passi del Vangelo ivi trattati e nei quali Dem’jan Bednyj individua chiare contraddizioni che poi egli sviluppa in narrazioni blasfeme e canzonatorie. Si va dai concepimenti verginali di San Giovanni e del Cristo per poi ripercorrere tutta la narrazione evangelica, dalla Trasfigurazione fino alla scoperta del sepolcro vuoto del Cristo, il cui corpo, nella narrazione di Dem’jan Bednyj, proprio Giuda avrebbe trafugato. Non credo sia utile ripercorrere qui nei dettagli lo svolgimento del poema che ha i tratti espliciti di un testo licenzioso, zeppo di volgarità e con un evidente taglio anticlericale. Vale la pena ricordare invece come molti siano i riferimenti alla Russia, ai dogmi e ai riti della chiesa ortodossa, oltre che ai miti contadini, alla tradizione degli apocrifi, in un ambiente, quello popolare russo, caratterizzato da una folta presenza di movimenti ereticali e da un persistente processo di interazione sincretica tra paganesimo e fede. Interessante, ovviamente, è il riferimento al Vangelo di Giuda, riconducibile alla tradizione dei testi gnostici. In generale, il problema del ruolo di Giuda nel progetto salvifico del Cristo, già dibattuto nell’antichità e ripreso nel XIX secolo, ad esempio, da Anatole France, era stato nella cultura russa a cavallo tra il XIX e il XX secolo al centro di un vivace dibattito filosofico-letterario, cui avevano preso parte pensatori e scrittori. Basterà qui ricordare il celebre racconto di Leonid Andreev Iuda Iskariot [Giuda Iscariota,1907], il poema di Aleksej Remizov, Iuda [Giuda, 1908], e ancora Maksimilian Vološin che nella sua lezione Puti Erosa [Le vie dell’Eros, 1907] aveva definito Giuda “il più forte ed ispirato degli apostoli”. Certo, il poema di Bednyj non pretende di approfondire il tema in prospettiva filosofico-religiosa, ma riecheggia piuttosto in modo superficiale alcune questioni interpretative per rafforzare il vigore della sua polemica anticlericale. Bednyj non scrive per la confraternita degli scrittori, ma per il popolo e tende a marcare tinte e contrasti a fini propriamente propagandistici. Qualche anno più tardi il poeta pubblicò una raccolta di poesie antireligiose, Tebe, Gospodi! [A te, o Signore!, 1930], nella quale proponeva un nuovo capitolo del poema e una nuova introduzione. In essa Bednyj afferma che il poema è destinato al mondo contadino russo (siamo negli anni della collettivizzazione) a dimostrazione che Cristo è solo un mito, una leggenda, che Bednyj tende a raffigurare rifacendosi ai modelli della poesia contadina e del folclore. Poco sotto egli scrive: “Di Cristo può essere presentata solo questa immagine: un bugiardo, ubriacone e donnaiolo". Come ho già accennato, la ricezione del poema Il Nuovo Testamento non fu unanimemente positiva, anzi è importante registrare una circostanza assai significativa che fu all’origine di una vero e proprio equivoco letterario. Mi riferisco alla diffusione a partire dai primi mesi del 1926 di un testo intitolato Poslanie evangelistu Dem’janu [Lettera all’evangelista Dem’jan] che circolò in Russia in forma manoscritta e in numerose varianti. Questo testo, che non poté essere pubblicato nell’URSS, apparve invece, sebbene mutilo, sulle pagine del quotidiano russo di Riga “Segodnja” con la precisazione: “questa Lettera è attribuita al poeta Esenin tragicamente morto di recente”. Poco dopo, in un’altra versione, il testo apparve sulle pagine del quotidiano émigré parigino “Poslednie novosti” e poi su molti altri giornali dell’emigrazione. Nel 1927 il testo fu addirittura inserito in un’edizione parigina delle opere di Sergej Esenin con l’annotazione: “Questa poesia costituisce la risposta di Esenin al Vangelo di Dem’jan Bednyj”. In realtà, come fu presto chiarito, anche per la testimonianza della sorella di Esenin, il testo non apparteneva a Esenin, ma sarebbe stato opera di un letterato minore, Nikolaj Nikolaevic Gorbacëv (1886- 1928), il quale, come si è poi venuto a