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« indietro RONALD AUGUSTO. Confissões aplicadas. Porto Alegre: AMEOP, 2004, 124 pagine, s/p.
La produzione poetica di Ronald Augusto si caratterizza per il coraggio e per la sottile e corrosiva sperimentazione del mondo del linguaggio, come indicano queste parole dell’autore: «La poesia è un oggetto strano, una contraddizione che si processa alla radice della funzione meramente comunicativa del linguaggio [...]. La realtà che la poesia analizza e allo stesso tempo finge rivelarci appare ai nostri occhi trasformata in immagine indecisa e in conflitto con quella realtà che fino a poco prima credevamo di conoscere come il palmo della mano».
La poesia di Ronald Augusto, di cui il suo più recente lavoro è prova inequivoca, causa un certo straniamento nel lettore esattamente perché il poeta opera una provocazione radicale all’interno del linguaggio, facendo uso di un ritmo sincopato e responsabile per un’estetica che non si rassegna di fronte alla parola mimetica o descrittiva della realtà. La realtà di cui ci parla Ronald Augusto è molto vicina, ma irriconoscibile, dislocata, coperta da nuovi significati. Questo reale è trasformato dalla parola poetica, esattamente come avviene nel processo comunicativo orale, in cui significati cristallizzati dalla scrittura sono costantemente reinventati, riadattati. Ed è precisamente grazie all’apporto dell’oralità – un’oralità trasfigurata dai tagli ermetici della poesia – che Ronald Augusto realizza l’alchimia tra ciò che suona famigliare e ciò che suona strano, tra ciò che è riconoscibile come radice culturale afro-brasiliana e il modo come questo elemento si comporta messo a contatto e in dialogo con altri elementi attuanti nel composto poetico. Da questo incontro tra universale e individuale, nasce l’improvvisazione, l’interruzione (ritmica, sintattica, semantica).
Ronald Augusto lavora con maestria a partire da questo paradosso, tra la costruzione di un’oralità e di determinati riferimenti culturali (dove è possibile riconoscere elementi legati all’eredità afro-brasiliana, come il riferimento a «capoeira», «samba», «senzala», «lundi», ecc.), e lo smantellamento di un concetto di oralità «pura», operando interferenze linguistiche, visuali, performatiche a più livelli.
Ne consegue una preoccupazione con la sonorità dei testi, nel tentativo di riprodurre, come fanno i musicisti durante le jam sessions, le aperture e gli improvvisi senza cadere in falsi virtuosismi, lasciando quindi fluire il discorso poetico d’accordo con il ritmo scandito dai piacevoli imprevisti del discorso orale.
Prisca Agustoni
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