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« indietro «Sedavo il dolore ardente dei giorni
con l’acqua del canto poetico» I versi della Dama del Mondo, principessa persiana del Trecento [*]
di Domenico Ingenito
La Dama del Mondo (Jahan Malek Khatun, Iran, ca. 1324 - ca. 1382) è senza dubbio la maggiore poetessa medievale non solo di Persia, ma di tutto quell’universo islamico che, per otto secoli, ha disseminato di gemme letterarie uno spazio che va dall’Asia centrale alla penisola iberica.[1]
Al lettore italiano, nelle pagine che seguono, è concesso il privilegio di poter apprezzare non solo quella che è in assoluto la prima traduzione in lingua straniera di alcune sue canzoni, ma anche un documento di importanza straordinaria che aspira a rivoluzionare la percezione che abbiamo della poesia persiana classica. [2]
Al di là dell’altissimo valore estetico dei versi, l’importanza del Canzoniere della Dama del Mondo è determinato dalla presenza di un’introduzione autografa, in cui sono esplicitati i caratteri di una poetica nei termini del rapporto tra visibile e invisibile, sacro e profano, metaforico e reale in funzione della scrittura. Si tratta, inoltre, del primo documento letterario persiano, e islamico tout court, in cui viene affrontato il discorso del genere sessuale in relazione al canone poetico e alla trasfigurazione lirica del proprio vissuto personale.
Le 1413 canzoni della principessa injuide(contemporanea e concittadina del massimo poeta persiano di tutti i tempi, Hafez di Sciraz) si situano in quel patrimonio poetico persiano che è per eccellenza il luogo dove emergono sinteticamente le contraddizioni dell’incontro storico tra l’islam arabo e la tradizione culturale iraniana. Si tratta di un’alchimia che ha dato forma a una delle più ricche storie letterarie del mondo, e la cui eco, rielaborata in una personalissima forma di adesione al canone classico, riemerge nei versi della Dama del Mondo arricchita da un originale slancio erotico. All’interno dell’ecumene islamico medievale, la lingua persiana, priva di marche grammaticali del genere sessuale, è diventata la superficie epidermica dello stratificato e complesso rapporto tra maschile e femminile che fa della Parola il principale veicolo di permanenza della sensualità nella spiritualità: «il significato, come vergine, si lascia penetrare dalla maschia parola nel talamo dell’Eloquio», come preannuncia nel dodicesimo secolo il teologo Ahmad Ghazali, nelle sue Occasioni Amorose. [3]
Qui l’eros, più che allegoria del divino amore, è ponte verso le realtà superiori attraverso la mediazione dei sentieri del corpo. Il corpo non può farsi segno d’Amore se non è strumento di conoscenza superiore, così come la trascendenza non può essere rappresentata senza la raffigurazione delle membra umane, eccellenza estetica dell’intero atto di Creazione.
Nella sua presa di distanze dal dato biografico, la poetessa non nasconde mai il proprio genere femminile: non solo, nella propria introduzione si presenta esplicitamente come donna, ma sceglie anche un nom de plume, Jahan, «Mondo», che nel linguaggio poetico persiano è associato alla femminilità suadente e traditrice («non aspettarti fedeltà dal mondo, ché fragili ha le fondamenta / ed è come una perfida sposa che ha mille mariti», ci ricorda Hafez di Sciraz).
Il rimando all’io empirico femminile, seppur velatamente presente, non impedisce all’io lirico di rispettare pienamente il canone estetico persiano mostrando se stesso quale uomo posto ad amare un giovane dalle forme aggraziate, specchio della Bellezza divina. I versi di Jahan sono quindi pervasi da una particolare forma di omoerotismo letterario che, paradossalmente, è condizione canonica affinché anche una donna possa accedere alle camere intime del discorso poetico.
Considerando anche l’indifferenziazione sessuale che caratterizza la grammatica persiana, tradurre la Dama del Mondo in italiano comporta una profonda riflessione sul rapporto tra genere e creazione poetica seguendo un percorso divergente rispetto alle tendenze ‘sessualmente impegnate’ affermatesi nella poesia italiana degli ultimi cinquant’anni. Le costanti oscillazioni presenti nei versi di Jahan tra mascolino e femminino, omoerotismo di maniera e velato eteroerotismo, ci invitano a storicizzare meglio i modi socialmente ‘non lineari’ con cui la scrittura può essere vista innestarsi nel corpo. Perché fanno luce su uno strato più sottile dell’essere maschio e dell’essere femmina, dove il corpo è piacevolmente conturbante prima ancora di essere genere definitivamente compiuto e orientato in una direzione esclusiva.
