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A Ovest: voci da una Spagna plurale


Galizia
 
Lino Braxe è una delle figure più insolite del panorama letterario galego. La malinconia che emerge dai suoi testi è una malinconia attiva e vitale, segno di quell’energia che lo ha portato a spaziare nell’esplorazione delle più diverse forme artistiche; oltre che poeta è infatti narratore, autore di teatro e di televisione, giornalista, opinionista e attore. Grande protagonista delle sue composizioni è la vita, non quella di tutti i giorni, ma la vita che trascende i  confini del quotidiano e riesce a farsi vita intensa, vissuta fino in fondo. Vivere per il gusto stesso di vivere, godendosi a pieno ogni momento, con la coscienza che in qualunque istante la morte può arrivare a cancellare tutto. Da questa percezione nasce l’invito a godere pienamente di ogni gioia, a danzare, perfino sulle tombe, quasi ad esorcizzare la paura del decadimento, degli ospedali, dei cimiteri. E tutto partecipa a costruire l’intensità del vivere: danze, feste, alcol e droghe, ma non intesi come fuga dalla vita, bensì come essenza di una vitalità insaziabile. Anche i riferimenti al passato e alla grande cultura classica non sono un rimpiangere i bei tempi andati, ma piuttosto un invito alla riflessione e a vivere il presente sulla scorta degli insegnamenti degli antichi.
Un’esortazione a leggerli, gli antichi, a conoscere la cultura di cui il passato è imbevuto per conoscere l’humus fertile in cui il presente affonda le sue radici e per riscattare quella cultura dall’oblio a cui sembra oggi condannata.
Così, leggendo i suoi versi sul ruolo del poeta e della cultura, sul concetto di democrazia e perfino le profonde considerazioni sull’amore, scorgiamo il filo di una riflessione che senza soluzione di conti nuità ci lega al passato. E possiamo far nostri oggi i pensieri, le ansie, le meditazioni e le paure dei protagonisti della cultura classica.
E come per i classici, l’impegno politico e sociale non è mai assente nei suoi versi, fino a rivelare a volte l’avversione forte e decisa contro la violenza e l’ingiustizia, specie quando vengono perpetrate in nome della religione o dello Stato.
Stilisticamente, si avvertono, nei temi e nelle forme dei testi, oltre all’ispirazione dei classici, echi dei simbolisti francesi; ma anche richiami e riferimenti all’intera letteratura europea, resi a volte espliciti dalle citazioni che introducono alcune sue raccolte poetiche, che invitano a leggere i suoi testi come un’estrapolazione da un più vasto contesto.
Così le sue composizioni si muovono dal calore dei tropici ai tanghi argentini, dalle guerre nel Sud del mondo all’Oriente integralista, dall’ispirazione pittorica dei grandi maestri ai riferimenti alla filosofia e alla cultura greca e latina; ma finiscono sempre per tornare alla sua terra natale, la Galizia, grande amore della sua vita.


Paesi Baschi
 
Kirmen Uribe comincia a scrivere poesie fin da giovanissimo, ma è proprio in Italia, a Trento, che prende la decisione di pubblicarle, durante un corso annuale di letterature comparate. Come accade ai grandi poeti e interpreti, la sua poesia affonda profondamente le sue radici nella realtà a lui più vicina e congeniale, i Paesi Baschi, per farsi poi assolutamente universale. Non è un autore prolifico, scrive poco perché, afferma, deve sentire quello che scrive. Anche a lui i confini della mera espressione poetica stanno stretti, portandolo a contaminare i suoi versi con le più diverse discipline artistiche: musica, videoarte, teatro, narrativa.
Considera la poesia «un gioco con il silenzio», in quanto bisogna decidere quali parole troveranno posto nei versi e quali ne saranno escluse. D’altronde, ha affermato, tutta «la nostra vita è segnata dalle decisioni. Senza prendere decisioni, non possiamo andare avanti».
La sua poesia conosce momenti di forte impegno politico e sociale e altri di un intimismo che sfiora la malinconia, come in Maggio.
La sua raccolta Mientras tanto dame la mano viene considerata un punto di svolta nella letteratura basca. Gran protagonista di questa raccolta è il mare – che qui ritroviamo sempre in Maggio – uno dei temi preferiti di Uribe assieme all’amore.
Considera inoltre fondamentale il rapporto con gli anziani e confessa di passare molto tempo a chiacchierare con loro.
Pur utilizzando a pieno tutti i media, Uribe è convinto che stiamo andando verso un ritorno all’oralità, che lui considera uno dei momenti espressivi più alti. Al punto da ritenere oggi più che mai fondamentale recitare in pubblico le sue poesie, dopo averle scritte. D’altronde, il raccontare storie è un elemento che ricorre nella sua poesia, come testimonia Tecnologia.
Uribe è una figura inquieta, in continuo mutamento. Il Pen America Center l’ha definito un «autore dalla coscienza globale e umanista, una voce diretta e differente», mentre il critico Jon Kortazar considera la sua opera una «rivoluzione tranquilla».


