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« indietro FERDINANDO BANCHINI, In altre lingue. Poesie tradotte, Castel Maggiore, Book Editore, 2005, pp. 127.
Ferdinando Banchini (classe 1932), poeta e saggista, attento studioso di letteratura francese è affetto da «un vecchio vizio» che lo spinge ad una strana coazione a ripetere: scrivere poesie, e per questo ritorna, tradotto ‘in altre lingue’, con una rosa di trentotto componimenti che hanno il merito di rendere nota la sua opera a chi non la conoscesse già. L’operazione editoriale è vincente dato che la Book edizioni propone nella prestigiosa collezione «Minerva» una discreta silloge con traduzione a fianco dal francese, dall’inglese, dallo spagnolo e dal portoghese.
Il lettore può quindi non solo soffermarsi dinanzi alla musicalità del verso di Banchini ma cogliere anche le mille sfumature e il ritmo che Charles Astruc, Monique Baccelli, Paul Courget e, soprattutto, la maestria di Jean-Marie Le Ray hanno saputo trasmettere in lingua francese; Francesca Biagi e Anna Cenacchi in inglese; Giovanna Cuccia e Carlos Vitale in spagnolo e infine Jean-Paul Mestas in portoghese (anche se l’autore confessa di non aver saputo resistere alla tentazione di interferire, seppur «in pochi casi»).
La poesia di Banchini – avvicinata non a torto da molti critici a certo Ungaretti, a Campana, a Onofri e «forse» Jahier – è carica di senso della vita e della dignità dell’uomo, è ricca di suggestioni terrene che non lesinano però sguardi verso il cielo, è densa di musicalità anche dove il tema la spinge, volutamente, verso il prosaico. Schietto e diretto nei versi polemici rivolti A certi signori «[…] Lo so, io mi condanno / a restare musone e solitario, / a esser detto maniaco ed egoista. / Meglio che caudatario. // Poi, è vero: amo poco. / Amo soltanto la mia dignità. / e odio tutto il resto, e soprattutto / detesto la viltà.»), il poeta si fa ironicamente cantore di un mondo ormai stanco e annoiato «del tempo che passa» attraverso i precetti à la page de Il nuovo verbo. Banchini trova anche parole di disprezzo per tutti gli arrivisti, che aspirano ai celebri quindici minuti di celebrità, in una chiusa sarcastica e ‘a lieto fine’: «[...] Ma finalmente il tuo nome è comparso su un / periodico noto, / quarta pagina in basso: “Lettere al direttore”.» (Tristi considerazioni a lieto fine). Ma sa anche incidere di rara bellezza e limpida asciuttezza le sue poesie con la dura pietra della memoria e del ricordo: «Germinano dall’arido deserto / del cuore serene pianure / in chiarità di cieli, / e golfi lenti d’ombra e di silenzio, / e giardini segreti / dove sono leggeri / uccelli dalle ali d’argento. [...]» (Paesaggi interiori).
Non mancano infatti le liriche più intime, più intimamente legate al bisogno, tutto umano, dell’attesa (che diventa, significativamente al plurale, titolo di una sua raccolta del ’95), dell’ineludibilità della morte in forma di preghiera straziante, ossimoricamente tramutata in inno alla Vita: «Non desistere, vita, trafiggi buio / e silenzio, oltrepassa i giardini sfatti / dell’inverno, le tristi favole annulla. // [...] Ora arranca, mia vita, con pena sgretola le fragili muricce che ti si parano / innanzi. Sii tenace in te, pazïente.» (Esortazione). Vita e morte, gioia e rassegnazione sono cifra indicativa della produzione più recente del poeta. Esemplari i versi di In treno: «Sii lodato, Signore, per tanti campi /e prati e ameni borghi e vigne e casali / e greggi, e il mare lontano coi suoi lampi / d’azzurro, e le ginestre accese sui poggi. // [...] Sii lodato, Signore, per il buon libro / che scorta è di parole lungo il viaggio / e di pensieri. Bellezza anch’esso, raggio / della tua luce e nostra, volo d’allodola // [...] Ma forse un’inattesa compagna, tacita / e perentoria, m’obbligherà a discendere, / non so dove né quando. Sii tu lodato / per quanto hai già disposto e in cui ti compiaci.»
E in quest’inno alla vita, in questo cantico di speranza e in questa evidenza del transeunte, dove «[...] Anche i continenti sono effimeri.», Banchini si affida alla poesia che diventa àncora di salvezza, capace di far «trovare nell’unico il molteplice, / l’universo nel limite del singolo, / nel più intimo io quello di tutti.»
Nadia Rosso ¬ top of page |
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