È questo un modo per ‘amare in due direzioni’, doveamante e amato sono funzioni profonde di un’antropologia conscia della natura carnale del Divino: la lingua persiana, inebriante per dolcezza, consente questo scambio semiotico, capace di dare accesso a una rappresentazione totale della metafisica d’Amore.
Ma l’italiano non aiuta. Laddove il genere sessuale è confine certo tra le parole e i corpi, la traduzione dal persiano diventa un atto di aggressione permanente nei confronti di una fluidità amorosa che è di gran lunga più sovversiva della rivendicazione sociale di genere. L’obbligo di una scelta, sebbene mai definitiva, s’impone quasi ad ogni canzone tradotta seguendo il ritmo ora lento ora rapido della metrica quantitativa persiana.
In attesa che il panorama editoriale italiano riconosca con lungimiranza quanto necessaria sarebbe la pubblicazione di buona parte dell’opera della Dama del Mondo, offriamo in anteprima la traduzione integrale dell’introduzione autografa al Canzoniere accompagnata da una sele- zione di canzoni (ghazal, funzionalmente corrispondente al nostro sonetto) che possono essere rappresentative di alcune delle più ricorrenti modalità letterarie praticate dalla poetessa.
Le versioni qui proposte, pur sfidando apertamente il valore estetico dell’originale, purtroppo non sono all’altezza della sua densità di genere, erotica e poetica, estesa e multivocale. Limite che, come ogni margine invalicabile, diventa ulteriore stimolo per uno scavo sempre più profondo nel testo persiano, al fine di comprendere meglio e introiettare tutto ciò che non può oltrepassare il confine tra le due lingue. Di questo passaggio interiore il lettore attento può tuttavia cogliere i segnali incompiuti che tendono alla comprensione senza fine di chi, morta da tempo, non può che parlarci ad occhi chiusi.
***
Nel nome di Dio, il Clemente, il Misericordioso
Incomparabili elogi e profusione di omaggi al Creatore – esaltata sia la Sua Gloria, la Grazia Sua universale – che all’uomo concesse l’orgoglio dell’eloquio e lo distinse dalle altre creature per mezzo delle virtù eccelse della Parola.
All’Onnipotente che ai piedi dell’Adamo di fango
fece inchinare gli Angeli che sorreggono il trono divino.
All’Artista che dipinse le vergini immagini del pensiero
sulla suprema materia, custodita nell’intimità dei cuori.
Al Purissimo, la cui potente Mano adornò l’anima
e l’immagine del volto suo con la più bella delle forme
[ahsan al-taqvim]. [4]
Sia lodato quel Sapiente che tramite la Parola fece di un pezzo di carne la chiave che dischiude il tesoro dei segreti della Scienza. Lode a Lui, Grazia pura, che distinse i Prescelti di ogni tempo e luogo con l’ornamento di prodigi incontrastati: nella bocca di un infante lasciò che scintillasse il miracolo del Cristo, e poi depose la salvezza del mondo e dell’aldilà nell’eloquenza di chi nella scienza di parola dapprima fu ignaro [ommi], il Santo Profeta Mohammad. [5]
Tale è l’uomo per cui ogni Sovranità è dovuta
e che solo potrà penetrare il Segreto divino
Salute infine a Mohammad il Prescelto, giardino di splen-
dore, corona sul capo di tutti i Profeti:
Il Sole nel cielo della Sacra Legge che all’Universo
nel tempo della Sua Profezia concesse il retto verso.
A lui rendiamo il più virtuoso degli omaggi e porgiamo il più perfetto saluto, ché il mattino della sua Profezia ha rischiarato l’intero mondo dal buio dell’iniquità e con il lenzuolo della Guida ha polito lo specchio dei cuori velati dalla ruggine. Sull’anima e sullo spirito dei suoi cari e sulla sua stirpe cali un perdono senza limiti e per loro si innalzi il paradiso senza fine. È per la melodia degli usignoli del celeste Loto Che ascende in gloria il giardino della fede di Mohammad.
È per la melodia degli usignoli del celeste Loto
Che ascende in gloria il giardino della fede di Mohammad.