Catalogna
 
 Quella di Laia Noguera i Clofent è una poesia giovane, vitalistica; celebra il trionfo della vita, in tutta la sua complessità, vita fatta di gioia e di sofferenza, di luci e di ombre, ma con la consapevolezza che alla fine c’è sempre la morte. Vita e morte sono un tutt’uno; la vita è fragilità, dolore, coscienza.
Anche a lei il verso non basta: alla composizione poetica affianca la recitazione dei suoi testi, in spettacoli più o meno arricchiti di drammaturgia; è chitarrista; ha inciso un disco e collabora con musicisti e attori. Inoltre è autrice di saggi e traduttrice.
Il tutto, in uno stile assolutamente personale, che connota soprattutto la sua poesia, ma che mantiene inalterato anche quando spazia nella narrativa e nel teatro. E nella musica. La commistione tra musica e poesia è sempre presente nella sua opera: la poesia è la vita e la musica ne è la colonna sonora.
Testi mai lunghi, i suoi, a volte brevissimi, secchi, ma espressi in una scrittura sempre molto intensa, carica di significati che a volte sfuggono a una prima lettura. Ma i versi di Laia ci ricordano che la poesia non è fatta per una lettura veloce.
Se Laia canta la vita in tutte le sue sfumature, la ama particolarmente nei dettagli, perfino o forse soprattutto nell’effimero, nelle piccole cose quotidiane, quelle che ci sfuggono, di cui non sappiamo apprezzare la bellezza e che lei ci invita a rivalutare.
Le parole si ripetono, nei suoi versi, come a formare un’eco che continuamente ritorna. Sono versi nudi, tiepidi, a volte quasi un sussurro, che d’improvviso si compongono a formare una lirica potente e incendiaria che si scaglia contro i luoghi comuni. La sua poesia, e la musica che l’accompagna, sembrano essere nient’altro che uno strumento per catturare le idee e l’amore, ma un amore superiore; in altre parole, per catturare la vita.
 
Ho tradotto Lino Braxe dal galego e Laia Noguera dal catalano. Kirmen Uribe, ahimè, dal castigliano, ma sempre da versioni di mano dell’autore.
 
 Attilio Castellucci
 


 Lino Braxe

 Contra a amargura
 Contro l’amarezza
 
Claudio nunca saberá como o amo,
e xamais coñecerá a querencia
que por el profesan
algúns dos nosos amigos.

Claudio é deses homes
que sempre xulgan os demais
e escasamente
falan da súas virtudes.

A súas desventura é a dos escépticos.
E a desconfianza goberna a súa casa,
onde só a infelicidade e a amargura
son ben recibidas.

Claudio
non platiques máis ao atardecer
sobre o Senado,
e os nosos estimados senadores.
Bebe,
saborea na compaña dun amigo
un vaso de viño.
E cando mañá
os raios de sol iluminen o teu rostro,
sorrí ante a beleza da nosa patria
e comeza unha nova vida.
Claudio non saprà mai quanto lo amo,
né conoscerà mai l’amore
che professano per lui
alcuni dei nostri amici.

Claudio è uno di quegli uomini
che sempre giudicano gli altri
ma raramente
parlano delle loro virtù.