sapere nel 1994 dopo l’apertura degli archivi dell’OGPU, fu arrestato proprio per la diffusione della Lettera all’evangelista Dem’jan. Nella lettera in versi, nella quale si condannava con forza il tono volgare e fazioso di Bednyj, si leggeva tra l’altro: ???, ??, ??????, ?????? ?? ????????, ????? ????? ?? ?? ????? ??? ?????? — ????????? ???, ???? ??? — ???? ???? ?????? ?? ???????! [No, tu, Dem’jan, non hai offeso il Cristo, Con la tua penna non lo hai neppure scalfito. Già c’era il ladrone, già c’era Giuda, Mancavi soltanto tu!] In uno scatto di disgusto l’anonimo giunge ad affermare con violenza: ? ???-????, ????? ? ? «??????» ???????? ???????? ? ?????? ?????????? ??????? — ??? ????? ??????, ????? ? ????? ? ?????????, ??????????? ??????. E tuttavia, quando io lessi sulla “Pravda” [Verità] La “non verità” su Cristo del dissoluto Dem’jan, Ho provato vergogna come se fossi caduto Nel vomito di un ubriaco]. Non è dunque difficile capire perché la diffusione della lettera costò al giovane letterato Gorbacëv una dura condanna. Ed infatti il testo di Dem’jan Bednyj rispondeva perfettamente alla politica di sradicamento delle credenze religiose del popolo in anni di repressione accompagnata dalla distruzione e sconsacrazione dei luoghi di culto. D’altra parte la Lettera metteva a nudo un odio quasi patologico da parte di Dem’jan Bednyj verso l’idea stessa di Dio, un ateismo che per isteria faceva da pendant alle tante iniziative intraprese nella campagna antireligiosa del tempo dal suo più importante ideologo, il già ricordato E.M. Jaroslavskij. Il furore iconoclastico e blasfemo di Dem’jan Bednyj fu al centro non solo di critica, ma anche di ironia. Si è scritto, tra l’altro, che i personaggi di Michail Berlioz e di Ivan Bezdomnyj del Maestro e Margherita di Michail Bulgakov siano stati tracciati anche con riferimenti alla figura del nostro sacrilego versificatore. Abbiamo già accennato come Bednyj riuscì, pur essendo stato molto vicino a Trockij nella prima fase del potere sovietico, a passare dalla parte di Stalin e mantenere così una posizione di preminenza nel panorama letterario sovietico negli anni che precedettero la creazione dell’Unione degli Scrittori e la definizione dei dettami del realismo socialista. Eppure, come già traspare nel suo poema Il Nuovo Testamento, Bednyj aveva fortemente calcato la mano sulle tradizioni e sui tratti comportamentali del popolo russo, e quando la politica staliniana tese a rivalutare i principi del patriottismo russo, l’atteggiamento derisorio, farsesco e irrispettoso di Bednyj fu recepito criticamente. Non è certo che la lotta alla religione e la promessa di un nuovo mondo comunista senza Dio fossero abbandonate, ma si stava affermando piuttosto l’esigenza di una educazione costruttiva fondata sul cosiddetto ateismo scientifico. Bednyj persisteva nel suo atteggiamento distruttivo e nella sua maniera utopico-gioiosa. Sentendo intorno a sé freddezza, se non aperta critica, proprio dopo la pubblicazione della raccolta Tebe, Gospodi, ma anche per dissidi con E.M. Jaroslavskij, Dem’jan Bednyj scrisse a Stalin, lamentandosi della nuova atmosfera creatasi intorno a lui. La risposta di Stalin fu assai brusca. Il dittatore, definì gli scritti di Bednyj contro la religione e le credenze del popolo non una “critica bolscevica”, ma una “calunnia contro tutto il nostro popolo, una derisione dell’URSS, del proletariato dell’URSS, di tutto il proletariato russo” in un momento in cui tutto il proletariato del mondo guardava all’URSS come un modello di cui essere orgogliosi. I testi antireligiosi di Dem’jan Bednyj, costruiti come anti-miti nelle forme poetiche della tradizione folclorica russa, non rispondevano più alle direttive centrali che prevedevano l’affermarsi di una nuova letteratura celebrativa. Tale circostanza risultò ancora più evidente quando Dem’jan Bednyj, seppure ancora al centro di critiche e polemiche, – in occasione del primo Congresso degli