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Ulrike Draesner

1. Ich schreibe diese Zeilen auf einer dänischen Insel im ersten Exilhaus Brechts. In seinem Arbeitszimmer ist noch der Balken zu sehen, auf dem zu seinen Zeiten in großen Buchstaben gestanden haben soll „Die Arbeit ist konkret“. Damit hatte er recht, Konkretion ist der Kern jedes Textes – gerade bei Dichtern, die scheinbar so „esoterisch“ sind wie Paul Celan, lässt es sich wunderbar sehen.

Doch hat das berühmt-berüchtigte Rad der Geschichte sich weitergedreht, und es gibt (viel zu) viele Gründe, dem Wort „Auftrag“ zu misstrauen. Es missfällt mir, da es einen Auftraggeber impliziert, der – auch – den Inhalt festlegt. Doch Literatur, allemal Gedichte, bestimmen sich nicht über ihre Aussage.

Kein gesellschaftlicher Auftrag also, aber, gewiss, ein gesellschaftlicher Raum. Gedichte bestehen aus Sprache, die stets zeitlich ist, definiert von der Gruppe ihre heutigen, ehemaligen und zukünftigen Sprecher. Diese Gruppe reicht, das wird oft übersehen, weit über das hinaus, was man gemeinhin „Gesellschaft“ nennt. Aber weil Gedichte alles, was sie sind, allein in und durch Sprache sind, ist dies der uneinholbare, vielfach geschichtete Raum, in dem sie klingen.

Mit Aufträgen an den Dichter kommen wir also nirgendhin. Eine Aufgabe aber kenne ich wohl: mich zurückzunehmen, um durchlässig zu werden auf das, was sich mir einträgt aus dem Raum der Sprache(n), die ich höre.

Da Wirklichkeit für den Menschen immer auch sprachlich ist, ist diese Wirklichkeit in der besonderen Sprache eines guten Gedichtes keineswegs verloren, sondern gezeigt.

Das mag nicht jeder immer verstehen.

Doch jeder, der sich darauf einlässt, kann es verstehen.

 

2. Ich sehe in der mich umgebenden zeitgenössischen deutschen Lyrik alles andere als einen Verlust des Bezuges auf soziale Wirklichkeit. Diese spiegelt sich in vielfacher, lebendiger Weise in Gedichten – wozu u.a. auch die Infragestellung dieses Bezuges gehört (übrigens: wie nehmen der durchschnittliche Fernsehkonsument, der unablässige Blogger, der Internetspieler „Wirklichkeit“ wahr?).

Eigentlich wissen wir: Wirklichkeit existiert immer im Plural, zudem haben sie und Medien sich zu einem immer schnelleren Kreislauf von Aktion und Reaktion verschaltet, der uns umwickelt hält. Gerade die Vielbezüglichkeit und notorische Mehrschichtigkeit von Gedichten, in Wörtern und Syntax, Schrift und Klang, gibt uns einen (nicht immer willkommenen) Geschmack davon, wie vielfältige Netze uns halten, umgarnen, erzeugen.

Ich fühle mich dabei keineswegs in einer sozialen Randposition. Oder was wäre der Maßstab? Wollten wir alle Pop-Stars sein? Aber, welch soziale Randposition wäre das!

Ein großer Fehler allerdings ist die Annahme, das Gedicht diene dem Selbstausdruck der Gefühle des Dichters. Ganz anders geht die Kunst: so weit abzusehen von sich selbst, dass im dennoch erhaltenen ganz Konkreten erscheint, was den Menschen-Kern dessen anzurühren vermag, der liest.

 

3. Im Endeffekt handelt es sich in den wechselnden Positionen, die Gedicht und Lied zueinander einnehmen, um eine Frage zum Verhältnis zwischen gesprochenen und geschriebenen Texten. Dabei zeichnet gerade das Gedicht aus, dass es beiden Bereichen gleichermaßen zugehört: ein Gedicht, das nicht klingt, ist nicht lebendig, ein Gedicht, das sich nicht leise lesen lässt, bleibt taub. Müssen wir hier wirklich Entwicklungslinien ziehen und Konkurrenzen aufbauen? Ich halte es, gerade auch unter dem Gesichtspunkt medialer Entwicklungsgesetze, für zutreffender, von einem Feld zunehmender Differenzierungen auszugehen – sowohl der Bedürfnisse als auch der Nachfrage. Dabei mag die „user“-Gruppe des einen oder anderen schrumpfen bzw. zunehmen und dabei ist sicher richtig, dass die Rezeption von Gedichten der Pflege bedarf. Übrigens gerade angesichts der vor ein paar Jahren in der deutschen Werbung verbreiteten Mode (s. “Einfluss der Lyrik auf die Erneuerung der Gemeinsprache“), sich lautpoetischer Methoden und wörtlicher Doppeldeutigkeiten zu bedienen.