La sua sciagura è quella degli scettici.
E la diffidenza regge la sua casa,
dove solo l’infelicità e l’amarezza
sono ben accolte.

Claudio
non dissertare più al tramonto
sul Senato
e sui nostri stimati senatori.
Bevi.
Assapora, in compagnia di un amico,
un bicchiere di vino.
E domani, quando
i raggi del sole illumineranno il tuo volto,
sorridi davanti alla bellezza della nostra patria
e comincia una nuova vita. 


 O xardín da hespérides
 Il giardino delle esperidi

Ao chegares á casa do poeta,
contempla as árbores que el mirou,
a mar, a luz, o povo
e os homes que o saudaron.

Recolle unha folla de loureiro
da súa tumba,
empápate da súa alma
e logo bebe un vaso de viño
á súa sáude.

Descansa,
recita os seus versos,
despídete do mundo sen tumultos
e con honor,
vive o seu retiro
como o daqueles que fuxiron.

Ama o olvido
e as palabras dos arcaicos.
Escribe.
Arrivando a casa del poeta,
contempla gli alberi che lui ha guardato,
il mare, la luce, il popolo
e gli uomini che lo hanno salutato.

Raccogli una foglia di alloro
dalla sua tomba,
imbeviti della sua anima
e poi bevi un bicchiere di vino
alla sua salute.

Riposa,
recita i suoi versi,
dì addio al mondo senza tumulto
e con onore,
vivi il suo ritiro
come quello di coloro che fuggirono.

Ama l’oblio
e le parole degli antichi.
Scrivi. 


 Hannibal
 Annibale

Frío, o exército de Hannibal avanza.
Atrás quedan o paso dos Alpes,
a batalla de Cannas. É a fin de Roma.
Mais para aquel civilazado africano,
era demasiado privar ao mundo
do legado de Homero, de Teócrito
ou de Apolonio de Rodas.

Anos máis tarde,
as lexións do imperio, os fillos da loba,
o senado de Roma e os seus senadores,
devastaron por tres veces
a bela e próspera Cartago.

Moitas mulleres fenicias
pensaron naquelas noites de lume e sangue
que a familia dos Barca
debía ter lido menos poemas e fábulas,
e ter sido educada como as bestas.
Freddo, l’esercito di Annibale avanza.
Dietro rimangono il passo delle Alpi,
la battaglia di Canne. È la fine di Roma.
Ma per quell’africano tanto civile
era troppo privare il mondo
del retaggio di Omero, di Teocrito
o di Apollonio Rodio.

Anni più tardi,
le legioni dell’impero, i figli della lupa,
il senato di Roma e i suoi senatori,
devastarono tre volte
la bella e prospera Cartagine.

Molte donne fenicie
pensarono, in quelle notti di fuoco e sangue,
che meglio sarebbe stato se la famiglia dei Barca
avesse letto meno favole e poesie
e fosse stata educata come le bestie. 


(da Ardora, 1997) Traduzioni di Attilio Castellucci



Kirmen Uribe

Tecnología
Tecnologia

Mi abuelo no sabía leer, tampoco
sabía escribir. Sin embargo, era conocido

por las historias que contaba. Él encendía,
rodeado de críos, las fogatas de San Juan.

La caligrafía de mi padre era inclinada, elegante.
Tejía el papel con precisión,

como si esculpiera sobre la pizarra.
Todavía tengo la postal que envió desde la mili:

«Yo bien, tú bien,
mándame cien».

Nosotros mandamos
mensajes electrónicos.

Es cierto: en tres generaciones hemos recorrido
un largo trecho en la historia de la escritura.

De todas formas, las preocupaciones, los miedos
son los mismos de siempre, y lo seguirán siendo:

«Yo bien, tú bien…»
Mio nonno non sapeva leggere, nemmeno
sapeva scrivere. Tuttavia era famoso

per le storie che raccontava. Accendeva,
circondato dai bambini, i falò di San Giovanni.

La calligrafia di mio padre era inclinata, elegante.
Ricamava il foglio con precisione,

come se scolpisse l’ardesia.
Conservo ancora la cartolina che mandò dalla naia:

«Io bene, tu bene,
mandami cento».