Scrittori, nel 1934, fu definito “politicamente arretrato”, – decise di affrontare un tema assai controverso, come quello della cristianizzazione dell’antica Rus’. Nel 1936 Dem’jan Bednyj approntò un nuovo libretto per l’opera-farsa di Aleksandr Borodin intitolata Bogatyri [Gli eroici guerrieri, 1867]. La nuova versione dell’opera era stata richiesta dal celebre regista A.Ja. Tairov e doveva essere rappresentata al Teatro da Camera di Mosca. Il nuovo libretto affrontava gli eventi legati al battesimo della Russia al tempo del gran principe Vladimir, ma li trattava in maniera farsesca e derisoria, tanto da provocare la reazione irritata di Vjaceslav Molotov presente in sala alla sesta rappresentazione. Anche Stalin ne fu scandalizzato, tanto che il Politbjuro del Comitato Centrale del PCUS emanò una risoluzione, nella quale si vietava l’ulteriore rappresentazione dell’opera. Era finita l’epoca nella quale il nuovo potere sovietico intendeva dare un taglio netto con il passato della Russia26. Adesso nei cupi anni delle purghe staliniane e della costruzione del socialismo in un solo paese il recupero dell’identità e del retaggio nazionale grande russo acquisiva una nuova funzione fondante, come di lì a poco mostreranno i capolavori di Sergej Ejzenštejn Aleksandr Nevskij (1938) e Ivan Groznyj [Ivan Il Terribile, 1943], oltre ai romanzi storici di Aleksej Tolstoj. Nel testo di Demjan Bednyj, invece, si offriva una rappresentazione satirica e caricaturale della corte del gran principe e gli eroi antico-russi venivano rappresentati come dei beoni e crapuloni. Ad essi erano contrapposti i briganti, marcatamente collegati al mondo contadino e popolare, i quali con il loro capobanda Ugar sconfiggono gli eroi guerrieri indeboliti da lusso e gozzoviglie. Lo stesso battesimo della Rus’, che nel 988 segnò l’abbandono del paganesimo e il passaggio al cristianesimo, è ricostruito da Bednyj secondo i canoni dell’ateismo materialistico volgare, mentre la storiografia sovietica del tempo tendeva a rivalutare il passaggio dal paganesimo al cristianesimo come un evento progressivo della storia russa. Bednyj ritrae infatti un gran principe ebbro e sguaiato per il quale, come i riti pagani erano occasione per orge e bevute, così lo era anche la nuova fede. Certo la messa in scena offerta da Tairov e le musiche di Borodin arricchirono il testo di Bednyj fino a fare della pièce una curiosa esperienza teatrale tra sperimentazione e propaganda. Non a caso, in un primo momento, alcuni critici teatrali lodarono la nuova prova di Tairov, le sue trovate sceniche, la “russificazione” del Teatro da Camera e lo stesso sostrato ideologico dell’opera. Nella presentazione dello spettacolo si affermava che “i veri eroi antico-russi (i briganti) appartengono al popolo, mentre la corte di Vladimir incarna la debolezza e l’arretratezza della Rus’ kieviana”. Insomma il battage reclamistico per Bogatyri faceva prevedere un indubbio successo dello spettacolo. Ed invece la reazione di Molotov, che avrebbe esclamato uscendo dalla sala dopo il primo atto: “Orrore! Gli eroi antico-russi erano uomini di grande valore!”28, segnò in modo definitivo il destino dello spettacolo. In concreto si contestava a Dem’jan Bednyj la non-corrispondenza tra la sua versione della storia russa antica e quanto tramandato nella cronachistica e poi nella storiografia. Ma dietro a queste accuse, evidentemente, si celava un atteggiamento nuovo del potere sovietico nei confronti della storia russa e della stessa tradizione cristiano-ortodossa. La risoluzione che vietò le ulteriori rappresentazioni della pièce diceva tra l’altro che l’opera-farsa di Dem’jan Bednyj costituiva un tentativo di celebrazione dei briganti dell’antica Rus’ come elemento rivoluzionario positivo, il che contraddiceva la storia ed era del tutto falso in prospettiva politica. Si diceva inoltre che il testo forniva una raffigurazione antistorica e derisoria del battesimo della