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ANDREA LANDOLFI, Intorno a Hofmannsthal. Contributi 1982-2022, Artemide, Roma 2022.
 
“[…] Nulla è più nascosto di quello che abbiamo sempre in bocca”, scriveva Hofmannsthal nel suo Buch der Freunde (Il Libro degli amici), pubblicato nel 1922 ma costruito attraverso una raccolta di aforismi e aneddoti propri e altrui raccolti per lunghi anni. Una frase che ben sintetizza la poetica dell’intera produzione hofmannsthaliana che, dipanandosi per circa un trentennio, trova il suo nucleo in quel concetto nietzschiano dell’eterno ritorno dell’antico, intendendolo però, in senso positivo, come quell’eterno movimento in cui l’antico si propone comunicando il suo messaggio in nuovi linguaggi che impongono capacità di ascolto e attenzione. È nella tarda produzione saggistica di taglio politico che questo concetto trova la sua più pregnante definizione nell’idea di “rivoluzione conservatrice” o, ancora, in quella di “restaurazione creativa”, una crasi perfetta tra la consapevolezza dell’ineludibile potere della tradizione e, allo stesso tempo, della necessità del progresso e del cambiamento. Se è vero che nella seconda metà del Novecento gli studi di Carl Emil Schorske, Claudio Magris e William Johnston mostrano che l’atteggiamento nostalgico e la tendenza al conservatorismo sono una caratteristica distintiva della cultura mitteleuropea, lo è anche che Hofmannsthal dimostra di aver introiettato questa visione sin da giovanissima età: nella consapevolezza che in quanto erede della tradizione romana e latina l’Austria disponga di un’essenza imperiale, già alla fine dell’Ottocento il poeta celebra i segni di questo nobile lignaggio aderendo a una forma di estetismo sui generis. Pur attestando la centralità del segno, del simbolo, pur interpretando e comprendendo il linguaggio segreto delle cose, l’incessante lavoro poetico e poietico che compie negli anni attraverso la sua produzione poetica prima, narrativa, drammaturgica e saggistica poi, è quello di consentire a un numero sempre maggiore di persone di comprenderne il significato. Suo fine è quello di non chiudersi nella torre di avorio di una esistenza eletta e solitaria ma, piuttosto, quello di condividere i risultati della sua ricerca con il mondo, contrastando lo sgretolarsi progressivo di una lingua non più capace di rendere il nesso tra significante e significato sperimentando rinnovati codici di comunicazione. Tornare sull’antico per ridargli vita, forma e senso: questo, dunque, il motto dell’opera di Hofmannsthal e anche quello di questo volume di contributi di Andrea Landolfi, che celebra con queste pagine un quarantennio di attività di studio, traduzione e ricerca “intorno”, come recita il titolo del volume, alla persona e alle parole del poeta austriaco.
Se è vero, come scrive Landolfi nelle prime righe dell’introduzione al volume, che “[i]n molte opere di Hofmannsthal, e in generale nell’articolazione del suo pensiero, l’elemento circolare, o meglio, spiraliforme è forte e insistente” (p. 9), spiraliforme è anche l’attenzione critica che Landolfi dedica a un autore a lungo frequentato: ritornare nel tempo sui suoi scritti non equivale solo e sempre ad affrontare con nuovo piglio critico e con nuova prospettiva di indagine snodi estetici e tematici del pensiero ma, come in questo caso – in cui i materiali sono riproposti nella loro forma originaria, salvo poche correzioni – a descrivere il percorso di avvicinamento progressivo all’autore e alla sua opera, celebrato anche in anni di colloquio, insegnamento e confronto con i propri maestri e modelli. I saggi raccolti in questo volume si integrano e dialogano con una più ampia ricerca sull’opera dell’autore austriaco già celebrata nel volume Hofmansthal e il mito classico, pubblicato per lo stesso editore nel 1995 e ridato alle stampe nel 2013 (si veda a tal proposito Semicerchio LVI 0I, 2017, pp. 119-120).
