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« indietro FLORINDA FUSCO, Il compleanno e altre opere, Ancora, Argolibri, 2022, pp. 227, € 16,00.
A colpire, con evidenza potremmo dire fisica, nel nuovo volume di Florinda Fusco, è anzitutto l’aspetto tipografico. Dopo l’anomalia nella disposizione dei versi che caratterizza le sue prime opere – in ordine di pubblicazione Linee (2001), Il libro delle madonne scure (2003), La signora con l’ermellino (2009), riproposte ora dopo essere state già riunite sotto il titolo di Tre opere nel 2009 per Oedipus – ‘gettati’ sul bianco della pagina con orientamento della scrittura lungo il lato lungo del foglio, che costringe il lettore ad impugnare l’oggetto-libro come se fosse un rotolo di carta, si torna ora alla verticalità dell’apparentemente più canonica ‘colonna lunga’ de Il compleanno, quarta delle opere della presente pubblicazione. È una diversa postura di scrittura che induce, in modo meccanico e conseguente (per l’obbligo di ruotare il volume), una diversa postura di lettura. Si noti, preliminarmente, che, rispetto alla ‘canonica anomalia’ delle opere precedenti (canonica per l’autrice), dove si riscontra un’elasticità a fisarmonica delle linee capaci di contrarsi ed allargarsi alla bisogna, la ‘canonicità eccezionale’ de Il compleanno snocciola un singhiozzante andamento di versicoli, costituiti solitamente da un unico lessema, quando non da una preposizione.
Le anomalie, oltre al piano tipografico – che hanno vistose ricadute metrico ritmiche – investono anche il piano della dispositio delle opere, il che induce a riflettere sull’aspetto macro-testuale. Sovvertendo l’usuale anteposizione, nella prassi di libri ricapitolativi, dei testi più antichi, secondo uno schema evolutivo e progressivo, Fusco colloca in apertura l’opera più recente e man mano retro cede. Avremo così un ordine dei testi esattamente opposto a quello di pubblicazione, ordine che potremmo dire etimologicamente ‘regressivo’: sicché la destabilizzante «debolezza statutaria» dei testi della Fusco, sottolineata già da Marco Berisso e poi ripresa da Giancarlo Alfano nel profilo dedicatole in Parola plurale (2005), che comporta la sensazione di trovarsi di fronte a «‘tessere’ di un mosaico in cui non si compone alcun disegno», è parzialmente risarcita da una calcolata meccanica attiva sugli insiemi macro-testuali. La disposizione dei testi e il conseguente senso di lettura delle opere è infatti assimilabile, per usare una similitudine geologica, a quello dell’analisi stratigrafica: man mano che si discende si incontrano sequenze sedimentarie di diversa composizione testimonianti epoche diverse, solitamente dalla più recente (quella di superficie) a quelle più antiche (quelle inferiori): «si ammassa pietra lavica / che lentamente spargo fino a coprire il mondo», come riassumono dei versi de La signora con l’ermellino (p. 111). Ne discende che anche il cambio di disposizione dei versi sulla pagina testimonia il formarsi di uno ‘strato’ dalla diversa grana. Cercheremo di metterne in luce alcune caratteristiche peculiari.
Anzitutto, chi parla nei testi di Fusco? Proprio per la qualità materica dei suoi versi – spesso di grandissima intensità – l’attenzione critica si è più concentrata sulla questione del soggetto che non sull’individuazione dei temi. L’entropia del dettato è soluzione espressiva dettata dall’assenza di un io ‘forte’, che lascia spazio ad un soggetto epidermico, sottilissimo diaframma dedito alla «pura registrazione dei due flussi, interno ed esterno, della comunicazione» (ancora Alfano), tra pulsione inconscia e pressione sociale. Questa attenzione nei confronti della percezione tende ad un’identificazione tra soggetto e soma. Verso un’interpretazione ‘biologica’ del volume sembrano effettivamente puntare anche le sue soglie. Dei due testi che lo aprono e chiudono – rispettivamente (auto ritratto) e la Notizia bio-bibliografica –, il primo è propriamente un testo poetico privo di qualsiasi elemento riconducibile alla scrittura autobiografica (uno stralcio: «qualcuno c’è, qualcuno va via, qualcosa rimane, qualcosa scompare, all’improvviso, qualcosa ti ascolta, nell’aria, non ascolta, il giorno, la notte, ricogliere, un qualcosa, perduto nel tempo, un giorno, non si sa quando, aspettare, quando»). Il secondo è una asciutta nota informativa sulla sua attività di scrittrice, dalla quale è però escluso, presumibilmente in modo intenzionale, qualsiasi elemento riconducibile al bios. Ancora di più ci ‘dicono’ le immagini della prima e della quarta di copertina: una donna rinascimentale il cui volto è reso irriconoscibile da segni neri (di elaborazione dell’autrice, come precisato in una conversazione con Renata Morresi rinvenibile su youtube), quindi un’identità cancellata o in corso di cancellazione; mentre una volta chiuso il volume troveremo, sul retro, la stessa cornice ovale del ritratto, tuttavia completamente nera al suo interno. Il che ci porta a due alternative: a) la figura è stata completamente cancellata, ‘annerita’; b) in un moto anche qui ‘regressivo’, siamo giunti al centro generatore, che è proprio quel buio: non l’identità (il volto), ma la ferita originaria del soggetto (il nero incorniciato da cui qualcosa emerge). Cercando di far convergere le due ipotesi, sembra di poter ritenere che l’operazione di Fusco consista in un tentativo di continua cancellazione dell’identità individuale verso quello ‘zero’ generatore, l’ovale del ritratto (che si riproduce graficamente ad ogni componimento: tutti numerati, tranne il Libro delle madonne scure, in serie progressiva 0.1, 0.2, 0.3…). Da quell’ovale fileranno via nere catene di significanti, segni da cui sarà possibile cogliere in trasparenza alcuni traumatici punti roventi, che sono quelli della soggettività femminile negata.