Rus’ che invece aveva rappresentato una tappa positiva nella storia del popolo russo. In conclusione, si ordinava di sospendere le rappresentazioni della pièce Bogatyri in quanto opera estranea all’arte sovietica, e si proponeva al compagno Platon Keržencev di scrivere un articolo sulla “Pravda” sull’argomento. Questo insuccesso segnò definitivamente il destino letterario e politico di Dem’jan Bednyj, ma anche della propaganda antireligiosa fondata sullo scherzo letterario e la giocosa scurrilità dell’utopia popolare contadina. In definitiva, il tono irriverente e scherzoso era di per sé presente nell’opera di Borodin (non a caso il compositore non aveva voluto rendere noto di esserne l’autore) e nella stessa messa in scena proposta da Tairov che si rifaceva al teatro sperimentale degli anni Venti. Nei cupi anni della ežovšcina il testo di Dem’jan Bednyj non corrispondeva al nuovo “monumentalismo celebrativo” della letteratura dell’epoca staliniana. Lo scrittore fu oggetto di indagine e al centro di numerose critiche (basti ricordare le reazioni di molti intellettuali del tempo che non amavano Dem’jan Bednyj per il suo atteggiamento di lacchè verso il potere), cadde in disgrazia, ma ebbe salva la vita. Provò a scrivere nel 1938 un poema dal titolo Boris’ ili umiraj [Combatti o muori], nel quale si paragonava a un novello Dante che discendeva nell’inferno fascista. Il poema fu recensito da Stalin in persona, che giudicò il testo del “novello Dante-Damiano” una “cosa assai mediocre". Malgrado alcune testimonianze contro di lui nell’ambito dei grandi processi di Mosca (mi riferisco, ad esempio, alla deposizione di A. I. Steckij che poi sarà giustiziato) e altre note del NKVD, malgrado l’espulsione dal PCUS e dall’Unione degli scrittori, Bednyj uscì tuttavia indenne dalle repressioni e negli anni della guerra poté nuovamente pubblicare i propri versi, adesso sotto lo pseudonimo di Dem’jan Boevoj [Damiano il Combattente]. Morì per una paralisi cardiaca il 25 Maggio 1945 e fu riammesso nel partito post mortem nel 1956. Come sappiamo negli anni della grande guerra patriottica si assisté ad un ravvicinamento tra il potere e la chiesa ortodossa. Quando Chrušcëv, alla fine degli anni Cinquanta, riprese una decisa campagna anti-religiosa i testi di Dem’jan Bednyj risultavano ora dei vecchi strumenti inutilizzabili. La poesia di Dem’jan Bednyj, che aveva fatto della contingenza e della quotidianità il proprio riferimento, rimane così, come peraltro gran parte della poesia politica sovietica (ivi compresa molta della produzione “partitica” di Majakovskij), un semplice documento d’epoca, come rimane un’immagine sbiadita nel tempo l’utopia sacrilega collettiva di un’eternità senza Dio.In conclusione vale la pena notare, come l’opera di Dem’jan Bednyj continui comunque a risvegliare l’interesse degli addetti ai lavori, dei linguisti e in particolar modo dei metricisti. Di lui ha scritto Michail Gasparov: “I modelli di Dem’jan Bednyj sono I.A. Krylov, N.A. Nekrasov, i versi d’antologia dei classici russi, il suo stile è caratterizzato da versi aforistici di facile apprendimento mnemonico, da una lingua semplice e da un tradizionale armamentario di immagini semplici e generi popolari (la fiaba esopica e la canzone), da un’intonazione costruita sul dialogo con il lettore, da un umorismo tutto sommato bonario e non maligno, da un verso colloquiale di orientamento favolistico-folclorico e da un orecchio finissimo: la precisione classica delle sue rime à un caso unico nel XX secolo”. Se Majakovskij era stato il poeta innovatore e aveva arricchito i suoi versi con la rima imperfetta, l’assonanza, la rima composita e la rima a calembour, il “rivoluzionario” Dem’jan Bednyj aveva coltivato la rima della tradizione classica sette-ottocentesca: in definitiva un tradizionalismo lontano dalle utopie letterarie e no del primo novecento. ¬ top of page |
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