*
Al cuore dei sapienti e dei sovrani della scienza è noto che la più profonda aspirazione degli uomini acuti è votata all’impegno di lasciare sulle pagine del tempo un segno della loro esistenza. Dal momento che il volgere dei giorni deposita polvere d’oblio sul volto del ricordo e il trascorrere del tempo disfa ogni linea dei suoi tratti, è necessario lasciare un segno che, anche dopo l’estinzione del corpo, faccia perdurare in eterno il proprio nome. Agli uomini d’intelletto è parso chiaro che le fondamenta della Parola non possono essere sradicate dal ciclone del turbinare delle epoche: è il segno della parola a perdurare sulla pagina dei giorni, Parola che è la perla più pura della creazione divina, orgoglio del Creatore e degli esseri creati, quintessenza del visibile [majaz] e delle verità invisibili [haqayeq]:
La Parola fu calata dalla volta celeste:
fu dai cieli che la Parola discese.
Se altra fosse stata l’essenza pura, superiore alla Parola,
altro sarebbe disceso a noi in luogo della Parola.
Ne consegue che nessuna testimonianza della memoria può essere considerata superiore alla scrittura, in poesia oppure in prosa:
Perché se un giorno una persona di cuore leggerà,
Con le sue lacrime placherà le fiamme di un dolore.
È dalla poesia che il saggio attinge consigli,
Nei versi così si ristora il cuore sapiente.
Secondo tali premesse io, la Dama del Mondo, figlia del re Mas‘ud, dinanzi alla violenza del volgere del tempo cercai la salvezza nelle braccia di una ferma contentezza, e recai il cuore alla Mecca della pace interiore e così composi questo verso:
Scegli l’Uno e non cercar compagni tra gli amati
siedi sola, e non cercar compagnia e conforto tra i tuoi cari.
Per ogni forma che si offriva ai miei occhi, mille erano i pensieri che all’anima mia affioravano. Ogni tanto, per diletto e intrattenimento dello spirito, quando tra i disastri del tempo ero presa dal doloroso volgere del giorno e della notte, componevo frammenti simili alle emozioni degli amanti perduti, all’animo degli appassionati sconvolti, versi spezzati come il cuore della Gente di Sguardi. Ciecamente vani, come le speranze sbarrate dei Signori del Desiderio.
Davo forma alla Realtà Trascendente [haqiqat] con le vesti della metafora [majaz], e sedavo il dolore ardente dei giorni con l’acqua del canto poetico. Tutto questo malgrado la presenza di alcune persone che, prive di alcuna fiamma sacra o elevata aspirazione, si fermavano alla superficie di quelle forme e consideravano spregevole il riflesso mondano di queste meraviglie. Data la loro poca forza di sguardo essi, infatti, non riuscivano a scostare il velo dal volto che desideravano contemplare:
Non tutti gli sguardi osano fissare il sole,
non tutte le gocce sanno come giungere al mare.
Ma presso gli studiosi dallo sguardo raffinato e al cospetto degli scrutatori dalla solida capacità d’indagine è ormai chiaro che l’oggetto ultimo della Parola non è il significato esteriore, al contrario, la sua finalità generale è la comprensione dei segreti. L’espressione poetica delle me- tafore [irad-e haqayeq-e majazat] è il principale strumento per giungere alle verità [haqayeq], da cui il detto: la metafora è il ponte verso la Realtà [trascendente; in arabo nel testo: al-majaz qantarat al-haqiqa]. [6] Tra uomini di scienza, intellettuali e letterati è risaputo che se la poesia non fosse contraddistinta da eccellenti virtù in grado di conferire nobiltà agli eletti, i grandi uomini del passato e i più famosi sapienti (che Dio li abbia in grazia) non si sarebbero mai sforzati nel percorrere proficuamente questa via.
Eppure, siccome pochissime sono state le donne persiane che si sono cimentate con la poesia, anche io ho considerato questa pratica come un difetto, e pertanto da essa mi sono astenuta. Ma con il trascorrere del tempo mi sono accorta che in realtà sono molte le donne, sia arabe che persiane, che hanno coltivato l’arte della parola e grazie ad essa sono diventate famose. Se infatti questa fosse stata una pratica proibita, la donna preferita del Profeta Mohammad, la luna dallo stendardo solare, la perla dello scrigno del pudore, la Dama del giorno della Resurrezione, Fatima, non avrebbe mai composto poesia e non avrebbe mai pronunciato versi come questo:
Invero le donne sono profumati fiori per voi creati
possiate allora tutti voi annusarne i petali. [7]
E tutte le donne arabe hanno composto versi, e tra le persiane posso citare il nome di ‘Aysha Moqriya [8], che faceva parte degli iniziati al sentiero della fede e ed era tra gli uccelli del cielo della verità, eppure fu famosa per i suoi versi, tra i quali posso citare le seguenti quartine:
Splendida cosa se potrò godere del tuo incontro,
splendido sarà ricevere in petto le tue frecce,
ma so che non è possibile per me raggiungerti,
splendido sarà allora attraversare i tuoi pensieri.