1. Scrivo queste righe su un’isola danese, nella casa in cui Brecht abitò nei primi anni del suo esilio. Nel suo studio c’è ancora la trave sulla quale in quel periodo egli avrebbe scritto, a grandi caratteri, «il lavoro è concreto». Non si sbagliava, la concrezione è il nucleo centrale di qualunque testo letterario, come appare evidente proprio in poeti come Paul Celan, apparentemente così ‘esoterici’.

E però la famosa e famigerata ruota della storia ha compiuto un nuovo giro, e oramai sono molte (troppe) le ragioni per le quali diffidare della parola «mandato», a cominciare dal fatto che essa implica un mandante che – tra le altre cose – predetermina i contenuti. Ma l’unità di misura della letteratura, e in particolare della poesia, non coincide con il contenuto delle sue affermazioni.

Niente mandato sociale dunque, ma senz’altro uno spazio sociale. Le poesie sono fatte di linguaggio, la cui consistenza è a sua volta sempre temporale, poiché il linguaggio coincide con il gruppo di persone che lo parlano nel presente, lo hanno parlato in passato e lo parleranno in futuro. Ciò che spesso si tende a trascurare è che tale gruppo si spinge molto oltre i limiti di quella che viene comunemente chiamata ‘società’. E giacché le poesie esplicano la propria natura unicamente nel linguaggio e mediante il linguaggio, è questo l’unico spazio – incolmabile e pluristratificato – in cui esse possono risuonare.

Assegnare mandati ai poeti non conduce a nulla. Un compito, semmai, conosco: ritrarmi fino a diventare completamente permeabile a ciò che mi giunge dallo spazio del linguaggio (dei linguaggi) che ascolto.

Poiché la realtà che gli uomini percepiscono è sempre anche la realtà del linguaggio, nella costruzione linguistica di una buona poesia essa non va perduta, ma – al contrario – diventa visibile.

Non tutti sono sempre disposti a comprendere questo meccanismo.

Ma tutti quelli che sono disposti ad affidarvisi possono comprenderlo.

 

2. Nella lirica tedesca di questi anni vedo tutt’altro che una perdita di contatto con la realtà sociale, che anzi trova diverse forme di vivace riflessione in parecchi autori – riflessione alla quale bisogna chiaramente riferire anche la discussione critica di quel contatto (ma come percepiscono poi la «realtà» il telespettatore medio, il blogger indefesso o chi partecipa ai giochi in rete?).

In fondo sappiamo bene che la realtà esiste solo al plurale, e che realtà e media sono stretti in un circolo sempre più vorticoso di azione e reazione che ci tiene avviluppati. Proprio la natura pluristratificata e multireferenziale della poesia, collocata nel punto di intersezione di parola e sintassi, scrittura e suono, dà un’idea della struttura fitta e ramificata delle reti che ci avvolgono, avvincendoci e producendo la nostra stessa realtà.

Non credo peraltro di trovarmi in una posizione di marginalità sociale. Dipende dai criteri ai quali ci riferiamo. Vorremmo per caso essere tutti delle pop-star? Questa sì che sarebbe vera marginalità!

Si commette comunque un grave errore se si ritiene che nella poesia trovi voce il sentimento soggettivo del poeta. In realtà è proprio l’opposto: il procedimento ideale sta nell’oscurare se stessi, distillando un residuo di espressione in cui prenda forma molto concretamente una nota in grado di toccare l’identità umana di chi legge.

 

3. La varietà dei rapporti possibili tra poesia e canzone può essere ridotta, in ultima analisi, alla relazione fra testi scritti e parlati. E ciò che caratterizza la poesia è che essa appartiene con la medesima legittimità a entrambe le sfere: una poesia senza sonorità è una poesia senza vita, mentre una poesia che opponga resistenza alla lettura mentale è una poesia del tutto priva di respiro. Ma è poi proprio necessario ragionare secondo ambiti separati e in termini di concorrenza? A mio parere, e tenendo conto dei principi di funzionamento dei singoli media, è più opportuno individuare livelli crescenti di differenziazione, in rapporto tanto ai bisogni che trovano espressione in ciascuna delle attività, quanto al tipo di domanda che vi si indirizza. È chiaro che i due gruppi di ‘utenti’ sono soggetti a contrazioni ed espansioni irregolari, ed è senz’altro vero che la ricezione di poesie necessita di attenzioni particolari. Questo anche a fronte del fenomeno di moda nelle pubblicità tedesche di qualche anno fa (a proposito dell’«influenza della poesia sul rinnovamento del linguaggio comune»), che si servivano volentieri di soluzioni foniche e di ambiguità semantiche tipicamente poetiche. 

[trad. it. di Maurizio Pirro]

 
 
Ulrike Draesner (Monaco di Baviera, 1962) è poeta, saggista, critica, traduttrice (Shakespeare, G. Stein, tra gli altri) nonché nota autrice di racconti e romanzi, tra i quali si ricordano Mitgift (2002) e Spiele (2005), entrambi editi da Luchterhand. Ha lavorato come anglista e germanista all’Università di Monaco per poi dedicarsi alla scrittura letteraria. Vive a Berlino.

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