Noi mandiamo
messaggi elettronici.

È vero: in tre generazioni abbiamo percorso
un lungo cammino nella storia della scrittura.

Nonostante tutto, le preoccupazioni, le paure
sono le stesse di sempre e continueranno ad esserlo:

«Io bene, tu bene…» 



 Mayo 
 Maggio


Mira, ha entrado mayo,
Ha extendido su párpado azul sobre el puerto.
Ven, hace tiempo que no sé de ti,
Se te ve tembloroso, como esos gatitos que
ahogamos siendo niños.
Ven, y hablaremos de las cosas de siempre,
Del valor que tiene ser amable,
De la necesidad de arreglárselas con las dudas,
De cómo llenar los huecos que tenemos dentro.
Ven, siente en tu rostro la mañana,
Cuando estamos tristes, todo nos parece oscuro;
Cuando estamos fuertes, el mundo se desmigaja.
Cada uno de nosotros guarda algo desconocido
de las vidas ajenas,
Sea un secreto, un error o un gesto.
Ven y pondremos verdes a los vencedores,
Saltaremos desde el puente riéndonos de nosotros
mismos.
Contemplaremos en silencio las grúas del puerto,
Porque estar juntos en silencio es
La mejor prueba de la amistad.
Vente conmigo, quiero cambiar de país,
Dejar este cuerpo mío a un lado
Y meterme contigo en una concha,
Con nuestra pequeñez, como los bígaros.
Ven, te espero,
Continuaremos la historia interrumpida hace un año,
Como si no tuvieran un círculo más
los abedules blancos de la rivera.
Guarda, maggio è arrivato,
Ha disteso la sua palpebra blu sul porto,
Vieni, è da un po’ che non ho tue notizie,
Sembri tremare, come quei gattini che affogavamo
da bambini.
Vieni, parleremo delle cose di sempre,
Di quanto vale essere gentile,
Della necessità di convivere con i dubbi,
Di come riempire i vuoti che abbiamo dentro.
Vieni a sentire il mattino sul tuo volto,
Quando siamo tristi, ci sembra tutto buio;
Quando siamo forti, il mondo si sbriciola.
Ciascuno di noi custodisce qualcosa di sconosciuto
delle vite degli altri,
Un segreto, un errore o un gesto.
Vieni a svergognare i vincitori,
Salteremo dal ponte ridendo di noi stessi.

Contempleremo in silenzio le gru del porto,
Perché stare insieme in silenzio è
La più grande prova di amicizia.
Vieni con me, voglio cambiare paese,
Lasciare da qualche parte questo mio corpo
E infilarmi con te in una conchiglia,
noi due minuscoli come lumache.
Vieni, ti aspetto,
Continueremo la storia interrotta un anno fa,
Come se non avessero un anello in più
le betulle bianche della riva.



El río
Il fiume

En otro tiempo hubo un río aquí,
donde ahora hay bancos y losetas.
Hay más de una docena de ríos bajo la ciudad,
si hacemos caso a los más viejos.
Ahora es sólo una plaza en un barrio obrero.
Y tres chopos son la única señal
de que el río sigue ahí abajo.

En cada uno de nosotros hay un río oculto
a punto de desbordarse.
Si no son los miedos, es el arrepentimiento.
Si no son las dudas, la impotencia.

Un viento del Oeste azota los chopos.
La gente avanza a duras penas.
Desde el cuarto piso una mujer mayor
está tirando ropa por la ventana:
tira una camisa negra y una falda de cuadros
y un pañuelo de seda amarillo y unas medias
y aquellos zapatos que llevaba
el día de invierno que llegó del pueblo.
Unos zapatos de charol, blancos y negros.
En la nieve, sus pies parecían avefrías congeladas.

Los niños echan a correr tras la ropa.
Al final, ha sacado su vestido de boda,
se ha posado sobre un chopo, torpemente,
como si fuera un pájaro grande.

Se oye un gran ruido. Se asustan los transeúntes.
El viento ha arrancado de cuajo uno de los chopos.
Las raíces del árbol parecen la mano de una mujer
mayor,
que espera que cuanto antes otra mano la acaricie.