Ora, se sul piano del soggetto poetico la situazione de Il compleanno rimane invariata, l’entropia e dei materiali e delle personae che ‘parlano’ nel testo è invece cambiata dopo La signora con l’ermellino: se prima ci si divideva tra prima e seconda persona ed uso imperativo dell’infinito, ora la scena è dominata quasi esclusivamente da una voce il cui esercizio fondamentale è una forma di autopercezione straniante. Ciò accade su tre piani. Anzitutto, su quello ritmico, con il già citato sillabato che ricorda i movimenti disarticolati di una marionetta. Poi su quello tematico, per l’insistenza sull’atto della vista, dove il corpo è percepito dal ‘di fuori’, e spesso in uno specchio, nella cui immagine però non si identifica (sintomatico il ricorrere dei verbi «guardo», «vedo» e di parti del corps morcelé). Infine, su quello della sintassi degli elementi del ‘vocabolario poetico’, dove emerge da un lato la ricorsività, dall’altro la variazione nell’assemblaggio, dando l’impressione di trovarsi in uno spazio solo mentale (cfr. la scena ospedaliera di 0.8 pp. 22-23, dove gli elementi della festa – il rossetto, lo specchio, la foto di famiglia – sono quelli che si trovano sul comodino di fianco al letto di degenza).
L’effetto straniante è insomma funzionale ad una disidentificazione. Ciò suona ‘strano’ se si pensa che la ‘scena’ intorno a cui ruotano le trentatré parti dell’opera, quella della festa di compleanno dovrebbe essere sia un momento di condivisione con gli altri – particolarmente nel gesto simbolico di mangiare insieme ed essere ‘compagni’ (etimologicamente: cumpanis) – sia il momento di riconoscimento, da parte della comunità, della propria identità. Nel caso di Fusco, invece, esso si capovolge in un'occasione di solitudine: ad essere privilegiati sono il dialogo con i morti («Dico a voi: “Tacete- / i discorsi / umani / fanno / paura / ai morti”» 0.4 p. 16), mentre la storia personale è rimossa nei suoi traumi fondativi («Non ho più / storie / da raccontare – / solo / una memoria / prosciugata» 0.11 p. 26). A questo pranzo ‘mentale’ («questa / testa / è / una stanza / lunare» 0.23 p. 43) è possibile servire solo gli ultimi sfilacciati brandelli mnestici («Nei piatti / brandelli / di memoria / serviti come / pezzi di animale») raggrumati intorno a oggetti-ricordo «ghiacciati» (0.22 p. 41) nel loro nudo «significare / peso e perdita», come si può chiosare con uno dei più glaciali componimenti di Documento di Amelia Rosselli, autrice molto frequentata da Fusco anche in veste critica. La ferita è esposta («Eccomi qui / seduta: / guardatemi. / Sotto / i vestiti / sul seno / qualcosa / macchia / la camicetta / di rosso / giù dal / colletto» 0.30 p. 51) ma chi concorre a questo banchetto deve rimuoverla, così come lo stesso soggetto è chiamato a fare («Gli invitati / chiacchierano, / ridono, / fingono / di / non / vedere. / Io, / fingo / di / non / sentire» 0.30 p. 52: ‘sentire’ qui ambiguamente riferibile tanto al chiacchiericcio esterno quanto al trauma patito).
«Cercatemi e fuoriuscite», suonava un verso ancora di Rosselli; «mi cercherete / e non mi vedrete» dichiara a sua volta Fusco. Verso il finale dell’opera, infatti, l’autopercezione straniante vira più decisamente in un tentativo di uscita da una dimensione corporea avvertita come gabbia. Se si può alla fine de Il Compleanno affermare che «Perdo / l’alfabeto / dalle dita, / dalla testa – / la lingua / si scioglie» (0.33 p. 56), lingua con cui all’inizio si identificava («Sono / la mia / lingua» 0.3 p. 13), vorrà dire che la fuoriuscita da quel corpo-lingua sarà stata davvero compiuta? La risposta, nonostante tutto, non sembra affermativa. Se il corpo giace a terra e il soggetto fluttua in aria («A voi / ho lasciato / il mio corpo. / Ora cammino / nell’aria» 0.33 p. 56) fino ad avvertirsi sdoppiato e a vedere il mondo scomparire sotto ai suoi piedi («Guardo / in giù / e vedo / da lontano / la mia testa, / le mani, / le gambe. / Sotto / i miei piedi / la mappa / del mondo / si è appena / cancellata» 0.33 pp. 56-57), è plausibile che seguirà una nuova caduta nel corpo e nella lingua, in quanto rimane come assunto fondamentale l’essere, il soggetto, corpo e lingua: così da dover tornare, nonostante tutto, al suo personalissimo inferno.
(Lorenzo Morviducci)
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