Divisi in tre sezioni che ne scandiscono il taglio tematico o formale, gli scritti che compongono questa raccolta sono ordinati in ordine cronologico. La prima sezione, intitolata “Saggi e interventi”, ruota intorno al nucleo centrale del rapporto con l’antico e con la tradizione. Sebbene venga reso omaggio all’aspetto rivoluzionario della primissima produzione lirica giovanile, nella quale si ribadisce la particolarità della produzione hofmannsthaliana, ribadendo la prodigiosità della sua scrittura in quei “magici istanti di agnizione in cui l’esistenza sembra rivelarcisi nella sua essenza” (p. 176), è soprattutto alla produzione drammaturgica che Landolfi dedica la sua attenzione analitica, riconoscendo in essa, come già accennato in precedenza, l’elemento innovativo del rapporto di Hofmannsthal con la tradizione, la cifra essenziale della sua scrittura “restaurativa” che non cede tuttavia alla lusinga dell’isolamento ma si presta alla necessità di essere comunicata, condivisa e tramandata. In questo senso la maggior parte dei contributi di questa sezione esplora ancora una volta il rapporto con il mito e la tradizione, in particolare nella produzione teatrale, nella costruzione di un librettismo visto come un “bisogno di attribuirsi dei limiti, di porre un argine a una tendenza ‘romantica’ verso l’illimitato […] che [Hofmannsthal] avvertiva come un’insidia e una tentazione mortale” (p. 79). Ad essere indagato è anche il rapporto occupato nella scrittura hofmannsthaliana dalla commistione con altri linguaggi artistici, in primis con la musica, della quale è riconosciuto l’alto valore terapeutico. Proprio in virtù dell’attenzione riservata ai linguaggi non verbali e al piglio deciso rispetto alle questioni di scena, si sottolinea come Hofmannsthal, per la prima volta, interrompe la tradizione che vede il lavoro del librettista come gregario a quello del compositore o del regista, sancendo, come giustamente sottolinea Landolfi, la pari dignità delle rispettive esigenze e delle competenze di tutti gli attori coinvolti nella creazione dell’opera d’arte.
Con la sicurezza derivante da un rapporto con l’autore che non è solo di tipo critico ma anche di tipo linguistico, in considerazione delle traduzioni pubblicate negli anni, Landolfi si muove con sicurezza e piglio in tutte le analisi delle opere hofmannsthaliane affrontate, ma è in particolare agli studi condotti sul Prologo all’Antigone di Sofocle (pubblicata per la prima volta nel 2015), che va riconosciuto un taglio di grande originalità nell’ambito della ricerca sull’autore. È esattamente in questo testo, infatti, che Landolfi scorge il segno di un’epifania non propriamente realizzata di una figura mitica della tradizione, che avrebbe tuttavia necessitato di un nuovo smalto, al fine di restituire alla sua triste vicenda un finale diverso, tale da rendere Antigone un contraltare di Elettra. Purificandola e salvandola dalla morte tragica, Hofmannsthal riteneva possibile, secondo Landolfi, trasfigurare il mito di Antigone in una immagine muta, eterea, colta nell’atto di rivendicare il suo sacrosanto diritto all’astrazione, al sogno, a una dimensione di definizione personale slegata da qualsiasi elemento del passato, da qualsiasi tara che potesse predeterminarne il destino e le scelte (pp. 43- 44). A più riprese Landolfi sottolinea che la ricerca su Hofmannsthal ha negli anni sottovalutato la forza sovversiva di questo piccolo scritto, composto nel 1900 come preludio a un’opera teatrale sull’Antigone mai scritta, “un vero e proprio manifesto di poetica assai più ‘personale’ e impegnativo di quanto non sarà, tre anni più tardi, il tanto più noto, più studiato e più celebrato Brief” (p. 98).
Nella seconda e terza sezione del volume, intitolate “Recensioni e scritti minori” e “Compagni di strada”, Landolfi accompagna il lettore nella sua officina: un rapporto così lungo con l’opera di Hofmannsthal sarebbe infatti stato impossibile se in dialogo ci fossero stati solo l’autore con i suoi testi e il critico con la sua capacità di interpretarli. La reale comprensione dell’opera di un autore si costruisce a partire da una polifonia di voci che concorrono a ridefinire, contornare e mettere a fuoco le idee, il contesto in cui questi nasce ed opera, nonché l’orizzonte di ricezione che lo accoglie nel tempo. Nel confrontarsi con i densi materiali dei carteggi di Hofmannsthal con la contessa Ottonie Dagefeld, Richard Strauss e Max Mell, solo per citarne alcuni degli esempi, Landolfi riconosce un sodalizio intellettuale tra questi personaggi e Hofmannsthal, che utilizza il rapporto con loro per muoversi verso quella “Geselligkeit in cui pare rappresentarsi il senso vero e più alto della sua maturità” (p. 230).