In altri tempi, c’era un fiume
qui dove ora ci sono panchine e mattonelle.
Sotto la città ci sono oltre una dozzina di fiumi,
se diamo retta ai più vecchi.
Oggi è solo la piazza di un quartiere operaio,
tre pioppi sono l’unico segno
che là sotto scorre ancora un fiume.

In ciascuno di noi c’è un fiume nascosto
che sta per straripare.
Se non è la paura, è il pentimento.
Se non sono i dubbi, l’impotenza.

Un vento da Ovest sferza i pioppi.
La gente avanza a fatica.
Dal quarto piano una donna anziana
sta buttando vestiti dalla finestra:
butta una camicia nera e una gonna a quadretti,
un fazzoletto di seta gialla e dei collant;
e le scarpe che portava
quel giorno d’inverno, quando è arrivata dal paese.
Scarpe di vernice, bianche e nere.
Nella neve, i suoi piedi sembravano colombi congelati.

I bambini si mettono a correre dietro ai vestiti.
Per ultimo, ha tirato il suo vestito da sposa
che si è posato goffamente su un pioppo,
come se fosse un enorme uccello.

Si sente un gran rumore. Si spaventano i passanti.
Il vento ha sradicato di netto uno dei pioppi.
Le radici dell’albero sembrano la mano di una donna
anziana
che aspetta che al più presto un’altra mano la
accarezzi.

(da Mientras tanto dome la mano, 2003)   Traduzioni di Attilio Castellucci



 Laia Noguera i Clofent

Jo no camino.
És la terra que em camina.
Em caminen les alzines.
Els líquens i les pedres em caminen.
Em caminen els ocells.

Em camina tot el cel sobre l’esquena,
sobre el cap.
Em camina sota els peus,
sota el cor i la mirada.
I jo no sóc.

Jo no sóc res.
Sóc la fulla,
l’ombra petita de la fulla,
la mica d’airet que fimbreja
dintre l’ombra petita de la fulla.

Jo no camino.
No camino ni parlo,
perquè és ella la que parla:
la terra que em camina per damunt
de tot el que em penso que sóc.
Io non cammino.
È la terra che in me cammina.
In me camminano le querce.
I licheni e le pietre camminano in me.
In me camminano gli uccelli.

Sulle mie spalle, sulla testa
cammina il cielo intero.
Cammina in me, sotto i piedi,
sotto il cuore e lo sguardo.
E io non sono.

Io non sono niente.
Sono la foglia,
l’ombra piccola della foglia,
l’impercettibile oscillare dell’aria
dentro l’ombra piccola della foglia.

Io non cammino.
Non cammino né parlo
perché è lei a parlare:
la terra che mi cammina sopra
tutto quello che penso che sono. 

(da Caure, 2011)

Estimo la vida petita
de seure a l’entrada
per veure com passa la gent,
com es mou un pardal,
com s’inclina la tarda
en les cases del cos.

Ja sé que em moriré
molt abans que s’hagin mort
els arbres que m’estimo.

Però no m’amoïna gens,
perquè en l’instant
en què se’m trenqui l’últim fil
seré només aquella dona
que s’asseia a l’entrada
per mirar simplement
i ser fulla i arrel.
Amo le piccole cose della vita,
sedersi alla porta
a vedere come passa la gente,
come si sposta un passero,
come si allunga la sera
nelle case del corpo.

So già che morirò
molto prima che siano morti
gli alberi che amo.

Ma non m’importa affatto,
perché nell’istante
in cui si spezzerà il mio ultimo filo
sarò nient’altro che quella donna
che si sedeva alla porta,
semplicemente per guardare
ed essere foglia e radice. 

(da Parets, 2011)  Traduzioni di Attilio Castellucci


 

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Iniziative
5 marzo 2025
Il testo-natura. Presentazione di Semicerchio 70 e 71, Roma Sapienza.

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Guida alla mostra delle copertine, rassegna stampa web, video 25 anni

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Dante cinese e coreano, Dante spagnolo e francese, Dante disegnato

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