È un’intera vita che m’abituo al tuo dolore,
da te nascosta, con te ho vissuto mille amori,
e mai ti ho detto tutto questo, perché mai io
mi son vista degna della tua presenza.
E molte altre poetesse persiane, come la Dama Padeshah e la Dama Qotloghshah [9], a loro volta e a misura del proprio talento si sono messe alla prova in questa piazza e hanno sciolto le briglie della loro arte poetica. Anche io allora, seppur donna, seguendo il loro esempio ho imitato la loro audacia, anche se, come dicono:
L’arte del verso non è cosa da tutti
la mercanzia della poesia non è per tutti,
la Parola richiede grazia e raffinatezza d’animo,
non c’è poesia, senza il ricorso alla Sapienza.
Alla universale pietà e al profondo favore di tutti gli uomini di scienza, gli intellettuali e i letterati chiedo che, davanti al modesto talento e alla povera mercanzia poetica di questa donna, senza alcun indugio e senza nascondere alcuna repulsione esprimano il proprio parere. E quando rileveranno le mie imperfezioni e le mie cadute di stile, prego che mi concedano l’onore, fin dove possibile, di correggere i miei versi così che la poesia di questa Dama non permanga nel buio della mediocrità.
Non se la prendano a male per ogni difetto:
che i grandi non ne vogliano a chi poca cosa vale.
***
![]() ![]() ![]() I. Come le donne malfido [10]
![]() II. Mi ritorcesti tutta [11]
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![]() IV Radice in mezzo ai nostri occhi [13]
![]() V. Sull’amarezza delle notti [14]
![]() VI. Il prezzo infame dello stagno [15]
![]() VII. Quelle labbra rosse a coppa [16]
![]() VIII. Roseto di dolore [17]
![]() IX. Un’ ora di abbracci [18]
![]() X. Nell’amarti sono vetro [19]
![]() XI. Di chi c’invidia non curarti [20]
![]() XII. Ci tatuiamo per te il petto [21]
![]() XIII. Alla maniera dei pazzi [22]
![]() XIV. Come fiore scarlatto [23]
![]() XV. Come i capelli dei belli la vita [25]
![]() XVI. Gravido è il tempo [26]
![]() NOTE: * Nell’impossibilità di riprodurre la metrica dell’originale (basata su un sistema quantitativo) la traduzione è stata condotta in modo libero, ma con una forte attenzione alle variazioni semantiche dettate dagli aspetti formali del dettato persiano. Le proporzioni tra distico ed emistichio sono state rispettate in modo da riprodurre le pause ed il respiro del verso persiano, mentre la rima (che nel caso del ghazal segue lo schema aa ba ca) è stata sostituita, ove possibile, dalla ricerca di consonanze interne, assonanze, anafore e ripetizioni. La densità idiomatica del linguaggio poetico persiano, soprattutto per quanto concerne metafore, similitudini ed espressioni allegoriche entrate a far parte del canone letterario, è stata molto spesso mantenuta in modo da mostrare per intero la potenza figurativa dell‘immaginario classico. In alcuni casi, tuttavia, è stato necessario sciogliere le metafore al fine di rendere più scorrevole la lettura del testo in traduzione. In generale, seguendo il principio traduttologico della compensazione, si è cercato di rendere non tanto il senso della lettera, quanto l’effetto estetico che quella stessa lettera dovrebbe o potrebbe generare.
1 È a cura di Dominic Parviz Brookshaw l’intervento più completo, dal taglio storico-biografico, sulla poetessa: Odes of a Poet- Princess: the Ghazals of Jahān-Malik Khātūn, «Iran», 43 (2005), pp. 173-95.
2 Le traduzioni sono tratte dalla prima e unica edizione integrale del canzoniere della poetessa, Divan-e Kamel-e Jahan Malek Khatun, a cura di Purandokht Kashani-Rad e Kamal Ahmadi-Nezhad, Tehran, 1995. Chiediamo venia per l’adozione di un sistema semplificato di traslitterazione. Lo specialista saprà ricostruire facilmente i punti diacritici omessi per agevolare sia la lettura da parte del lettore non avvezzo alla frequentazione dei testi persiani.