Come accennato in apertura, l’opera di Hofmannsthal non sarebbe stata la stessa se questi non si fosse confrontato con le mode, le tendenze e le vibrazioni del suo tempo: Landolfi individua quelle provenienti dall’Oriente geografico dei paesi satellite dell’Impero, fuso in un unico territorio in un sogno “sconsolatamente irrealizzabile” (p. 114), con quello di un Oriente solo fiabesco e privo di connotati storici, nel quale “purificare la ‘frivolezza assetata di piacere’ dell’Occidente” (ibidem). Ma ad essere attraversate sono anche le atmosfere della Grecia di cartapesta e quella della Grecia reale, nonchè quelle della geografia mediterranea della Sicilia, nella quale Hofmannsthal giunge nel 1924, in compagnia dell’amico Burckhardt, sulle orme di Goethe, e nella quale ha per la prima volta il segno della propria “irredimibile modernità” fatta di “frantumazione”, di “fittizia contrazione dello spazio e del tempo”, di “promiscuità etnica e nazionale” (p. 239). Non da ultimo si arriva all’esperienza veneziana, città epifanica per il poeta, nella quale ai suoi occhi si rivela la potenza dell’eros, percepito come presenza, e allo stesso tempo “il senso della propria vocazione e del mondo” (p. 305).
Occuparsi di Hofmannsthal – questo Landolfi lo dimostra nell’ultima parte della raccolta – significa anche rileggerlo attraverso gli occhi di altri autori per i quali il pensiero dell’intellettuale austriaco ha costituito un elemento di confronto e crescita imprescindibile. I compagni di strada selezionati da Landolfi sono illustri: vi compaiono, solo per citare due esempi, il suo amico fraterno Leopold von Andrian, che percorre rispetto a Hofmannsthal una parabola discendente verso l’ammutolimento (p. 262) e il più celebre Thomas Mann che condivide con Hofmannsthal il dramma umano e familiare del conflitto generazionale con i figli, culminato, in entrambi i casi, nel più tragico dei modi.
Non si può non dedicare qualche ultima parola ai contributi dedicati ad alcune delle traduzioni hofmannsthaliane pubblicate nel nostro paese. Landolfi è il primo a dedicare attenzione alle traduzioni del suo omonimo Tommaso Landolfi, che pur non apprezzando appieno lo stile e i temi della produzione del poeta e drammaturgo austriaco, lo sottrae dalla pompa del dannunzianesimo con la quale era diffuso nel nostro paese negli anni Cinquanta, restituendo ai suoi testi, attraverso l’alternanza tra registri linguistici, il diverso spessore impresso da Hofmannsthal stesso ai suoi personaggi (p. 281). Ma Andrea Landolfi è, come già sottolineato, egli stesso traduttore di Hofmannsthal. Una giuria di esperti ha recentemente motivato il perché il volume Nel centro di ogni cosa, la traduzione di una selezione di poesie hofmannsthaliane uscita per i tipi di Del Vecchio Editore nel 2021, abbia meritato l’attribuzione del prestigioso premio Benno Geiger. Ma è Landolfi stesso, in occasione della sua nuova traduzione del romanzo Andreas i Riuniti (pubblicato per Del vecchio nel 2019) e di una conferenza tenuta all’università di Monaco il 24 maggio 2018 a spiegare il senso e la finalità di occuparsi della traduzione di un’opera come l’Andreas, per giunta incompiuta. Quelle parole, riferite alla traduzione di un solo e unico testo hofmannsthaliano, spiegano in realtà il senso di questa intera operazione editoriale che riprende vecchi materiali per riproporli a un pubblico rinnovato per gusti, attenzione, vissuto e sensibilità: “Una giovane persona dei nostri anni può farsene ancora qualcosa, oggi, del Cavaliere di Malta Sacramozo e delle sue alte esigenze, della fanciulla Romana e del suo cuore intero, della creatura bifronte Maria-Mariquita o della malinconia di un poeta che sente ormai vicina la propria morte? Probabilmente sì, seppure sotto stelle diverse da quelle della mia generazione e dietro sollecitazioni di un diverso Zeitgeist, che ovviamente si servirà di strumenti, anzi, di media, diversi, che condurranno quella giovane persona a considerazioni sul mondo, ancora, diverse, e a me forse non più comprensibili” (136).
Una cosa è certa: in questo percorso di dialogo tra la tradizione rappresentata da Hofmannsthal e la nuova sensibilità moderna, gli scritti di Landolfi qui raccolti, nel loro circuito spiraliforme, continueranno a lungo a costituire una bussola per orientarsi sicuri “intorno” a Hofmannsthal, al suo mondo e alla sua opera.
 
(Stefania De Lucia)

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