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Umberto Piersanti
 
 
Domenica mattina, lungo il mare
 
e camminavano lente
nella sabbia bianca
o immobili correvano
tra i pini,
una nebbia leggera
una velata bruma
cerchia le tante ombre
lungo il mare,
ma quiete,
quasi evanescenti,
fatte quasi d’aria,
come il poeta le narra
nel più grande canto,
no, nessuna montagna
altissima da risalire
cerchio dopo cerchio
seppure querule ed incerte,
no, qui non c’era una meta,
ombre le più effimere
e perenni
nel tenero mattino
domenicale
stampate dentro l’aria
per un istante
e domani altre
nel perenne ciclo
d’alberi, acque
ed erbe che oggi
il primo, minuscolo
tarassaco rallegra
col suo giallo squillante
 
anche il pianeta azzurro,
coi suoi alberi e l’acque
e coi palazzi,
un giorno
solo polvere e sassi
dentro il vuoto
 
andiamoci un po’ piano
coi pensieri
così eccessivi e smisurati,
è così morbido
il mattino,
godi dell’aria fredda
giù nella gola,
di quel fragile azzurro
che al ricordo invita,
tenace ora spunta
tra l’erbe e i sassi
 
con la girandola in mano
colorata,
con quel gioco
remoto e in disuso
 
come i suoi ricci
chiari e scompigliati,
correva il ragazzetto
a filo d’acqua,
Jacopo la tua girandola
ricordo
un giorno l’hai spezzata
e poi dissolta
 
con le bolle
giocavi a Fermignano
nella camera alta,
quasi una torre,
leggere si dissolvono
fra i tetti
come gli anni
e gli evi
sopra il mare
 
(febbraio 2011)
 
 
Antica foto
 
un anno, hai un solo anno
nel seggiolino di vimini
seduto e assorto
con le mani intrecciate
e gli occhi bassi,
ah, potere rientrare
dentro la foto, risentire
il sangue e le figure,
no, non così grigio
il muro lo ricordo
ma di bocche di lupo
cosparso e acceso,
le viole tutt’attorno
al grande pino,
il bosso che profuma
verde e amaro,
l’infanzia è la stagione
dei colori
dentro le vene t’entrano
confusi,
dinnanzi agli occhi
ardono assoluti
 
sei nato dentro il freddo
e tra la neve,
quando ricade
e copre i favagelli
e gli anemoni piega
sotto il bianco,
l’inquieta primavera
dentro la terra s’agita
e nel sangue
 
e mai come in quell’anno
cadde la neve
e tu quel bianco, assorto
guardi dai vetri
e vuoi che non finisca,
che tutto copra,
c’è il fuoco nel camino
e la polenta
e dentro il letto
avrai la brace accanto[i],
quello di Camorciano
fa il bersagliere,
la terra dove combatte
è tutta neve,
alta più d’una casa
ma tutta nera
per il fumo e gli scoppi
di quegli altri,
spara con la mitraglia
contro i carri,
disperso è quel soldato
che non ritrovi
dalla neve coperto
e poi dissolto
 
magari per un giorno
è ritornato tuo padre
dalla terra che si vede
quando non c’è una striscia
dentro il cielo,
uno straccio di nube
bianco o scuro,
dalla Cesana alta
o dal campanile,
dicono ch’è una terra
tutta sassi
con buche grandi
come l’orto,
lì i ribelli lo aspettano
che passi
dopo lui va nell’orto
per l’insalata
e io gli vado dietro
tra la gran neve,
tira fuori i ceppi
verdi e molli,
ho i piedi che mi gelano
bagnati
e lui mi prende in braccio
con una mano,
con l’altra tiene stretta
l’insalata
 
erano giorni scuri,
scure neve e sabbia
e scuri i monti
dove gli uomini muoiono
andati al fronte,
scuro anche il cielo
che la sirena annuncia,
l’infanzia altro corso
segue della storia,
mai come allora
accesi sono i colori,
e tulipani rossi
lungo i fossi,
giunchiglie a branchi
per tutti i greppi
quelle bocche di lupo
che tu raccogli
padre per me salito
con lunga scala
sulla muraglia
 
tra inverno e primavera
sono nato,
sempre mi porto dentro
l’erbe e i fiori
che la neve sempre
tronca e spezza,
e poi loro tenaci
tornano fuori
tra le crepe gelate
dalla terra
 
e quel canto rammento[ii]
il più lontano
che nel bosco c’invita
via dal fuoco,
dal dolore
che sempre
ci accompagna
 
(marzo 2011)
 
 
Note


[i] la brace accanto: è quella nello scaldino (monaca) messo dentro un congegno di legno (prete) per riscaldare il letto gelato.

[ii] e quel canto rammento: si tratta della canzone che così inizia: «Vieni, c’è una strada nel bosco», molto amata dagli italiani.


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