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« indietro STELVIO DI SPIGNO, La nudità, Postfazione di Fernando Marchiori, Fano (PU), peQuod 2010, pp. 96, € 12,00.
![]() Sì, certo, c’è anche «la lampada votiva della luna», ma c’è soprattutto il «sole», ed è sotto questo sole e la sua luce che si svela La nudità, la quale, se avesse mai qualche contiguità con la solitudine, ne fornirebbe qualche indizio in diversi punti del volume. Un sole variato in «solo» (sotto forma avverbiale, sostantiva, aggettivale singolare e plurale) e, in un paio di casi al meno, in «sale». Il sole dà luce a momenti di riappropriazione di se stessi, di persone e cose; in sua presenza è lecito, o giusto, essere soli, o stare soli o solo stare, e par lare così, «solo» per parlare, tanto necessariamente quanto gratuitamente. Tutta via, se la Formazione del bianco, titolo del libro precedente, avesse voluto indicare l’azione di stesura della scrittura, qualora il bianco avesse rappresentato metonimica mente la pagina bianca, ora che la pagina bianca è formata, cioè scritta («questo foglio che a fatica posso dire di aver cambiato / di colore qua e là»), essa rivelerebbe la propria ‘nudità’, sia nel senso di verità dantesca che in quello di presa di coscienza della propria esposizione fragile e indifesa al mondo. Condizione umana è quella di rimanere di sale o «sotto sale» come abitando un inferno/purgatorio che guarda, mira, tende – un impervio che ‘risale’ – a un paradiso di cui il sole può essere metafora, caricandosi di una componente mistica, di una religiosità metafisica. Il cielo in una stanza è lo spazio prevalente di questo libro incentrato sull’autoreferenzialità («stare al mondo è lasciarsi acconsentire / confiscati in un luogo che sarà per sempre quello»). E la luce di una «sera quando scende, ma poi / non è vero che scende» (come pensò Dedalus nell’attimo di rivelazione della sua prima epifania), «non è altro che noi che la guardiamo», mentre «se la notte è oscura, è perché nessuno la guarda». È una trasparenza appannata («tempo opaco»): trasparenza in cui noi ci trasferiamo, filtriamo («attraversare l’aria»), trasformiamo; appannata perché, nono stante la frantumazione dell’io, una sottile vena moraleggiante, un po’ arbitraria in quanto frutto dell’univoca propria educazione sentimentale, perdura come atto riflesso, vizio, abitudine, momento rituale in cui, ad esempio, confluisce anche il verso finale, accogliente a mano tesa all’apparenza, ma di distacco ed esclusione ironica sostanziale («mentre siamo niente, fratello, siamo niente»).
(Giuseppe Bertoni) ¬ top of page |
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