![]() |
|||||
« indietro ANNA MARIA VOLPINI da Avvicinarsi alla terra
Io vivere vorrei addormentato entro il dolce rumore della vita
SANDRO PENNA
*** E se me lo immagino, alla fine, sono delusa comunque. Il rumore della frenata mi confonde. Sempre.
*** […] Ammetto una mattina qualunque e il mio ristretto panorama. I tetti delle case con le tegole vecchie. Le chiome degli alberi nel giardino pubblico. Iniziano a cadere foglie. Eppure siamo d’estate. Strati di nuvole danno un grigiore diffuso, un falso colore. Stormi di rondini arrivano da destra. Gridano. Ritornano da sinistra all’altezza del campanile. Si posano sul filo della luce. Si preparano alla partenza. Là fuori nessuna coscienza del paesaggio, nessuna conoscenza. L’aria fa da ammortizzatore. La morte arriva da sopra, ha un piumaggio nero. Nel conto alla rovescia, anche il rumore si azzera.
[…]
*** Questa mattina la luce mi acceca, mi impedisce normali circuiti di visione. Immagini in rivolta nei depositi della memoria. Passano farfalle nel sole, si nascondono lucertole nelle fessure, formiche perlustrano il terreno: ritratto campestre col vento che soffia da nord-est. Voglio depredare senza autorizzazione, scartare esempi se non ho beneficio. L’esempio è una pietra di paragone. Paragono gli esempi, li studio con cura. Mi chiedo se questa può essere la mia grande occasione. Trovo risposte amletiche. Eventi lontani trenta milioni di anni si sovrappongono adesso con estrema facilità. Per godere lo spettacolo non tento di distogliermi dai miei miraggi. Riesco appena a seguire il rumore del vento che diventa sempre più forte.
[…] ***
Ci vuole una giornata come questa per far salire la febbre della terra. Lo scirocco soffia da sud-est. Solleva polveri. Polveri inquinanti. Sono cadute altre foglie, anche se è quasi il solstizio d’estate.
*** Nel pomeriggio esco per una passeggiata. E’ l’ora del dialogo con me stessa, anche se non ho molto da dire, né niente di essenziale per dirlo. Rifletto. La statura umana va dal metro e venti dei pigmei ai due metri e quaranta dei giganti. Nella forma dei corpi questo è il limite dell’espansione. I più alti misurano il doppio degli altri, ma non c’è limite né alla grandezza, né alla piccolezza dell’anima. Nuove razze per un futuro sintetico. Incrocio le dita. Difficile questo tipo di ricerca. Nel prato galoppano cavalli. Liberano la potenza dei muscoli, seguono un loro percorso. Guardo le teste fiere, le orecchie ritte, le froge spalancate, le criniere al vento. Sento il battere degli zoccoli, i nitriti, il soffio. Poi quel rumore si fa ricordo.
[…]
*** Di notte una vergogna primaria spesso mi mangia l’anima. Conosco la timidezza che si avvicina alla vergogna. Giro intorno ai sintomi, li interrogo. Catturo lo spazio. Attraverso il tempo. Ritorno all’infanzia. La mia pelle è fragile, ho guance rosse, lentiggini sul naso. Trecce bionde, un fiocco sulla nuca. Insicura l’adolescenza porta le nevrosi della giovinezza. Mi ossessionano i ricordi. Un parallelo corpo-casa non mi traccia collegamenti precisi. Tocco gli estremi con la mente, per il disfarsi continuo della forza. Mi sforzo di scrivere le mie ossessioni. Per fortuna le parole sulla carta non fanno rumore.
[…]
*** Così il corpo. È diventato trasparente. Rapporti inediti, nuove combinazioni. Tra me (il dentro) e l’altro (il fuori), non c’è collegamento. Si legano, non si legano. Perdo creatività. La mia vita dentro questo tormento è fragile. Sospetto che tutto possa ricominciare. Fermarsi e poi ricominciare. Mi giro per la stanza. Una goccia d’acqua cade lentamente da un rubinetto che perde. Forse si è arrugginito. La mia tavola è imbandita. Bevo un bicchiere di vino, che ha un gusto amaro, duro. Il rumore di un brindisi non spiega il futuro. Lo sottintende.
***
Vado sempre in qualche direzione. Stabilisco con calma il tempo della semina, ma le stagioni in rivolta, sono stanche delle mie suppliche. Elementi portanti si piegano con frequenza al suolo. Esalano miraggi. Si inaridisce il respiro. I pensieri si incendiano veloci. Cerco riparo. Il nemico non appende le sue armi. Taglia, rastrella, incenerisce. Ma per un pensiero che annulla, c’è un pensiero che lega. Ho creduto di fare tutto, amore, sesso, figli. Ho creduto di avere tutto, lavoro, casa, famiglia. I figli sono lontano. Il lavoro è finito da tempo. La casa, coperta di polvere, odora di vecchio. Ho creduto di fare tutto. Non ho fatto niente. Ho solo preso in prestito. Devo restituirlo. Prima di entrare nell’eterno rumore.
Giugno Luglio Agosto 2005
Anna Maria Volpini, nata nel 1937, ha insegnato alle scuole elementari e frequenta da alcuni anni la scuola di scrittura creativa di «Semicerchio». Nel 2003 ha pubblicato con Patrizia Renieri il volume Vecchia scuola elementare … addio. Queste poesie sono state scelte dalla poetessa Elisa Biagini, docente della scuola di «Semicerchio». ¬ top of page |
|||||
Semicerchio, piazza Leopoldo 9, 50134 Firenze - tel./fax +39 055 495398 |