3 Traduzione nostra. Il trattato è stato introdotto, tradotto e commentato in modo eccellente da Carlo Saccone: Ahmad Ghazali, Delle Occasioni Amorose, Roma, Carocci 2007.
5 Secondo alcune fonti islamiche tradizionali Dio avrebbe manifestato all’umanità la propria onnipotenza attraverso miracoli specifici delle arti in cui gli uomini eccellevano in tempi diversi. Il miracolo del bastone di Mosè sarebbe servito a contrastare i sortilegi dei maghi del Faraone mentre il potere di Gesù di portare in vita i morti deriverebbe dall’eccellenza medica del proprio tempo. Il Corano è qui presentato come miracolo della parola, discorso di insuperabile eloquenza rivelato a Muhammad, tradizionalmente ritenuto illetterato. Cfr. I. Zilio-Grandi, Il Corano e la letteratura come miracolo, in Mappe della letteratura europea e mediterranea. Vol. 1: Dalle origini al Don Chisciotte, Milano, Bruno Mondadori 2000. La rappresentazione della Parola come miracolo e tratto distintivo della superiorità dell’uomo su tutte le creature diventerà, soprattutto fra Trecento e Quattrocento, un luogo comune in seno alle riflessioni persiane sul valore sacrale e della poesia e in difesa della sua legittimità. In questo caso è interessante notare come la poetessa, citando sia il miracolo di Cristo che la natura divina della parola coranica, prepari il terreno affinché la poesia sia associata non solo a un afflato dal potere vivificante ma anche all’origine trascendente del linguaggio.
6 Non è la prima volta che la Dama del Mondo menziona la contrapposizione tra queste due parole, majaz e haqiqat, che traduciamo riduttivamente con «metafora» (per questioni etimologiche) e «realtà trascendente». In realtà i due termini nascono molto presto in seno alle riflessioni islamiche d’espressione araba sul senso del linguaggio e il suo rapporto con il mondo. Per majaz si intende linguaggio figurato, e originariamente indica il senso delle espressioni linguistiche, una sorta di interpretante in termini Peirciani, mentre haqiqat è il significato concreto della figurazione e originariamente si riferisce alla realtà contingente cui una parola rimanda. È sorprendente come, nella riflessione mistica persiana, haqiqat, da realtà concreta esteriore, sia passato a significare piano trascendente cui rimandano i segni che si offrono all’esperienza sensibile. Notiamo come sia stata una poetessa, le cui canzoni sono apparentemente basate sull’esclusivo registro erotico, a far convergere per la prima volta il piano retorico e il piano mistico della riflessione sul rapporto tra majaz e haqiqat nello spazio del pensiero intorno alla legittimità del fare poesia.
8 Poetessa di espressione persiana vissuta tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo. Pur non disponendo di alcuna informazione biografica sul suo conto, la presenza di alcuni suoi versi in diverse antologie e raccolte biografiche del tempo ci fanno pensare che, quantomento dopo la sua morte, il suo nome fosse piuttosto noto.
9 La prima è una principessa mongolo-persiana che governò per alcuni anni la regione di Kerman prima di essere assassinata nel 1295. La seconda potrebbe essere la nipote di quest’ultima, meglio nota come Qotloghkhan (m. 1383), andata in sposa nel 1328 a Shah Shoja‘, patrono di Hafez (e probabilmente della Dama del Mondo) che governò a Shiraz prima tra il 1358 e il 1363 e poi tra il 1366 e il 1384.
16 N. 855, p. 312. Rendiamo sgraziatamente un verso, l’ultimo, in cui la poetessa menziona i nomi delle consonanti della parola che significa ‘stelle’, falak. Letteralmente in italiano potrebbe suo- nare come: la soglia della ‘esse’, e ‘ti’, poi ‘e’, e la ‘elle’, la ‘elle’ e la ‘e’. Ma in traduzione abbiamo preferito adottare un espediente grafico ‘futurista’, in modo da evocare il modo con cui la poetessa ha mostrato i limiti del significante oltrepassati dall’urlo di dolore dell’io lirico.
24 Traduciamo con I e Z, due lettere dell’alfabeto arabo persiano che per forma dovrebbero ricordare una schiena dritta (la ‘alef’: ا , che corrisponde foneticamente alla ‘a’) e una dorso ricurvo (la ‘nun’: ن che corrisponde alla nostra ‘n’).
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